ASSISTENZA DELLE POPOLAZIONI AI PARTIGIANI
(In 'Guerra di Liberazione', Edito a cura del Ministero dell'Italia occupata - gennaio 1945)
(In 'Guerra di Liberazione', Edito a cura del Ministero dell'Italia occupata - gennaio 1945)
"Abbiamo chiesto a due partigiani che di recente hanno passato le linee:
Come e di che vivono sulle montagne parecchie migliaia di partigiani dislocati in numerose brigate di 500-800-1000 unità?
Essi ci hanno risposto:
La valle da noi presidiata (valle di Viù) è lunga circa 40 chilometri e non offre molte risorse ambientali; ma pure riuscivamo a viverci abbastanza bene. E' notorio che i valligiani piemontesi famosi per parlar poco ma lavorar sodo, non hanno mai avuto molta simpatia per i fascisti e le loro fanfaronate. Era dunque naturale che dopo l'8 settembre 1943 accogliessero subito i partigiani come delle persone per bene, di fegato, degne della più cordiale ospitalità. Immediatamente nacque e via via si perfezionò un'intesa stretta e calda come da padre a figlio tra partigiani e valligiani, e questi ci aiutarono sempre anche oltre il limite delle loro normali possibilità.
Noi, che eravamo al comando di brigata, rispettivamente come Vice Comandante (Oscar) e Aiutante Maggiore in prima (Giorgio), possiamo dichiarare di aver trovato la più viva e schietta comprensione in quella gente rude, sobria, ignorante ma indubbiamente intelligente.
Se talvolta mancò loro il pane, a noi non ci fecero mancare la farina, ed essi trovarono pure il modo di fornirci, sempre che fu possibile, la carne, il burro e le patate. Da Torino arrivavano numerose cartoline rosse concernenti l'ammasso del bestiame, e i valligiani venivano al comando: 'Naturalmente -dicevano- ritirerete voi la merce che quei mammalucchi vorrebbero papparsi.'
Essi davano insomma, ma con gioia, e preferivano le nostre semplici ricevute (sia pure rilasciate su carta intestata) ai bigliettoni di banca che i neofascisti volevano spendere con la sadica voluttà del milionario crapulone e moribondo.
Durante i giorni di mercato ci si incontrava pure con quelli che di solito restavano con il bestiame all'alpeggio. Ed eran giorni di festa. Leggevano il nostro 'giornale murale', ci sottoponevano i quesiti che erano di maggiore utilità e interesse, ci invitavano a bere qualche bottiglia. Dopo certe bevute, quasi quasi ci si abbracciava:
'Tenete duro, ragazzi!...e se quei porci ritorneranno per rastrellarvi, ammazzatene molti. Bisogna far perdere la razza dei neri'.
Quando i neri e i nazisti tentavano di ritornare nella nostra valle per effettuare azioni di rastrellamento, i valligiani si volatilizzavano. Non restavano, nei paesi, che i bambini, qualche donna anziana e qualche vecchio. Gli adolescenti, le ragazze, gli uomini validi sparivano alla vista in modo tanto rapido quanto misterioso.
I nazifascisti non riuscirono mai ad acciuffarne alcuno.
Essi ci fornivano preziose informazioni sui movimenti e persino sulle intenzioni del nemico. La loro solidarietà si ricollaudava così nel modo più nobile e più fecondo.
Quando poi i combattimenti cessavano i valligiani scendevano a passi di camoscio verso i nostri luoghi di presidio e riprincipiavano a sciamare nei paesi. Le nostre vittorie erano le loro, i nostri morti avevano pure le loro lacrime e le loro benedizioni.
Soltanto allora la vita riprendeva un ritmo normale, il ritmo da tutti voluto. Si riaprivano le finestre delle case, i negozi, le osterie; si riaprivano pure i cuori alla speranza, le bocche delle donne al sorriso, le gole al canto." (@GM)
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