venerdì 25 aprile 2014

Il 25 aprile e la Resistenza. L'attualità vivente del pensiero partigiano nei primi materiali stampati e nelle citazioni biografiche/autobiografiche


PER RICORDARE IL 25 APRILE - 1° parte. La documentazione degli anni '40 e '50.
25 aprile 2014. Pochi minuti fa ho ascoltato la rievocazione di un intervento di Mario Scelba del 1955 che già a pochi anni di distanza dalla Resistenza cercava di azzerare le differenze fra una parte combattente e l'altra ('I morti sono tutti eguali') per stemperare il valore fondante dell'apporto partigiano alla liberazione dell'Italia dalla dominazione nazi-fascista.
I "revisionisti" ed ancor più i "negazionisti" di ogni sorta possono risorgere in qualsiasi momento, ma ancor più quando gli anni passano ed il ricordo vivo di quanto accaduto rischia di scomparire con il venir meno degli ultimi partigiani combattenti.
Per questo il mio piccolo contributo di oggi, oltre che nella breve citazione biografica/auotobiografica della 2° parte, consisterà nel condividere con tutti voi in questa 1° parte alcuni documenti contemporanei o di poco successivi alla lotta di Liberazione dell'Italia che mantengono il ricordo di quanto è stato fatto e ne testimoniano il valore. Solo una piccola parte del centinaio di volumi che ho raccolto negli ultimi decenni. Per non dimenticare, appunto.

1. Comincerei (e terminerei, come si vedrà dopo) questa breve rassegna da un elemento solo in apparenza secondario, come quello dei 'Canti partigiani'. Il grande valore aggregativo, mobilitante e comunitario dei canti fatti insieme lo ricordo ancora dai racconti di mio padre Marzio. Questo piccolo volume che si intitola appunto 'Canti partigiani' è stato curato per le 'Edizioni del partigiano' dalla sezione stampa <Sergio> della sesta zona operativa. L'introduzione, che descrive con parole semplici e toccanti la funzione del canto, è firmata 'Zona partigiana, dicembre 1944' e così termina: "Alcune delle voci che li intonavano con noi, tra le più coraggiose e oneste, si sono taciute. Quando tutti insieme, dopo la riunione serale cantiamo, ci pare che tra le nostre voci unite ci siano anche quelle: pure e serene esse sostengono il nostro canto, gli danno la certezza della prossima liberazione."


2. Un'altra pubblicazione, questa volta a cura delle Edizioni dell'A.N.P.I., edita (probabilmente) nel 1946, si intitola "Storia della Cichero"ed è opera di Marzo, Giovanni Battista Canepa, commissario politico della Cichero. Dice l'estensore dell'introduzione, il partigiano Bini (Giovanni Serbandini, direttore della rivista 'Il Partigiano', che insieme al comandante Aldo Gastaldi -Bisagno- fu estensore del famoso 'Codice di Cichero' (a) ):
"Del movimento partigiano italiano non è ancora scritta la storia; nè vuole essere storia questa narrazione di vicende della Divisione Garibaldina Cichero, che anche a giudizio degli Alleati fu forse la migliore formazione partigiana d'Italia, per combattività ed insieme rigore morale e politico. Marzo, il commissario della Cichero, ha scritto questa <storia>."

(a) "in attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ci sarà poi sempre un'assemblea per discuterne la condotta; il capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l'ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso; alla popolazione contadina si chiede, non si prende, e possibilmente si paga o si ricambia quel che si riceve; non si importunano le donne; non si bestemmia".



