mercoledì 16 settembre 2015

L'INQUIETO TORPORE CHE TUTTO PERVADE

"Il diario del pianista della guerra".


                                                                                       (La Repubblica - 16/9/2015)


Aeham Ahmad è uno dei tanti, dei troppi attualmente in fuga dalla Siria in fiamme; spostatosi nei giorni scorsi in Turchia, attende di poter entrare in Europa con un salvagente addosso. Musicista siriano di origine palestinese suonava il pianoforte nel campo profughi di Yarmuk, nelle vicinanze di Damasco e quando gli uomini dell'Is glielo hanno distrutto, perchè questi figuri "non amano il suono della vita", lui ha continuato, suonando una fisarmonica per tenere viva la speranza. Con una storia di vita in campi profughi alle spalle, a partire dal nonno esule dalla Palestina nel 1948 e dal padre che ha girato quasi tutti i campi profughi della Siria, rappresenta un esempio emblematico di come la resilienza possa  aiutare a dare un significato alla propria e all'altrui vita.
La sensibilità autobiografica ci ha insegnato a dare valore alle storie di vita, ma adesso credo siamo tutti chiamati ad evitare storie di morte.
Ahmad è uno di loro, ma quelli che continuano a rischiare la loro vita ai confini dell'Europa sono decine, centinaia, migliaia, decine e centinaia di migliaia, bambini compresi.
Occorre attendere che siano milioni perchè ciascuno di noi possa ribellarsi a questo torpore inquieto che tutto pervade?

martedì 8 settembre 2015

COME SOPRAVVIVONO GLI INSEGNAMENTI VITALI DI DON ANDREA GALLO


IL GALLO SIAMO NOI

Festival dell'Autobiografia - Anghiari, 4 settembre 2015

Ripercorrere le parole scelte per presentare i protagonisti del bel volume "Il Gallo siamo noi"  (Viviana Correddu, Chiarelettere 2015) mi consente di ricordare il 'Gallo' senza retorica, perchè come dice Tim Burton "A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui e in questo modo egli diventa immortale." Credo che 'i suoi ragazzi', della Comunità di San Benedetto al Porto, siano la testimonianza vivente di come l'umanità e gli insegnamenti vitali del Don portino nuova linfa alle battaglie di oggi che ancora vanno combattute per non precipitare nella barbarie.

Visto che siamo al Festival nazionale dell'Autobiografia l'incipit non può che essere autobiografico.

Partirò quindi da uno scritto sull’autobiografia di Don Gallo del 2007, ‘Angelicamente Anarchico’, dove a suo tempo scrivevo: “…da formatore, la cosa che più mi è rimasta impressa (rispetto ai ‘suoi’ ragazzi) riguarda una breve formazione, non a caso sull’approccio autobiografico, condotta diversi anni fa con uno dei gruppi di operatori della Comunità di San benedetto al Porto, notoriamente piuttosto ‘autosufficienti’ dal punto di vista formativo.” La Comunità è stata infatti considerata, per oltre 40 anni, una sorta di creatura vivente, pulsante ed inscindibile dalla figura del suo fondatore.
Fondatore che così si descriveva: 
 "Nella vita mi hanno apostrofato in ogni modo: chierico rosso, prete comunista, protettore dei tossici. Ma si sono dimenticati che sono anche amico delle prostitute, dei devianti, dei balordi, dei border line, dei migranti, di tutti coloro che viaggiano ai margini della società. Un prete da marciapiede, insomma."

Definizione ripresa dallo stesso Vasco Rossi che firmava la prefazione al volume affermando: "E' un 'prete da marciapiede', lo dice lui stesso. O meglio ancora, un uomo 'angelicamente anarchico'. Questa definizione che Don Gallo dà di se stesso è quella che, secondo me, gli sta più a pennello. Perchè effettivamente lui (...) lo è. Un po' anarchico, meno rispettoso di regole e convenzioni ma molto più della libertà e delle scelte altrui, e un po' angelo, sempre disposto a dare una mano senza pregiudizi, a offrire un aiuto concreto e generoso a chiunque ne abbia bisogno."


