giovedì 31 ottobre 2013

IO SONO MALALA - Dal Premio Sakharov 2013 al Premio Nobel 2014 - Quarta e ultima parte

VICINI A MALALA - Quarta Parte (Tra la vita e la morte)

Cap. 21 – <Dio, l’affido a te>.
“Papà era al Club della Stampa dello Swat (…) Lui era sempre stato convinto che se i talebani fossero venuti ad ammazzare qualcuno sarebbe toccato a lui, non a me. (…) Ma fu l’esercito a prendere in mano la situazione. Alle tre del pomeriggio il comandante del distaccamento locale giunse in ospedale e annunciò che era in arrivo un elicottero militare che avrebbe trasportato me e mio padre in un ospedale di Peshawar, (…) Mentre guardavano il velivolo sollevarsi piano, mia madre si tolse il velo dalla testa –un  gesto rarissimo per una donna pashtun- e lo sollevò alto verso il cielo con entrambe le mani, come in una offerta. <Dio, l’affido a te>, disse rivolgendosi al cielo. (…) Lei era affidata alla Tua protezione, e adesso Tu devi rendercela>.”

Cap. 22 – Viaggio nell’ignoto.
“ Il governo inglese aveva offerto assistenza: aveva bisogno però di una richiesta formale da parte del governo pakistano. Ma il mio governo era riluttante a procedere perché temeva di perdere la faccia. Fortunatamente, a questo punto, ci fu un intervento diretto della famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti, che offrì un suo jet privato con a bordo un ospedale completo. Sarei uscita dal Pakistan per la prima volta in vita mia nelle prime ore di lunedì 15 ottobre.”


 Quinta Parte


(Una seconda vita)
Cap. 23 – <La bambina a cui hanno sparato in testa, Birmingham>.
“Ero ossessionata dal problema dei soldi. Quelli dei miei premi se ne erano quasi tutti andati nella scuola e per comprare un appezzamento di terra nel nostro villaggio nello Shangla. Ogni volta che vedevo i dottori confabulare tra loro pensavo che stessero dicendo <Malala non ha i soldi. Malala non può pagarsi le cure.> (…) Poi Rehanna mi disse che in tutto il mondo milioni di persone e di bambini mi avevano sostenuto e avevano pregato per me.  Fu allora che mi resi conto che la gente mi aveva salvato la vita. Se ero stata risparmiata, c’era una ragione.”

Cap. 24 – <Le hanno strappato il sorriso>.
“Spesso noi esseri umani non ci rendiamo conto di quanto Dio sia grande. Lui ci ha dato un cervello straordinario e un cuore sensibile e capace d’amore. Ci ha benedetto donandoci due labbra con cui parlare ed esprimere i nostri sentimenti, due occhi con cui ammirare un mondo di colori e di bellezza, due piedi con cui percorrere le strade della vita, due mani che lavorano per noi, un naso capace di cogliere i profumi e due orecchie con cui sentire parole d’amore. Come avevo sperimentato nel caso del mio orecchio sinistro, non ci rendiamo conto di quanto potere ci sia in ciascuno degli organi del nostro corpo finchè non ne perdiamo uno.”

EPILOGO – Un bambino, un insegnante, un libro, una penna….
“Il giorno del mio sedicesimo compleanno ero a Naw York per parlare alle Nazioni Unite. Alzarmi in piedi per rivolgermi ad una platea nell’immensa sala dove tanti leader mondiali hanno parlato prima di me è stato terribilmente emozionante, ma sapevo cosa volevo dire.(…) Non avevo scritto il mio discorso pensando soltanto ai delegati delle Nazioni Unite. L’avevo preparato pensando di rivolgermi a chiunque nel mondo possa fare la differenza. (…) <Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne>, dissi. <Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.> (…)
La pace in ogni casa, in ogni strada, in ogni villaggio, in ogni nazione– questo è il mio sogno. L’istruzione per ogni bambino e bambina del mondo. Sedermi a scuola e leggere libri insieme a tutte le mie amiche è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio.

Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato, ma io no.” 

domenica 27 ottobre 2013

IO SONO MALALA - Dal Premio Sakharov 2013 al Premio Nobel 2014 - Terza parte



VICINI A MALALA - Terza parte (Tre ragazze, tre pallottole)

Cap. 16 – La valle delle disgrazie.
“Era la peggiore alluvione a memoria d’uomo. (…) Sui giornali leggemmo che in quella catastrofe erano state perse più vite umane ed erano stati causati più danni che nello tsunami del Sudest asiatico, nel terremoto del 2005, nell’uragano Katrina e nel sisma di Haiti messi insieme. (…)
La gente abitava lungo il corso dello Swat da più di tremila anni e l’aveva sempre visto come una fonte di vita e non come una minaccia, considerando la nostra valle come un porto sicuro. Ora invece eravamo diventati <la valle delle disgrazie>, come diceva mio cugino Sultan Rome. Prima il terremoto, poi i talebani, poi le operazioni militari e adesso, proprio mentre stavamo cercando di ricostruire, quell’inondazione che aveva spazzato via tutto il nostro lavoro.”

Cap. 17 – Pregavo di diventare più alta.
“Nell’ottobre 2011 papà mi disse che una e-mail l’aveva informato del fatto che io ero una delle cinque candidate per il premio internazionale per la pace di Kid’s Rights, un’organizzazione con sede ad Amsterdam che lavora in difesa dei diritti dei bambini. Il mio nome era stato fatto dall’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, un grande eroe di mio padre per la sua lotta contro l’apartheid. Papà fu molto deluso quando non vinsi, ma io gli feci notare che noi non facevamo altro che parlare: non avevamo un’organizzazione che facesse delle cose pratiche come i vincitori del premio.”

Cap. 18 – La donna e il mare.
“Era il gennaio del 2012, e ci trovavamo a Karachi ospiti di Geo TV, dopo che il governo del Sindh aveva annunciato la propria intenzione di ribattezzare una scuola secondaria femminile di Mission Road con il mio nome.(…) …lei ci mostrò che proprio quel giorno i talebani avevano pubblicato su Internet delle minacce contro due donne: Shah Begum, un’attivista del Dir e…me, Malala. <Queste due stanno diffondendo il secolarismo, e bisognerebbe ucciderle!> diceva il testo. (…) Dissero che il mio profilo nazionale e internazionale mi era valso l’attenzione e le minacce di morte dei talebani, e che ora avevo bisogno di protezione. Si offrirono di fornirci una scorta, ma papà era riluttante. Molte persone, nello Swat, erano state uccise pur avendo le guardie del corpo, anzi, il governatore del Punjab era stato freddato proprio da una di loro.”

Cap. 19 – Una talebanizzazione <privata>.
“Il 12 luglio compii 15 anni, il che, secondo l’Islam, significa che sei un adulto. Insieme al mio compleanno arrivò la notizia che i talebani avevano ucciso il proprietario dello Swat Continental Hotel, che era un attivista per la pace come mio padre. (…) <I talebani non sono una forza organizzata come ce la immaginiamo noi>, disse Hidayatullah, l’amico di mio padre, quando ne parlarono. <Rappresentano una mentalità, e questa mentalità è un po’ dappertutto in Pakistan. Chiunque sia contro l’America, contro l’establishment pakistano, contro la legge inglese, è stato infettato dai talebani.>”

Cap. 20 – Chi è Malala?
“…cominciai a mia volta a fare brutti sogni. Non dicevo niente ai miei genitori, ma quando uscivo di casa avevo paura che talebani armati di fucile mi saltassero addosso, o che mi gettassero dell’acido in faccia come avevano fatto con alcune donne in Afghanistan. (…)
Non vidi i due giovani uomini che avanzarono di un passo in mezzo alla strada costringendo l’autobus ad una brusca frenata. E non ebbi modo di rispondere alla loro domanda -<Chi è Malala?> - altrimenti avrei spiegato loro che dovevano assolutamente permettere a noi ragazze di andare a scuola, e anche alle loro figlie e sorelle.”

giovedì 24 ottobre 2013

IO SONO MALALA - Dal Premio Sakharov 2013 al Premio Nobel 2014 - Seconda parte





VICINI A MALALA - Seconda Parte (La valle della morte)

Cap. 9 – Radio Mullah.
"<E' così che lavora questa gente. Vogliono conquistare il cuore e la mente delle persone, quindi in una prima fase studiano bene quali siano i problemi di una zona e ne identificano i responsabili, in modo da conquistare l'appoggio della maggioranza silenziosa. E' quello che hanno fatto nel Waziristan, dove hanno cercato di eliminare il problema dei rapimenti e dei banditi. Poi, quando riescono ad andare al potere, si comportano esattamente come i criminali a cui prima davano la caccia.>"

