giovedì 28 giugno 2018

La vita come un sogno per UN PASTORE DI STAMBECCHI.

IL PASTORE DI STAMBECCHI

Storia di una vita fuori traccia 


(Louis Oreiller con Irene Borgna, Ponte alle Grazie, 2018)

Visto che parliamo di una 'autobiografia assistita' e non di un giallo, iniziare dalla fine non è un delitto.
"Ormai è raro che mi allontani molto da Rhemes, calpesto i miei passi sui sentieri fra i larici, mi presento al cospetto di rocce o cascate come in visita a vecchi amici. Quello che invece mi succede sempre più spesso è di pensare a tutto quel che è stato, a un contrabbandiere bambino semicongelato nella piccola stalla di una povera casa di un paese minuscolo in una valle tronca, a un giovane manovale infaticabile, a un guardiaparco curioso degli animali, a un guardiacaccia che contende ai bracconieri la notte e la selvaggina, a un vecchio dallo sguardo azzurro che sbotta per la fatica di molare la lama della motosega: ed ecco che le immagini si confondono, diventano irreali, come in un sogno. Si, ci sono delle volte in cui mi dico che forse ho solo sognato."
E ci si potrebbe anche fermare qui, perché questa carrellata di diverse fasi della vita e di impegni lavorativi di un Valdostano che si sente anzitutto un Italiano ("Se toccano me posso anche sopportare, ma non toccatemi l'Italia") e che ha superato gli ottanta autunni ed inverni (perchè le primavere e le estati nella sua valle non sembrano contemplate), restituisce senz'altro alcuni passaggi fondamentali della sua esistenza. Una vita quasi integralmente trascorsa in uno stesso paese in un connubio a tratti inestricabile con la montagna, che non gli appartiene ma alla quale lui si sente di appartenere. In un rapporto vitale con il mondo minerale (le rocce), vegetale (gli alberi) e animale (gli stambecchi anzitutto, ma non solo).
Ma questo è solo l’inizio, in realtà. Perchè nel libro si parla di un uomo che affinando le sue capacità di osservazione, ma anche comunicando in modo non convenzionale con il mondo che lo circonda, riesce a trovare passaggi negati agli altri umani, ad accompagnarsi con esemplari del mondo animale -non certo domestici- che sente affini a sè e a prevedere, con una buona approssimazione, le catastrofi naturali che la montagna elargisce da tempo immemore.
Un 'pastore di stambecchi' che non ha avuto bisogno di girare il mondo per sentirsi in sintonia con la natura, ma che ha visto molti frequentatori del mondo, anche illustri, preferirlo a chiunque altro per visitare la montagna con maggiore sicurezza.
Insomma un raro esempio di 'vita fuori traccia' che porta la sua 'quasi-biografa' (o meglio 'assistente autobiografa') ad affermare nell'introduzione: "Perdere i saperi di Louis, i racconti dei suoi incontri con la montagna non sarebbe solo smarrire delle belle storie, ma rinunciare a una frammentaria, confusa, in parte cancellata Stele di Rosetta per intendere il mondo alpino."
Con l'augurio che il 'linguaggio della montagna', attraverso la lezione di vita di Louis Oreiller, possa essere meglio interpretato per preservarne, almeno in parte, la residua integrità.
(Giorgio Macario)







venerdì 22 giugno 2018

BERARDI e JULIA: spunti autobiografici e narrazioni biografiche


UN NARRATORE AL SERVIZIO DELLA STORIA: 

INTERVISTA A GIANCARLO BERARDI



“Durante lo svolgimento, semino situazioni e personaggi, senza chiedermi quali saranno determinanti. Mi piace tenere aperte tutte le possibilità. A un certo punto, sarà la storia stessa a scegliere la sua naturale e logica conclusione.
Questa libertà mi permette di dare spazio a situazioni e tipi imprevisti e, soprattutto, di ‘sorprendermi’.”