Ed il libro appena pubblicato, 'Il Gallo siamo noi', non poteva avere titolo più consono all'intreccio fra biografia ed autobiografie, una sorta di biografia scritta con storie e spunti autobiografici mirati. Anche di questo volume Vasco Rossi firma la prefazione, parlando a due anni dalla scomparsa del Don, dei ragazzi della Comunità come " Una combriccola di gente a posto, che ha pagato il conto con l'esistenza e ora riesce finalmente a vivere davvero e anche a sorridere (...dei guai)." 


La prima parte del libro si intitola 'Anima fragile' e vede Viviana Correddu reagire allo sconforto per la morte di Don Gallo, scrivendo anzitutto della sua vita e di come questa si è intrecciata con il Don e con la Comunità di San Benedetto, descrivendo quello che lei stessa definisce come "Il cammino della propria rinascita con Vasco nelle orecchie". Ed è di questo che Viviana ha parlato durante l'incontro, partendo dalla propria storia senza timore di poter essere etichettata come 'tossica', ma rivendicando l'intero percorso di rinascita. Scrive infatti Viviana al termine della dedica introduttiva: " 'Sei in cammino, Viviana. Continuiamo a camminare insieme', mi dicesti un giorno. Mi impegnerò, mi spenderò per tutto quello che mi sentirò di fare, e saprò riconoscere i tuoi occhi e quello sguardo fiero che mi sproneranno a continuare a continuare a camminare. Intanto, beccati questo! E' per te , dai tuoi ragazzi. perchè il Gallo, oggi, siamo noi!"


Ed è proprio la seconda parte del volume, intitolata 'I figli del Gallo', che esprime appieno la coralità delle voci e le diverse riflessioni appositamente sollecitate o ricevute, che riguardano i tantissimi per cui "Andrea è stato padre, nonno, maestro, educatore."
Ed oltre alle tante testimonianze presenti nel testo (da Tommaso lo scout che diventa sacerdote, ad Andrea il fonico-anarchico che da ateo apprezza i suoi insegnamenti votati all'accoglienza, a Ilaria la volontaria che apprende dalla Comunità come conoscersi meglio giocando 'a carte scoperte', per non citarne che alcuni), è quella di Letizia Salerno Pittalis a rappresentare per molti versi un unicum: oggi venticinquenne,  figlia di una operatrice ‘storica’ della Comunità -presente anche lei all'incontro-, nasce alla fine degli anni ’80 in una delle strutture di San Benedetto ed ha conosciuto il Don, da sempre, come ‘il nonno Gallo’. Ha solo tre anni quando il padre, entrato in comunità come tossicodipendente, muore, e ne ha poco più di venti quando accompagna questo “straordinario” uomo, di cui è quasi nipote, nel suo ultimo viaggio, avendo in precedenza ulteriormente apprezzato quanto ‘il nonno Gallo’ fosse stato grande nell’aver accettato, senza battere ciglio, la presentazione della sua fidanzata, Morena.


L'incontro si conclude poi con la testimonianza proprio della madre di Letizia, Graziella, che ricorda il suo ingresso ancora adolescente in Comunità con Don Gallo, alla ricerca di un senso più compiuto per la propria esistenza, i molti insegnamenti fondamentali appresi e le innumerevoli battaglie condotte; ed infine con l'intervento di Domenico Mirabile, per lunghi anni presidente della Comunità e attualmente vicepresidente, che oltre a parlare dei molti anni trascorsi con il Don (anche 'a distanza' come responsabile degli interventi a Santo Domingo), segnala le principali aree di impegno della Comunità nelle sfide attuali per concretizzare quanto un'altro esponente storico della Comunità (Domenico 'Megu' Chionetti) ben sintetizza nella sua post-fazione dicendo: "Nulla è come prima. Il Gallo manca, forse più fuori che dentro la Comunità. (...) l'importante è mantenere viva la sua presenza in quei luoghi e in quei territori che ancora ci sostengono e dare continuità a quelli che sono stati i suoi ideali, i suoi pensieri, provando a declinarli al presente."