Cap. 10 – Caramelle, palle da tennis e i Buddha dello Swat.
" Il 27 dicembre (2007) Benazir Bhutto partecipò a un comizio elettorale a Liaquat Bagh, il parco di Rawalpindi in cui era stato assassinato il nostro primo ministro Liaquat Ali Khan. <Sconfiggeremo le forze dell'estremismo e i combattenti in armi con il potere della gente>, disse, e tutti applaudirono. (...) Quando venimmo a sapere che non era sopravvissuta (all'attentato), una voce dentro di me disse <Perchè non vai laggiù a batterti per i diritti delle donne?"

Cap. 11 – La classe delle intelligentone.
"La nostra scuola era un porto sicuro tra gli orrori che accadevano fuori. Tutte le altre ragazze della mia classe sognavano di diventare medici, ma io decisi che avrei fatto l'inventore e costruito una macchina antitalebani che li avrebbe aspirati e risputati fuori senza le loro armi."

Cap. 12 – La Piazza Insanguinata.
"I corpi venivano scaricati in mezzo alla piazza affinchè tutti potessero vederli il giorno dopo andando al lavoro. Di solito c'era un bigliettino attaccato a unpo dei cadaveri che diceva qualcosa come: <Ecco cosa succede a un agente dell'esercito>, oppure <Non toccate questo corpo fino alle 11 di domani o sarete i prossimi. (...) Erano talmente tanti i cadaveri che erano stati buttati in quello spiazzo che ormai la gente aveva preso a chiamarla la Piazza Insanguinata."

Cap. 13 – Il diario di Gul Makai.
"Fu durante uno di quei giorni bui che mio padre ricevette la telefonata del suo amico Abdul Hai Kakar, corrispondente radiofonico della BBC con sede a Peshawar. Stava cercando un'insegnante che volesse scrivere un diario raccontando la vita sotto i talebani. Voleva mostrare il lato umano della catastrofe in corso nello Swat. (...) Non avevo mai tenuto un diario prima di allora e non sapevo come cominciare. (...) La mia prima pagina di diario fu pubblicata il 3 gennaio 2009. Il titolo era <Ho paura>. (...) Scrivevo che avevo paura di andare a scuola per colpa dell'editto dei talebani e che ero costretta a guardarmi continuamente alle spalle."

Cap. 14 – Uno strano tipo di pace.
"La pressione esercitata dall'intero paese ebbe effetto e Fazlullah accettò di togliere la proibizione ma solo per le bambine fino a dieci anni, vale a dire nella quarta classe. Io ero in quinta e insieme ad alcune mie compagne fingemmo di essere più piccole, Ricominciammo ad andare a scuola, vestite normalmente e con i libri nascosti sotto lo scialle. Era pericoloso, ma allora era la mia unica ambizione. (...) <La scuola segreta è la nostra protesta silenziosa>, ci disse (l'insegnante, la signora Maryam)."

Cap. 15 – Lontano dalla valle.
“Lasciare la valle fu la cosa più difficile e dolorosa che avessi fatto fino a quel momento. (…) Il 5 maggio 2009 diventammo ufficialmente <sfollati interni>. Suonava come una malattia. (…)
E’ straordinario pensare che i tre quarti di tutti gli sfollati interni furono accolti da famiglie di Mardan e della vicina Swabi. Tutti aprirono le porte delle loro case, scuola e moschee ai profughi. Nella nostra cultura ci si aspetta che le donne non socializzino con uomini che non sono loro parenti. Per proteggere il purdah, gli uomini delle famiglie che accolsero i profughi andarono addirittura a dormire fuori casa. Diventarono a loro volta sfollati interni volontari. Un incredibile esempio della famosa ospitalità pashtun.”

lunedì 21 ottobre 2013

IO SONO MALALA - Dal Premio Sakharov 2013 al Premio Nobel 2014 - Prima parte








VICINI A MALALA - Prima Parte (Prima dei talebani)

"Io sono Malala. La mia battaglia per la libertà e l'istruzione delle donne" è il volume autobiografico di Malala Yousafzai che è appena uscito in tutto il mondo. Il progetto 'VICINI A MALALA' oltre a sostenere la sua candidatura al Premio Nobel fino a quando questo non sarà effettivamente assegnato, intende per il momento far sentire in presa diretta la sua voce riportando alcuni frammenti significativi del libro.