Leggere queste parole nell’interessante intervista a Giancarlo Berardi per i 20 anni di Julia, eccellenza femminile nel fumetto italiano, mi ha fatto venire alla mente uno dei molti scambi di pensieri ed opinioni fatto con Lele Luzzati ormai parecchi anni fa.
Mi è sembrato cioè di vedere all’opera, su altri versanti, la magia del teatro di cui mi parlava Lele quando diceva che gli spunti per le scenografie emergevano a volte anche confusi, ma che ad un certo punto convergevano verso un certo percorso e, come per magia, tutto si ricomponeva.



Perchè leggere questa non brevissima intervista fino in fondo? Perchè Giancarlo Berardi è una persona autentica, non costruita, un professionista che nelle sue ricostruzioni fa trasparire un’intera umanità degna di essere avvicinata ed esplorata, anche nelle sue parti più oscure.


Un’ultimo consiglio: se vi capita fra le mani un numero qualsiasi di Julia dei 237 in circolazione, non saltate a piè pari le due pagine iniziali dedicate a ‘Il Diario di Julia’, perchè rappresentano un intreccio unico nel panorama nazionale fra spunti autobiografici e narrazioni biografiche. Con riferimenti auto-bio-grafici non solo dei lettori che scrivono, ma anche dei personaggi che rispondono e -cosa più unica che rara- dell’autore che partecipa a questi dialoghi in prima persona. (G.M.)




Questo il link all'intervista realizzata con Giancarlo Berardi, creatore di JULIA, in occasione del ventennale della pubblicazione. Comparsa il 22 giugno 2018 su 'Lo spazio bianco', a cura di Davide Grilli e Ettore Gabrielli. 


martedì 19 giugno 2018

DALL'ABBANDONO DELLA SCRITTURA ALLA SEMPLIFICAZIONE DEL PENSIERO


DALL’ABBANDONO DELLA SCRITTURA
 ALLA  SEMPLIFICAZIONE DEL PENSIERO



L’auspicio è che la riflessione autobiografica possa agevolare la comprensione di ciò che siamo stati ma, al contempo, favorire la ricerca delle energie e degli orizzonti che consentano un futuro possibile, desiderabile e condivisibile.

                                                                                                          di Giorgio Macario*
                                                                                             
 Ciò che ora stava per fare
era iniziare un diario,
un atto non illegale di per sé…
ma si poteva ragionevolmente presumere
che, se lo avessero scoperto,
l’avrebbero punito con la morte…”
George Orwell[1]

Nei primi anni si impara a 360°, poi piano piano
si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza.
Ma se uno ha imparato a imparare -è questo il segreto,
imparare a imparare!- questo gli rimane per sempre,
rimane una persona aperta alla realtà.
Questo lo insegnava anche un grande educatore
che era un prete: Don Lorenzo Milani.”
Francesco[2]


1. Autobiografia, scrittura e pensiero.

La radice etimologica della parola ‘autobiografia’ (autòs-bìos-graphein) ci restituisce la funzione fondamentale della scrittura nell’affrontare la propria storia di vita, ma è anche vero che la progressiva estensione dell’interesse generale verso gli apporti autobiografici ha contribuito a scotomizzare almeno in parte la scrittura a favore della più ampia narrazione di sè.
Anche per questo motivo, può essere particolarmente interessante considerare l’autobiografia come possibile risposta ad alcune tendenze che si evidenziano nelle dinamiche personali, interindividuali e sociali dei giorni nostri.
Due di queste tendenze riguardano da un lato l’abbandono della scrittura e dall’altro la semplificazione del pensiero,  fenomeni entrambi rintracciabili in molte esperienze che attraversano la quotidianità. Il fatto che la scrittura sia sempre meno frequentata e praticata può sembrare un’affermazione quasi ovvia nella nostra civiltà dove l’immagine è sempre più imperante. Per chi ha occasione di prendere in considerazione alcune scritture maggiormente formalizzate come quelle dei concorsi, degli esami universitari o ancor più delle tesi di laurea, ciò balza agli occhi con grande evidenza. Concorsi nei quali, fra le decine di migliaia di partecipanti, non riescono a superare le prove scritte neppure le poche centinaia di persone necessarie a coprire i posti disponibili, non sono affatto un’eccezione; così come sono estremamente frequenti i casi di studenti che, pur avendo medie di voti molto alte, giustificano singole votazioni deludenti con l'impossibilità di ottenere un voto più alto laddove l'esame da sostenere sia scritto e non orale. O ancora quante volte, discutendo con colleghi relatori di tesi, ci si è trovati costretti ad estenuanti correzioni, arrivando a consigliare al laureando di procurarsi adeguati supporti onde evitare la presentazione di elaborati scadenti.