Se un grande quotidiano ligure e non solo, Il Secolo XIX, ha titolato a tutta pagina 'Il Gallo canta ancora. Insegnamenti che non sono andati perduti', personalmente ho concluso la mia presentazione del volume con le parole: 'Il Gallo ha ben seminato, e molti dei suoi insegnamenti gli sopravviveranno'. Credo che questo incontro, per nulla formale e tutto teso ed intriso di umanità e di impegnata quotidianità, abbia contribuito a confermarlo. 
(Giorgio Macario)

EMOZIONI E RIFLESSIONI su AUTOBIOGRAFIA E CARCERE




FESTIVAL DELL'AUTOBIOGRAFIA - Anghiari, 5 settembre 2015

Per mantenere vive 'emozioni e riflessioni' dal Festival dell'Autobiografia 2015, condivido con voi la mia breve presentazione di 'AUTOBIOGRAFIA IN CARCERE' di sabato 5 settembre, che ha preceduto testimonianze estremamente significative di come trovare un rinnovato orgoglio anche se si devono affrontare criticità notevoli, perchè come dice Christopher Santos "Abbiamo tutti la capacità di trasformarci e migliorare, quindi bisogna approfittarer di questa occasioner che ci dà la lettura e la scrittura autobiografica." (da "L'altalena del tempo", a cura di Barbara Rossi).

 "Leggevo pochi giorni fa che i detenuti nelle carceri italiane, secondo il pre-rapporto dell'Associazione Antigone, al 30 giugno 2015 erano 52.754. Meno, sicuramente, degli oltre 68.000 del 2010 quando il sovraffollamento era tale che da più parti si era parlato di tortura e di condizioni inumane.
Oggi, come già diverse volte in passato (solo per citarne alcune, ricordo nel 2013 la proiezione del bellissimo film 'Levarsi la cispa dagli occhi'  e la presentazione lo scorso anno della antologia sul sogno 'Chiudendo gli occhi'), ci occupiamo del tema 'Autobiografia in carcere' e lo affrontiamo avendo come ospiti le persone che hanno condotto esperienze di laboratori di narrazione autobiografica e di scrittura autobiografica in diverse carceri italiane, e diversi protagonisti di queste stesse esperienze.
Quest'anno avremo in successione tre esperienze.

§La prima, con Barbara Rossi e i detenuti del carcere Opera di Milano che presentano "L'altalena del tempo', antologia di scritti degli autobiografi per passione elaborati nell'ambito dei laboratori 'Liberi di scrivere'. "Un gruppo di uomini intrepidi - ci dice Duccio Demetrio nella prefazione al volume- che ha saputo e voluto dare ascolto al 'demone della scrittura' che ha soggiornato in ognuno di noi."

§La seconda, con Maria Luisa Pozzi, accompagnata da alcuni ospiti, che ha condotto tre laboratori nella Casa Circondariale Dozza di Bologna, in particolare sulla parola poetica, perchè come ci dice Maria Luisa "Anche in carcere si può scrivere poesia. E quando la catturi, la parola poetica aurorale incontra il tuo sentire profondo."

§La terza, con Luisa Fressoia, che presenta 'Mamme che si raccontano', un'esperienza di laboratorio di narrazione autobiografica per le mamme ospiti dell'ICAM (Istituto di Custodia Attenuata di Milano), con una di loro che scrive: "Sarò sempre io con i miei pesi, ma non avrò più paura di ciò che mi ha segnato."

Ho poi concluso l'incontro leggendo l'incipit di una poesia ("Quello che sono") che Giuseppe (Pino) Canovale, del gruppo del carcere di Opera ospite anche quest'anno, ci aveva lasciato lo scorso anno e che recita:
"Su questo palco
parlo con dolcezza al vostro cuore
e rifletto su propositi saggi
e follie di un tempo già passato

mi guardano i presenti
misuro risposte e silenzi,
finisco con le poche parole
che arrivo a non dire (...)"

Anche se, fortunatamente, molte parole sono invece state dette ed hanno lasciato un segno.