3. Il terzo passaggio riguarda ancora un volume delle 'Edizioni del Partigiano' stampato a Genova nel 1946. Si tratta di uno dei pochissimi contributi, scritti all'indomani dei fatti narrati, da parte di un Cappellano inserito in prima persona nelle formazioni partigiane, e più precisamente nella Divisione Garibaldina Mingo, Don Berto (Don Bartolomeo Ferrari). Don Berto, nella premessa del libro significativamente intitolato "Sulla montagna con i partigiani" scrive:
"Il libro è scritto da un Cappellano. Da uno dei non pochi cappellani delle formazioni partigiane. Anche i preti hanno dato il loro contributo alla lotta di liberazione. E il loro valido aiuto ha avuto un peso non indifferente in questa lotta immane e, purtroppo, sanguinosa."
Stupirà meno la sua propensione alla scrittura se si tiene conto del fatto che Don Berto era non solo il cappellano ma anche lo storico della Divisione Mingo e dirigerà l'organo di stampa della divisione 'Il ribelle', che diventerà 'Il patriota' e raggiungerà il ragguardevole numero di 14 uscite fino alla Liberazione.


4. Il quarto volume segnalato è stato curato da Luisa Sturani, si intitola "Antologia della Resistenza" ed è edito dal Centro del libro popolare di Torino nel 1951. Si tratta di una vera e propria miniera di contributi su 'La Resistenza disarmata 28 ottobre 1922 - 8 settembre 1943 (fra gli autori della I parte citerei fra gli altri Gaetano Salvemini, Pietro Nenni, Emilio Lussu, Antonio Gramsci, Carlo Rosselli, Cesare Pavese); e su 'La Resistenza armata 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945 (fra gli autori della II parte Luigi Longo, Giorgio Bocca, G.B. Lazagna, Don Berto, Luigi Pintor, Salvatore Quasimodo, Primo Levi, Natalia Ginzburg, Dante Livio Bianco).


5. Il quinto volume è scritto da Alcide Cervi (in realtà intervistato da Renato Nicolai) e si intitola "I miei sette figli". Il volume viene pubblicato per la prima volta nel 1955 dagli Editori Riuniti, e l'edizione qui riprodotta è l'VIII del febbraio 1956. In meno di un anno ne sono state vendute più di 300.000 copie.
La storia dei sette fratelli Cervi (Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore) è una delle più significative e gloriose della Resistenza italiana e si conclude con la loro fucilazione per rappresaglia il 28 dicembre del 1943. La storia della famiglia Cervi si incrocia in realtà con quella di molti antifascisti, compreso il comandante Facio, citato nella parte biografica/autobiografica, che venne arrestato con loro.


6. Infine, concludendo come preannunciato con i canti partigiani, questa volta incisi su vinile, viene qui riprodotto un 33 giri e 1/3 (formato ridotto rispetto ai classicci LP) della fine degli anni '50, intitolato "I canti della Resistenza Italiana - Per l'onore e per l'indipendenza della patria", stampato dalla Florence Record e contenente esecuzioni del Coro Flymon. Dopo la Lettura Motivazione Medaglia d'Oro con Inno di Mameli, seguono alcuni fra i principali canti partigiani (si inizia con 'Fischia il vento' e si conclude con 'Siamo i ribelli').






PER RICORDARE IL 25 APRILE - 2° parte. La citazione biografica/autobiografica.

25 aprile. La prima citazione (dal volume di Laura Seghettini, "Al vento del nord" - Carocci 2006), biografica ma parzialmente autobiografica poichè riguarda il periodo partigiano di mio padre Marzio, fa riferimento al doloroso episodio della fucilazione del comandante Facio e alla dispersione del suo 'gruppo' partigiano.
"Nella stessa giornata, un gruppo composto da Antonio Pocaterra, Luigi Sau, Terenzio Mori, Mario il ferrarese, Raul, Torino, Macario ed altri sei si diresse verso Bardi per raggiungere il comando, diffondendo la notizia della fucilazione. Non era forse estraneo, nella scelta di alcuni di allontanarsi, il timore che Salvatore potesse mettere in atto altre esecuzioni sommarie, di cui aveva minacciato gli uomini più fedeli di Facio, e la partenza costituiva anche un modo per mettersi in salvo."