Non è difficile trovare esempi analoghi in quasi tutte le aree connesse alla scrittura, tanto da poter rintracciare segnali multipli di un sempre più esteso ‘analfabetismo grafico’ di ritorno. Ed accanto a questo fenomeno, a fronte di una crescente ed estesa complessità della realtà che ci circonda, si assiste ad un costante richiamo a ricette semplificanti che non favoriscono certo un utilizzo pieno, articolato e multiforme delle proprie capacità di pensiero.
Queste prime considerazioni sembrano evocare uno scenario di morte della scrittura e di abbandono delle complessità potenziali del pensiero. Ma sono in realtà orientate alla comprensione  della gravità dell’attuale situazione: in un tale contesto, infatti, è l’utilizzo sempre più esteso e consapevole degli apporti autobiografici che può implementare ad un tempo le capacità di scrittura e lo sviluppo del pensiero. L’auspicio, seguendo un recente contributo di un innovativo laboratorio autobiografico[3], è dunque che la riflessione autobiografica possa agevolare la comprensione di ciò che siamo stati ma, al contempo, favorire la ricerca delle energie e degli orizzonti che consentano un futuro possibile, desiderabile e condivisibile.

2. Un possibile filo conduttore: da Orwell a Don Milani, per una rivitalizzazione autobiografica.

“…che continuasse o meno a tenere il diario, non faceva differenza alcuna…”[4]. “…Nella gran parte dei casi non si celebravano processi, né si stendevano resoconti dell’arresto. La gente semplicemente spariva, e sempre di notte. Il nome dell’arrestato veniva cancellato dagli archivi, ogni traccia di quello che aveva fatto nel corso della sua vita veniva rimossa, la sua stessa esistenza di un tempo veniva prima negata quindi dimenticata.”[5]
Il contesto è 1984 di Gorge Orwell, dove la semplificazione –e l’eliminazione all’estremo- della scrittura prelude ad una semplificazione del pensiero che non permette la gradazione di chiaroscuri: tutto, in un processo polarizzato e dicotomizzato all’estremo, è o solo bianco oppure solo nero.
Ma è la lettura dell’appendice al testo sui principi della neolingua che si rivela estremamente interessante ed indispensabile per tracciare un possibile filo conduttore.
“La neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per ridurle, e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta.”[6] Ed ancora, “Data, per esempio, la parola BUONO, non c’era bisogno di una parola come CATTIVO, visto che il significato richiesto veniva reso altrettanto bene –anzi meglio- da SBUONO.”[7]
Ora, è noto che l’acquisizione di nuove parole, che aprono a nuovi significati, costruzioni e saperi, aiuta a comprendere meglio ciò che ci circonda, a complessificare il proprio sguardo sul mondo. In tal modo possono essere superati più agevolmente, quando l’intento non sia quello di complicare la vita a sé o agli altri, gap culturali e sociali anche molto consistenti.
Era proprio questo, accanto all’ ‘imparare a imparare’ richiamato da Papa Francesco nella citazione iniziale, uno degli insegnamenti educativi vitali di Don Milani.
Ed è il recupero, anche in questo caso, di una lezione classica come quella offerta dalla Scuola di Barbiana, in merito alle regole dello scrivere, che può far giustizia dell’attuale scadimento del dibattito culturale ed educativo.
Tenendo sempre presente, quindi, che il primato va dato alla ricerca di senso, di contro al tema dato per la Licenza Media su “Parlano le carrozze ferroviarie”, si legge: “A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo.”[8]
Vale in questo caso, ma anche in molti altri, l’indicazione di un noto studioso sull’antropologia della scrittura, che cita: “…la scrittura non è stata semplicemente un’importante appendice alla vita sociale, ma l’ha influenzata sin nei più intimi recessi, mutando in modi significativi la coscienza degli uomini in generale.”[9]
Seguire una metodologia e richiamare alcune regole, come avviene nel caso di ‘Lettera a una professoressa’, è quindi una indicazione da non dimenticare ed è uno strumento utile per favorire l’esprimersi con la scrittura.
Ma, ancor più, è seguendo il contributo di Duccio Demetrio nella presentazione della Libera Università dell’Autobiografia[10] che la maggiore capacità di esprimersi si può declinare nell’esperienza della ‘scrittura di sè’, ma anche nella più soddisfacente ‘scrittura per sè’.
Lo ‘scrivere di sè’, della propria storia, è possibile per tutti, a partire da coloro che hanno pochissimi strumenti, perchè scriviamo di noi stessi continuamente, nel nostro cervello, nei nostri gesti ed incontri, ed anche sulla carta, in un diario o in altre stesure autobiografiche. Ma è con lo ‘scrivere per sè’, che si innescano percorsi di autocura, di ricerca del benessere, che consentono un incontro più convinto, anche di carattere introspettivo, con il proprio percorso di vita; e questo percorso, se da un lato può liberare da una autocentratura più consistente, si offre e ci offre, d’altra parte, anche alla lettura degli altri.

