lunedì 23 settembre 2013

Festival Nazionale dell’Autobiografia 2013 - Anghiari LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI


Entro nella sala già al buio. Anche lo schermo è scuro e a tentoni mi posiziono a ridosso dello stipite della porta di ingresso.
Nel buio intravedo tutti i posti a sedere occupati e decido di stare in piedi, tanto –mi dico- non durerà più di 20-25 minuti, come tutti i documentari che vogliano illustrare un tema realistico e niente affatto leggero quali le attuali condizioni di vita nelle carceri.
Sullo schermo cominciano a scorrere le immagini e fermo, lì, in piedi, perdo la cognizione del tempo che scorre.
Nadia, Gimmy, Barbara…..
Le mura alte e lisce, le pesanti porte metalliche che si aprono e si chiudono, le chiavi che entrano ed escono dai buchi delle serrature, ferro contro ferro. 
Ogni tassello sembra rientrare in un puzzle che evoca immagini rinchiuse, segregate, claustrofobiche.
.....Alfonso, Silvana, Mauro…..
Fosse solo questo, non avrei retto più di 5-10 minuti al massimo, perché ciascuno ha i propri fantasmi interiori e difficilmente si presta, se non costretto, a rievocarli.
Sono i volti che cominciano ad emergere a fare la differenza: volti anche scavati ma nitidi, sinceri, espressivi.
E sono ancor più le parole che vengono pronunciate ad inchiodare tutti coloro che ascoltano, seduti o in piedi, al proprio posto.
Echi profondi emergono guidati da un linguaggio emotivo che credevo si fosse ormai smarrito nella notte dei tempi.
…..Renzo, Filippo, Detty…..
Presenze vive e palpitanti si muovono entro spazi reclusi e si dissolvono come per incanto per poi ricomparire poco più oltre.
Ma sono le parole pronunciate da questo ‘popolo della lettura e della scrittura del carcere di Opera a Milano’ –così come lo definirà Duccio Demetrio introducendo la loro testimonianza diretta- che fanno la differenza.
Sono parole piene che rimangono sospese a mezz’aria senza precipitare.
Sono parole aspre che penetrano nei cuori di chi ascolta facendoli palpitare senza scompensarli.
Sono parole in libertà che non trasudano vendetta e risentimento e pur non facendo sconti sciolgono barriere e pregiudizi.
…..Emanuela, Giorgia, Deborah…..
Oltre al nome di ciascuno, è l’indicazione degli anni già trascorsi in cella a precedere i mesi o gli anni ancora da scontare: è così che ognuno viene presentato.
Sette, quindici, diciassette, trenta anni, da un lato.
Cinque mesi, due, dodici anni, fine pena mai, dall’altro.
Enormità quantitative si intrecciano a miracoli qualitativi. Un mix di amarezza, buon senso e profondità di pensiero prende strade diverse. Si parla; si scrivono brevi testi o si riempiono decine e decine di pagine; si compongono poche righe in rima o più poesie già prima di ogni incontro.
Ma ciò che colpisce è come, nel laboratorio autobiografico,  ci si prepari all’incontro con figure di scrittori ed artisti di spicco del panorama nazionale. Sembrano quasi più preparati gli ‘studenti’ dei ‘professori’, tanto che uno dei primi dirà successivamente e con semplicità: “Il professor Demetrio è venuto per partecipare al nostro gruppo.”
…..Paolo, Carlo, Cristina.
Sono tutti loro, al termine della proiezione, ad emergere in carne, ossa e pensieri: i registi, i volontari, le conduttrici dei laboratori, ma soprattutto alcuni dei protagonisti del ‘popolo dei lettori e degli scrittori del carcere di Opera’, che sembrano aver letteralmente ‘bucato lo schermo’.
Da liberi, semi-liberi ammessi a misure alternative, o detenuti in permesso, non importa.
E non mancano nemmeno le ‘parole in libertà’ di chi non è fisicamente presente, citate a più riprese.
La dedica finale ai quattro detenuti morti nel carcere di Opera solamente nell’ultimo mese, poi, ricorda a tutti che stiamo parlando sì di un’esperienza quale ‘Leggere libera-mente’ che ha riguardato alcune decine di detenuti, ma che la popolazione carceraria –oltre 1400 persone nel solo carcere di Opera- è ben più estesa.
Gli applausi non si contano, ma è l’affetto corale che si sprigiona dalla sala a rimarcare il fatto che l’autobiografia se in alcuni casi può rappresentare un autocompiacimento solipsistico, in altri è lezione di vita straordinaria non solo per chi racconta ma specialmente per chi ascolta. Che può ringraziare il cielo per essere divenuto capace, avviandosi all’uscita della sala, di levarsi un po’ di cispa dagli occhi. (G.M.)