Per approfondimenti, cfr. i capitoli 'La "banda" di Facio' e 'La "banda" viene sciolta" all'indirizzo http://www.giorgiomacario.it/?p=252



domenica 13 aprile 2014

Caterina Chinnici: una biografia autobiografica


Già segnalata qualche settimana fa come 'recensione', ho deciso di inserire questa presentazione del volume di Caterina Chinnici direttamente nel blog per sottolineare lo stretto intreccio che si viene a creare con le figure dei propri familiari in particolare quando la propria vita venga caratterizzata (meglio: sconvolta) da episodi gravissimi, quale è sicuramente stata l'uccisione da parte della mafia di Rocco Chinnici e della sua scorta.
Il 'valore aggiunto' di questa testimonianza, già fin dal titolo "E' così lieve il tuo bacio sulla fronte", credo stia nella capacità da parte di Caterina Chinnici di parlare del padre senza retorica rendendo una testimonianza non solo 'biografica' di Rocco Chinnici uomo, padre e magistrato, bensì anche autobiografica su Caterina Chinnici, donna, figlia e anch'essa magistrato a sua volta.

Solo una figlia poteva parlare con un tale garbo del proprio padre.
Solo un magistrato poteva descrivere in modo così limpido i tratti di elevata competenza e di profonda umanità di un altro magistrato, suo mentore.
Solo una donna coraggiosa poteva condensare una tale eredità in un volume al contempo pesante come un macigno e leggero come una piuma.
“E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte” prende avvio dalla  rievocazione delle tenere abitudini di un padre premuroso e attento nonostante i gravosi impegni quotidiani di magistrato (un bacio sulla fronte –anche da sposata-, il caffè al mattino per tutti quanti) e la dolorosa rievocazione di quel 29 luglio 1983 alle ore 8.05 del mattino, quando il giudice Rocco Chinnici viene barbaramente ucciso insieme a due uomini della scorta e al portiere del palazzo dall’esplosione di un’auto imbottita di tritolo. “Un momento qualsiasi di trent’anni fa –dice Chinnici- è diventato quello in cui il dolore si è annidato dentro di me. Nel tempo ha cambiato forma (…ma) non se ne è mai più andato.”
La prima autobomba al tritolo, come è stato appurato con sentenza definitiva vent’anni dopo nel 2003, ha segnato un salto di qualità nella strategia della mafia ed ha inchiodato alle loro responsabilità come mandanti cognomi ormai noti e famigerati.
Ma il grande pregio di questa ‘biografia autobiografica’ realizzata a trent’anni dall’omicidio di Rocco Chinnici, risiede nell’equilibrato intreccio fra una rigorosa ricostruzione storica dell’impressionante escalation di attentati ed omicidi mafiosi in terra di Sicilia e la profonda umanità della vita di un uomo che era solito dire di se stesso: “Io ho due passioni, la mia famiglia e il mio lavoro.”
Gli apporti biografici sono evidenti e percorrono tutto il volume ricostruendo sia gli episodi apicali della vita di Rocco Chinnici che, in particolare, il suo percorso entro la magistratura (“Mio padre non ‘faceva’ il giudice, era giudice.”), da pretore a Partanna nel trapanese a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Ma al contempo il filo conduttore del racconto di vita è marcatamente autobiografico ed è la stessa autrice, Caterina Chinnici, ad emergere nella sua infanzia felice (“Siamo stati a lungo una famiglia normale, persino noiosa. Normale e semplice.”); nel percorso di avvicinamento alla magistratura (“Le mie compagne di classe volevano diventare ballerina o maestra, io scelsi di fare il giudice quando ero ancora nella culla.”); nel dramma dell’attentato (“…ci sentivamo disperatamente soli, ciascuno alle prese con il proprio vuoto.”) e nella vita dei trent’anni successivi tratteggiati con leggerezza sia negli aspetti di gioia familiare e di soddisfazioni professionali che nelle indubbie gravosità (“Ero e sono sorvegliata 24 ore al giorno.”).
La rigorosa ricostruzione storica della progressione di omicidi mafiosi fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’90, consente di non isolare l’uccisione di Rocco Chinnici come accadimento a sé stante, delineando un continuum che  culmina con le successive stragi del 1992 che vedranno cadere i suoi allievi, colleghi e amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Portare la propria figlia in carcere con un’altra coetanea perchè potessero giocare insieme con la piccola figlia di una detenuta, fare attenzione a qualsiasi accorgimento utile ad alleviare la pena ai detenuti, portare anche a loro parte dei dolci caratteristici che giungevano a decine come segno di rispetto nelle festività natalizie e pasquali, sono solo alcuni degli episodi citati dall’autrice per far luce sulla personalità di Chinnici-giudice. Che, in poche parole, “metteva la persona al centro”.
Ma è l’affetto e la sensibilità di Chinnici-padre e marito che segna ed attraversa il trentennio di vita familiare di Rocco e Agata con Caterina, Elvira e Giovanni. Dall’affiancarsi loro nei momenti di difficoltà, fino alla commozione per la figlia laureata in giurisprudenza o all’apprensione dei tre giorni di scritti per il concorso in magistratura di Caterina trascorsi interamente fuori dal Palazzo dei Congressi a Roma in trepidante attesa.
Certo con il crescendo di tutele, minacce, scorte, rinunce e ‘blindatura’ di molti aspetti della vita quotidiana. Con il sacrificio estremo di un uomo dedito alle Istituzioni ed alla salvaguardia del bene comune.
Caterina Chinnici lo racconta per “…farlo vivere ancora una volta, il mio papà.”, e non possiamo far altro che ringraziarla per questa narrazione condivisa che va oltre un trentennale scudo di riservatezza.
Auspicando, anche per la storia di Rocco Chinnici, quanto ci dice Tim Burton:
“A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui e in questo modo egli diventa immortale.” (G.M.)