3. Uno scenario che muta rapidamente.

In questi primi due decenni del secolo lo scenario si è modificato profondamente e con grande celerità: è per questo che le tendenze prevalenti, in particolare per chi si occupa di infanzia,  vanno identificate con altrettanta tempestività, onde evitare di praticare scelte educative inefficaci se non dannose. Individuarne alcune è perciò essenziale. Fra queste:
·       Il prevalere di immagini che semplificano.
La prevalenza dell’iconico è ampiamente documentata, e tende, spesso, a realizzare una semplificazione che svuota il pensiero.
·       La disabitudine a scrivere ed il sempre più diffuso analfabetismo di ritorno.
Gli esempi di disabitudine a scrivere sono sempre più diffusi e rappresentano, di fatto, una conseguenza del prevalere dei linguaggi iconici succitati. Mentre per gli adulti questa disabitudine è concausa di un crescente analfabetismo di ritorno, per molti giovani rischia di rappresentare una incapacità permanente di accedere alla scrittura.
·       La contrazione della scrittura per velocizzare la comunicazione.
Questa contrazione della scrittura in alcuni casi crea veri e propri codici, in analogia ai messaggi criptati, mentre  la moltiplicazione dei messaggi sembra avere una funzione in gran parte ansiolitica, moltiplicando i momenti di scambio senza funzioni informative vere e proprie.
·       La confusione fra ‘vita reale’ e ‘realtà virtuale’.
Questa confusione è particolarmente diffusa e preoccupante nel caso di giovani e giovanissimi che, abituati alla ‘realtà virtuale’, spesso tendono a voler applicare la moviola alla ‘vita reale’ che scorre o anche a considerare illusoriamente reversibili atti definitivi quali quelli suicidari.

D’altra parte, possono essere individuate anche alcune controtendenze, che sicuramente dilatano gli spazi della scrittura, molto spesso anche autobiografica, contribuendo ad un allargamento -o almeno ad un mantenimento- degli spazi di pensiero. Fra queste:
·       La diffusione dei BLOG su internet.
La diffusione della scrittura in moltissimi blog riporta anche la scrittura di sé al centro[11], con funzioni soggettive ma spesso anche sociali ed educative.
·       Il riutilizzo delle Moleskine.[12]
Così le tratteggia Luis Sepulveda[13]: “E’ un taccuino con la copertina nera che mi accompagna sempre e in cui riverso i miei dubbi, i miei stupori e le mie rabbie di ogni giorno”. Negli ultimi tempi sono in genere giovani dai diciotto ai trenta anni che la utilizzano con frequenza, annotandoci di tutto, ma specialmente poesie, pensieri, canzoni significative, accadimenti vari degni di nota, ecc.
·       La posta elettronica, gli sms, facebook, what’s up.[14]
La diffusione di queste diverse modalità di scrittura -anche veloce o istantanea e certamente più iconica in what’s up che sta soppiantando in diversi casi gli sms- risponde ad esigenze anche molto diversificate: prevalentemente lavorative e gestionali per scambi di materiali ed informazioni, nel primo caso e in parte nel secondo; destinate prevalentemente alle relazioni amicali e di svago più in generale, le altre.