Intervento ripreso dal sito ufficiale del film  nella sezione 'Dicono di noi', all'indirizzo:
http://www.levarsilacispadagliocchi.it/levarsilacispadagliocchi.it_-_dicono_di_noi.html

domenica 8 settembre 2013

UNA LUCE CHE RISCHIARA IL CAMMINO

Una luce che rischiara il cammino, nei momenti difficili


Stai vivendo la tua vita, ma sembri non accorgerti di trovarti ai confini dell’Universo.
Nessuno, infatti, dotato di un minimo di raziocinio può pensare di occupare il centro della scena.

D’altronde, in un Universo multicentrico, va da sé che convergere verso un’unica meta per occupare saldamente il palcoscenico, non è realisticamente possibile.
Puoi restringere il campo, ma non tarderai a scoprire che anche la tua Patria, la tua Regione e la tua Città sono ugualmente multicentriche.

Tutto accade in una pluralità di situazioni diverse.
Ciò vuol dire, in concreto, che anche ove occupassi il centro di una scena, avresti un numero imprecisato di imitatori su altrettante tribune; impossibile a dirsi se più centrali o più periferiche.

E’ allora che ti butti sul tuo Quartiere, pensando che diventare Re a casa propria è più facile che farlo in trasferta. 
Niente di più sbagliato! Avevi dimenticato l’antico adagio che recita ‘Nemo propheta in patria’. E così ti accorgi che anche il Quartiere è multicentrico, così come il Rione, la Strada e finanche il Caseggiato.

“Basta! Ho capito l’antifona, questa volta non posso fallire.”
Ti alzi presto al mattino, prendi le misure, tracci rette e diagonali, calcoli il centro perfetto della tua Abitazione e lo vai ad occupare, pensando che nessuno potrà insidiare il tuo primato.
Resti immobile, pregustando chissà quali soddisfazioni e riconoscimenti.

E lì rimani, a consumare il giorno e la notte che si avvicendano, le settimane che si accumulano, i mesi che si sgretolano e gli anni che rotolano via.

Poi, all’improvviso, capisci ciò che neanche mille anni di spiegazioni articolate avrebbero potuto farti comprendere.
Non esiste alcun centro, nè per te, tantomeno per la Terra o per l’intera Galassia.
Lo stesso concetto di multicentrismo è malposto e, sostanzialmente, erroneo perché moltiplica le centralità invece di abbatterle.
Ma in assenza di uno o più centri anche le periferie perdono significato ed i confini diventano una mera convenzione che distingue il conoscibile dall’inconoscibile.

E’ per questo che, ormai non più tanto giovane ma con spirito rinnovato, lasci il centro della tua Abitazione per cominciare, realmente, a vivere.
Visitando luoghi frequentati da molti ma sconosciuti ai più.
Raggiungendo mete fisicamente irrilevanti ma spiritualmente sconfinate.
Esplorando percorsi considerati elementari che celano mete magistrali.

Ed alla fine comprendi il messaggio: non sei al centro; non sei nemmeno in periferia; semplicemente, ci sei.
E passare oltre non è una iattura quanto una controprova dell’esserci stati.
A che scopo? Non è dato sapere, anche se spesso la soluzione di un enigma è più vicina di quanto non si creda.
Riceverla –la vita-, viverla e donarla a propria volta, se si è fortunati, è già un grande traguardo.

Una luce che rischiara il cammino, nei momenti difficili.