giovedì 10 aprile 2014

L'oasi naturale di Crava-Morozzo: un breve resoconto per immagini

Molte cose possono essere espresse con le parole.
Ma moltissime emozioni possono essere meglio comunicate con le immagini.
Il contatto con la natura in un'oasi naturale, quale quella che ho visitato lo scorso fine settimana, credo possa essere maggiormente apprezzato mediante una selezione delle foto che ho scattato.
Quindi mi taccio, e faccio parlare loro.


















lunedì 7 aprile 2014

LA BENEDIZIONE DI UNA VESPA 'GUEVARISTA' AL SANTUARIO DI VICOFORTE

LE VESPE ED I VESPISTI - Immagini e commenti

1°. 
La benedizione delle vespe e dei vespisti al Santuario di Vicoforte, compresa una vespa 'guevarista'.

La prima parte di questo breve resoconto è dovuta ad una pura casualità. Nel fine settimana previsto da tempo a Vicoforte, dove mi sono recato con Loriana, mia moglie, per visitare l'oasi naturalistica di Crava-Morozzo, la prima realizzata dalla LIPU nel 1979, si è svolto nella giornata di domenica 6 aprile un  raduno di Vespe proprio di fronte al Santuario di Vicoforte (che, per chi non lo sapesse, vanta la cupola con sezione orizzontale ellittica più grande del mondo!).

Nonostante sia risaputo che i motociclisti cavalcano delle Moto mentre i vespisti inforcano delle Vespe (e più recentemente gli scooteristi conducono degli Scooter), si potrebbe eccepire che sempre di due ruote si tratta. In realtà credo che ciascuno tenga alla propria identità e data la mia 'autobiografia motociclistica' penso non ci siano dubbi su quale sia la mia appartenenza.
In nome, quindi, della comune appartenenza al mondo delle due ruote, mi sono apprestato a seguire la parte motoristica del raduno, che dopo la celebrazione della S. Messa nel Santuario ha visto la benedizione delle vespe e dei vespisti.


Compresa una coppia di vespisti con ...cane al seguito, e relativo bauletto appositamente predisposto.

Ma la scena più gustosa è consistita nell'incontro fra il Diavolo e l'Acqua Santa. 
Un esponente del Vespa Club di Mondovì (ben visibile la bandierina con l'immagine del 'Che' e la stessa maglietta rossa), non si sa se inflitratosi o meno nel consesso dei credenti, ha deciso di optare stoicamente per l'abluzione parziale di sè e del proprio mezzo (1° fotogramma), probabilmente confortato dal pensiero che 'Male non fa!', ed esibendo al termine del rito un sorriso soddisfatto  (2° fotogramma).