In questi ultimi anni l’attenzione verso l’autobiografia si è notevolmente accentuata, parallelamente al dilagare della narrazione in ogni campo, dalla politica alla letteratura, dagli ambiti pubblicitari alla cultura.
Ed è proprio la maggiore attenzione alle storie di vita, declinata al plurale e non solo al singolare, che può favorire ulteriori spazi per la scrittura autobiografica (e biografica), che trova terreni fecondi non solo nella sensibilizzazione autobiografica di persone adulte e anziane in genere, ma anche nella crescente diffusione fra i detenuti, fra gli ex degenti psichiatrici, fra le persone ‘diversamente abili’, e non solo. Recentemente, con il progetto ‘Nati per Scrivere’, proposto dalla L.U.A. con la collaborazione dell’Associazione Italiana Biblioteche e rivolto agli studenti del ciclo dell’obbligo scolastico, più di 800 ragazzi in 20 città italiane hanno partecipato in maniera entusiasta, mediante laboratori appositamente realizzati, ad un’esperienza unica ed appassionante. Lo scorso anno, poi, l’aver colto un grande interesse per un contributo sull’autobiografia che ho portato all’assemblea nazionale di Agevolando, un’associazione composta in gran parte da ex ospiti di comunità per minori, mi ha ulteriormente confermato nella convinzione che tutti sono potenzialmente coinvolgibili nel contrasto all’abbandono della scrittura ed alla semplificazione del pensiero, a maggior ragione i giovani.
Orwell, dopo aver descritto la traduzione ancora in corso di tutta la letteratura del passato nella neolingua semplificata, conclude dicendo “…l’adozione integrale della neolingua era stata fissata solo per il 2050.”[15]
Abbiamo ancora tempo, quindi! Possiamo costruire uno scenario futuro più favorevole, e la scrittura autobiografica può rappresentare la migliore occasione per farlo frequentando il presente, sensibili alle memorie del passato.

 (Pubblicato in PEDAGOGIKA.IT - n. 2/2017)
                                                                                                      


* Formatore, psicologo e psicosociologo. Consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze. Membro della Direzione Scientifica della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. macario.g@gmail.com
[1] Orwell G., 1984, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1950-2006
[2] Francesco, La Repubblica, 24 aprile 2017
[3] Franciosi P. (a cura di), Diario “Dalle passioni ai sentimenti” con Silvia Vegetti Finzi e Duccio Demetrio, Milano, 30 gennaio 2017; appunti dalla lezione di  Silvia Vegetti Finzi.
[4] Orwell G., op. cit., p.21
[5] Orwell G., op. cit., p.22
[6] Orwell G., op. cit., p.308
[7] Orwell G., op. cit., p.310
[8] (Don Milani) Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967, p. 20
[9] Goody J. R., Antropologia della scrittura, Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani, Vol. VII, Roma 1997, p.696
[10] Demetrio D., Presentazione L.U.A. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=3QwaDuS0eIQ
[11] Non esistono dati certi, ma applicando la percentuale del 3% ai blog nel mondo scritti in italiano (indagine del 2007, fonte ‘Technorati’, motore di ricerca specializzato in blog) alla recente stima di 15-20 milioni di blog nel mondo, è verosimile stimare fra i 450.000 ed i 600.000 blog attivi in Italia.
[12] In estrema sintesi la moleskina (‘tela cerata’ il significato letterale) nasce in Francia nel secolo scorso e ‘muore’ nel 1986, per rinascere in Italia a partire dal 1996.
[13] Sepulveda L., Una sporca storia (introduzione), Guanda, Milano, 2004
[14] L’ordine è decrescente in quanto a numeri di utenti nel mondo: stime di massima riportano 3.700.000.000 utenti singoli per la posta elettronica, 3.500.000.000 per gli sms, 1.870.000.000 per facebook e 1.000.000.000 per what’s up.
[15] Orwell G., op. cit., p.320

GRUPPO-CLASSE: Il GRUPPO (approfondimenti) e la CLASSE (V G)


Come ritrovare spezzoni del proprio percorso autobiografico 

(la V G ai tempi del Liceo Scientifico frequentato 43 anni fa) 

negli approfondimenti sulla psicoterapia di gruppo.