Cap. 1 – E’ nata una femmina.
"Per molti pashtun, quello in cui nasce una femmina è un giorno triste. (...) Ma mio padre, Ziauddin, è diverso dalla maggioranza degli uomini pashtun. (...) E spiegava a chiunque lo stesse a sentire: <So che c'è qualcosa di diverso in questa bambina>. Chiese agli amici di gettare nella mia culla frutta secca, dolci e monetine, un'usanza che di solito vale solo per i neonati maschi."

Cap. 2 – Mio padre, il falco.
"Il nonno gli trasmise dunque un profondo amore per l'apprendimento e la conoscenza, insieme a un'acuta consapevolezza dei diritti e delle discriminazioni, tutte cose che a sua volta mio padre ha insegnato a me."

Cap. 3 – Crescere in una scuola.
“Si può dire che io sia cresciuta a scuola. (…) Un pomeriggio del settembre 2001 vidi intorno a me una grande agitazione. Alcune persone arrivarono di corsa e dissero che a New York c’era stato un attacco devastante, con due aerei di linea che si erano scagliati contro due grattacieli. Io avevo solo 4 anni, ed ero troppo piccola per capire. (…) La scuola era il mio mondo, e il mio mondo era la scuola. In quel momento non ci rendevamo conto che l’11 settembre avrebbe cambiato per sempre anche il nostro mondo e che un giorno avrebbe portato la guerra nella nostra valle.”

Cap. 4 – Il villaggio.
“Ascoltando le notizie sulle atrocità che si stavano perpetrando in Afghanistan, mi veniva da esaltare la vita nello Swat. <Qui almeno una ragazza può ancora andare a scuola>, pensavo. Ci si sente liberi, quando ancora non si conosce ciò che accade nel mondo. Ma i talebani erano appena fuori dalla porta di casa, ed erano pashtun come noi. Per me la nostra valle era un posto pieno di sole e non mi accorgevo delle nubi che si addensavano dietro le montagne. Mio padre mi diceva sempre: <Ci sono io a proteggere la tua libertà, Malala. Continua a coltivare i tuoi sogni.>”

Cap. 5 – Perché non porto gli orecchini e perché i pashtun non dicono grazie.
"C'è un'altra cosa nella lettera che Lincoln scrisse all'insegnante di suo figlio: <Gli insegni a perdere con grazia>. Io ero abituata a essere sempre la prima della classe, ma sapevo che anche se hai vinto le ultime tre o quattro volte questo non significa che la prossima vittoria sarà automaticamente tua. E che a volte è meglio raccontare la tua storia. Da quel momento in poi cominciai a scrivermeli da sola, i miei discorsi, e cambiai il modo di pronunciarli, direttamente dal cuore e non dalla carta scritta."

Cap. 6 – I bambini della discarica.
"A scuola avevo parlato con i miei amici dei bambini della discarica, dicendo che dovevamo assolutamente aiutarli. (...)Qualcuno diceva anche che non stava a noi cercare di risolvere simili problemi. (...)Sapevo che era del tutto inutile fare appello al generale Musharraf. In circostanze del genere, secondo la mia esperienza, se papà non poteva fare niente c'era solo un'altra opzione: scrissi una lettera a Dio. <Caro Dio, so che Tu vedi ogni cosa (...) Ma non credo che saresti molto contento se vedessi come vivono questi bambini della discarica della mia strada sul loro cumulo di immondizie. (...) la arrotolai, la fissai ad un legnetto, vi legai un dente di leone e la abbandonai nel torrente che si gettava nel fiume Swat. Sicuramente lì Dio l'avrebbe trovata."

Cap. 7 – Il mufti che voleva chiudere la nostra scuola.
"Nel 2003 aprì i battenti la scuola superiore di mio padre. Il primo anno furono formate classi miste. Ma l'anno seguente l'aria era cambiata, ed era diventato impensabile tenere insieme maschi e femmine."

Cap. 8 – L’autunno del terremoto.
Lo Swat si trova su una linea di faglia e i terremoti sono piuttosto frequenti. Ma quella volta (8 ottobre 2005) fu diverso. Attorno a noi tutti gli edifici tremavano e nell'aria rimbombava un tuono che sembra non dovesse mai cessare."