Non era ancora terminata la benedizione vespa per vespa che i motori hanno cominciato a farsi sentire (stavo per utilizzare il termine 'rombare', ma lo riserverei per il resoconto del prossimo raduno motociclistico) ed il corteo delle vespe si è messo in marcia per percorrere i 20 km che separavano i partecipanti dal pranzo appositamente predisposto in un ristorante che non poteva che chiamarsi 'Le Delizie'.


2° 
Le vespe nel mondo filatelico e postale ( MM - Moto nel Mondo 15)

La prima cartolina riprodotta di seguito pubblicizza la versatilità di utilizzo della Vespa, utilizzando lo slogan 'Vespizzatevi!'. Nelle immagini, infatti, si esce dall'ufficio, si fa una gita, ci si reca a fare compere, si rientra dalla fabbrica, si trasportano vari materiali, si va a caccia.  La cartolina è stata prodotta, con molte altre successive, dalla ditta Giuseppe Lang di Genova, che ha contribuito negli anni, assieme alla Piaggio, a diffondere materiale pubblicitario di varia natura. E' viaggiata nel 1951 e la pubblicizzazione nel retro indica i recapiti dell'Agenzia Motoristica Italiana di Milano presso la quale è possibile prenotare <la moto "Vespa"> per il 1952.


Nella seconda cartolina, delle stessa serie 'Vespizzatevi' si pubblicizza ugualmente la versatilità dei motori Piaggio che sono utilizzati nelle Vespe per il trasporto persone (presenti con prototipi dal 1945 e prodotte in serie dal 1946), nei veicoli a tre ruote Ape (in produzione dal 1948), nelle imbarcazioni (già dalla fine dell'800) e negli aerei (a partire dal 1916). In questo caso la cartolina è nuova, non viaggiata.


La terza cartolina è una riproduzione di un Raduno Nazionale Vespa del 1962 (...40 anni dopo), su di una cartolina indirizzata alla mia attenzione dal Circolo Filatelico-Numismatico di Todi per invitarmi alla mostra da loro organizzata l'1 e 2 giugno 2002 su 'Lo sport (motociclismo)'. La ragione dell'invito è legata al fatto che per diversi anni sono stato iscritto al CIFT (Circolo Italiano di Filatelia Tematica) settore Motociclismo proprio in quanto la mia collezione risulta una fra le più complete a livello nazionale.


La 4° cartolina, anch'essa nuova ma con il retro non riprodotto perchè privo di importanza, risale probabilmente agli anni '60 e mostra due innamorati che percorrono in Vespa (ça va sans dire) la 'strada della felicità' (si potrebbe ironizzare sul fatto che si presenta in salita, ma la casetta in cima alla strada, i due cuori giganteschi e l'abbraccio di lei a lui non lasciano spazio ad ironia di sorta).

Il successivo insieme di francobolli (una doppia quartina viaggiata, due buste ugualmente viaggiate ed un esemplare nuovo) riproducono un valore da 750 lire prodotto dalle Poste Italiane nel 1996 in occasione del cinquantenario della Vespa.

Ed infine un ...probabile intruso. L'ultima cartolina, viaggiata nel 1966 da Gorizia ad Aosta riproduce infatti (quasi sicuramente) una Lambretta. Che nasce comunque subito dopo la Vespa, fra il 1947 e il 1948.