Lavorare con i gruppi ed affrontare tematiche come il lavoro di gruppo e/o il gruppo di lavoro, intrecciando questi percorsi con il metodo autobiografico, rappresenta uno spazio di approfondimento che mi ha portato anche quest'anno, per il 5° anno consecutivo, a proporre un seminario dedicato alle pratiche autobiografiche dal titolo "Conduzione di gruppo in ambito autobiografico. Apporti autobiografici e valorizzazione della narrazione di sè nei contesti di gruppo."
Ma non è questo il tema cui voglio riferirmi; chi fosse interessato, può saperne di più all'indirizzo:
  http://www.giorgiomacario.it/?p=1207 




Esplorando i 'territori di confine' dei gruppi e del loro funzionamento, ho approfondito i concetti fondanti della psicoterapia di gruppo, così come emergono dalla nuova edizione di un testo dedicato al "GRUPPO" di un neuropsichiatra, che insegna presso le Università di Roma 'La Sapienza' e di Torino, oltre ad essere Visiting Professor all'Università Lumiere - Lyon II, Claudio Neri.
Nelle 80 pagine di glossario che compendiano il volume, ho trovato la voce Gruppo-classe (G. Pietropolli Charmet) che mi ha riportato alle esperienze collettive vissute negli anni '70 con numerosi compagni del Liceo. Un gruppo cui siamo soliti riferirci indicandolo come V G, che in realtà si è formato nell'arco del triennio che è andato dalla III alla V classe, maturità compresa. Un gruppo di riferimento che ci ha accompagnati in una crescita, naturalmente differenziata da individuo a individuo, ma che ha avuto il pregio di lasciare in ciascuno di noi una traccia indelebile. 




Le parole e le considerazioni di Charmet (che ricordo sempre con piacere e gratitudine per aver risposto positivamente a diversi impegni nazionali e internazionali ai quali gli ho chiesto di partecipare), ben articolate e riassunte da Neri (che invece conosco solo per i suoi scritti), sono non solo ampiamente condivisibili  ma anche illuminanti. Le trascrivo anche per poter condividere questo 'piacere autobiografico' non solo con i miei compagni di classe, ma anche con tutti coloro che, anche solo in piccola parte, si sentiranno trasportati in un periodo della propria crescita, quello adolescenziale, che generalmente lascia una impronta indelebile negli anni a venire.




"Gruppo-classe (G. Pietropolli Charmet).
   La classe scolastica è un gruppo secondario in quanto implica: una struttura formalizzata, norme esplicitate, ruoli definiti e specifici obiettivi didattici da perseguire. E' inoltre un gruppo 'obbligato', che non si forma per aggregazione spontanea, ma viene costituito in base a criteri organizzativi propri dell'istituzione scolastica.
   Tuttavia, il gruppo-classe è caratterizzato da dinamiche interattive e legami interpersonali che ne definiscono il clima emotivo-affettivo e che si intersecano con le attività precipuamente didattiche. Charmet distingue: a) la classe 'ufficiale' o 'didattica', focalizzata sugli obiettivi formativi, che è un contesto in cui i ragazzi assumono il ruolo sociale di studenti; b) la classe 'nascosta' o 'degli amici', che è costituita dalla trama delle esperienze affettive, delle motivazioni, delle relazioni interpersonali.



   Secondo Charmet, la scuola in quanto istituzione propone esplicitamente ai ragazzi il ruolo di studenti, e spesso ostacola la creazione di legami di amicizia, come se esistesse una incompatibilità  tra la classe 'ufficiale' e quella 'nascosta'; è invece proprio quest'ultima che, determinando l'umore della classe, ne condiziona la storia, l'evoluzione e l'efficienza nel raggiungimento degli obiettivi."
(Bibliografia essenziale:
Pietropolli Charmet G. (2000), I nuovi adolescenti, Raffaello Cortina, Milano.
Citazione tratta da Neri C. (2017), Gruppo, Raffaello Cortina, Milano.)



domenica 17 giugno 2018