Il Racconto autobiografico di EUGENIO SCALFARI


L'AUTOBIOGRAFIA, LE BIOGRAFIE, L'ANALISI STORICO-POLITICA

Autobiografia e scrittura sono saldamente legate poiché scrivere è parte integrante della scrittura (graphein) della propria (autòs) vita (bìos).
Se ciò appare valido per chiunque, per alcuni lo è ancor di più. Uno di questi è sicuramente Eugenio Scalfari che nella chiusura del suo ‘Racconto autobiografico’ ci dice: “Dal canto mio la scrittura è al tempo stesso una mia vocazione e l’impossibilità di fare altrimenti.”, e prima ancora afferma: “La mia vera passione era quella di scrivere.“
Le 120 pagine del racconto di Scalfari, figura ormai indissolubilmente legata alla nascita ed al crescente successo del ‘suo’ quotidiano La Repubblica, esplorano tre aspetti fondamentali, immersi in un intreccio narrativo ad andamento sequenziale-fattuale ed al contempo introspettivo.
Il primo aspetto è prettamente autobiografico e prende avvio dai “ragguagli sugli antenati” (particolare e significativa ad un tempo la rievocazione del nonno paterno Eugenio, massone e socialista, che in occasione del 1° maggio guidava una marcia di tutta la famiglia e dei vicini attorno al loro palazzo al canto dell’Internazionale) per poi concentrarsi sulle donne della sua vita (le quattro donne che –ci dice parafrasando il Petrarca –“intorno al cor mi son venute” ed alle quali è stato dedicato sia il testo ‘L’uomo che non credeva in Dio’, sia le pagine di questo racconto: Simonetta la moglie, Enrica e Donata le figlie, Serena prima compagna e poi moglie) e sulla ricostruzione delle vicissitudini che lo hanno riguardato nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’adultità (coinvolgendo il lettore sia in personalissimi timori, come la temuta separazione dei genitori, sia nel rievocare esperienze professionali particolari, come la direzione durata cinque mesi di una casa da gioco). L’emergere a più riprese di riferimenti alla propria vita privata caratterizza comunque tutto lo scritto, nella convinzione, dichiarata dall’autore, che “in una memoria autobiografica (…) non ci possa essere una rigida distinzione tra vita privata e vita professionale e pubblica poiché l’una si riflette inevitabilmente sull’altra e viceversa.”
Il secondo aspetto, più propriamente biografico, tratteggia singoli aspetti di alcune fra le figure più significative del ‘900: politici, dirigenti di partito e intellettuali; figure istituzionali di primo piano e generali; economisti ed imprenditori; editori, colleghi direttori e giornalisti,  sono testimoni e protagonisti di incontri, confronti e scontri accesi con l’autore, che non disdegna mai ‘fatiche, lotte e rischi.’
Il terzo aspetto è di natura politico-sociale. Nonostante, infatti, la storia dell’Italia rimanga sullo sfondo,  sono molti i passaggi cruciali della democrazia italiana che vedono Eugenio Scalfari come attivo testimone degli eventi che si succedono. Uno su tutti  il ‘Piano Solo’ del 1964 che ha come principale protagonista il generale De Lorenzo, tirato in ballo dall’Espresso tre anni più tardi con una specifica inchiesta. Lo stesso De Lorenzo si trasforma in accusatore sporgendo querela per diffamazione ed il Tribunale,  pur prendendo atto di non aver potuto disporre della documentazione richiesta anche a seguito dei costanti omissis e del segreto di Stato invocato dal Presidente del Consiglio Aldo Moro, emette una condanna a 17 mesi di reclusione ed al pagamento delle spese processuali.

Alcuni anni fa, nel presentare uno dei più autobiografici fra i suoi testi (‘L’uomo che non credeva in Dio’ del 2009) riportavo un’affermazione dello stesso Scalfari che diceva: “Se fosse possibile raccontare la propria morte e di lì procedere a ritroso narrando la propria vita, allora si che l’autobiografia diventerebbe un genere letterario maggiore. Ma purtroppo non si può.”

Certo l’affermazione potrebbe essere riproposta. Ma è altrettanto vero che lo stretto intreccio fra scelte personali e ricadute pubbliche dei propri gesti, la leggerezza di un incedere narrativo che procede per ‘racconti’ più che per ‘asserzioni’ e la testimonianza di vita che non trascura le vicende familiari pur in presenza di imponenti trascorsi professionali, collocano già il ‘racconto’ di Eugenio Scalfari al centro di uno scaffale autobiografico indispensabile per far tesoro del nostro passato e consentirci di costruire un futuro degno di essere vissuto.