DALL’ABBANDONO DELLA SCRITTURA
ALLA SEMPLIFICAZIONE DEL PENSIERO
L’auspicio è che la riflessione autobiografica possa agevolare la
comprensione di ciò che siamo stati ma, al contempo, favorire la ricerca delle
energie e degli orizzonti che consentano un futuro possibile, desiderabile e
condivisibile.
di Giorgio Macario*
“Ciò che
ora stava per fare
era iniziare un diario,
un atto non illegale di per sé…
ma si poteva ragionevolmente presumere
che, se lo avessero scoperto,
l’avrebbero punito con la morte…”
George Orwell[1]
“Nei primi anni si impara a 360°, poi piano piano
si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza.
Ma se uno ha imparato a imparare -è questo il segreto,
imparare a imparare!- questo gli rimane per sempre,
rimane una persona aperta alla realtà.
Questo lo insegnava anche un grande educatore
che era un prete: Don Lorenzo Milani.”
Francesco[2]
1. Autobiografia, scrittura e
pensiero.
La radice etimologica della
parola ‘autobiografia’ (autòs-bìos-graphein) ci restituisce la funzione
fondamentale della scrittura nell’affrontare la propria storia di vita, ma è
anche vero che la progressiva estensione dell’interesse generale verso gli
apporti autobiografici ha contribuito a scotomizzare almeno in parte la
scrittura a favore della più ampia narrazione di sè.
Anche per questo motivo, può
essere particolarmente interessante considerare l’autobiografia come possibile
risposta ad alcune tendenze che si evidenziano nelle dinamiche personali,
interindividuali e sociali dei giorni nostri.
Due di queste tendenze riguardano
da un lato l’abbandono della scrittura e dall’altro la semplificazione del
pensiero, fenomeni entrambi
rintracciabili in molte esperienze che attraversano la quotidianità. Il fatto
che la scrittura sia sempre meno frequentata e praticata può sembrare
un’affermazione quasi ovvia nella nostra civiltà dove l’immagine è sempre più
imperante. Per chi ha occasione di prendere in considerazione alcune scritture maggiormente
formalizzate come quelle dei concorsi, degli esami universitari o ancor più
delle tesi di laurea, ciò balza agli occhi con grande evidenza. Concorsi nei
quali, fra le decine di migliaia di partecipanti, non riescono a superare le
prove scritte neppure le poche centinaia di persone necessarie a coprire i
posti disponibili, non sono affatto un’eccezione; così come sono estremamente
frequenti i casi di studenti che, pur avendo medie di voti molto alte,
giustificano singole votazioni deludenti con l'impossibilità di ottenere un
voto più alto laddove l'esame da sostenere sia scritto e non orale. O ancora
quante volte, discutendo con colleghi relatori di tesi, ci si è trovati
costretti ad estenuanti correzioni, arrivando a consigliare al laureando di procurarsi
adeguati supporti onde evitare la presentazione di elaborati scadenti.
Non è difficile trovare esempi
analoghi in quasi tutte le aree connesse alla scrittura, tanto da poter
rintracciare segnali multipli di un sempre più esteso ‘analfabetismo grafico’
di ritorno. Ed accanto a questo fenomeno, a fronte di una crescente ed estesa
complessità della realtà che ci circonda, si assiste ad un costante richiamo a
ricette semplificanti che non favoriscono certo un utilizzo pieno, articolato e
multiforme delle proprie capacità di pensiero.
Queste prime considerazioni
sembrano evocare uno scenario di morte
della scrittura e di abbandono delle
complessità potenziali del pensiero. Ma sono in realtà orientate alla
comprensione della gravità dell’attuale
situazione: in un tale contesto, infatti, è l’utilizzo sempre più esteso e
consapevole degli apporti autobiografici che può implementare ad un tempo le
capacità di scrittura e lo sviluppo del pensiero. L’auspicio, seguendo un
recente contributo di un innovativo laboratorio autobiografico[3], è
dunque che la riflessione autobiografica possa agevolare la comprensione di ciò
che siamo stati ma, al contempo, favorire la ricerca delle energie e degli
orizzonti che consentano un futuro possibile, desiderabile e condivisibile.
2. Un possibile filo conduttore:
da Orwell a Don Milani, per una rivitalizzazione autobiografica.
“…che continuasse o meno a tenere il diario, non faceva differenza
alcuna…”[4]. “…Nella
gran parte dei casi non si celebravano processi, né si stendevano resoconti
dell’arresto. La gente semplicemente spariva, e sempre di notte. Il nome
dell’arrestato veniva cancellato dagli archivi, ogni traccia di quello che
aveva fatto nel corso della sua vita veniva rimossa, la sua stessa esistenza di
un tempo veniva prima negata quindi dimenticata.”[5]
Il contesto è 1984 di Gorge Orwell, dove la
semplificazione –e l’eliminazione all’estremo- della scrittura prelude ad una
semplificazione del pensiero che non permette la gradazione di chiaroscuri:
tutto, in un processo polarizzato e dicotomizzato all’estremo, è o solo bianco
oppure solo nero.
Ma è la lettura dell’appendice al
testo sui principi della neolingua che si rivela estremamente interessante ed
indispensabile per tracciare un possibile filo conduttore.
“La neolingua non era concepita
per ampliare le capacità speculative, ma per ridurle, e un simile scopo veniva
indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta.”[6] Ed
ancora, “Data, per esempio, la parola BUONO, non c’era bisogno di una parola
come CATTIVO, visto che il significato richiesto veniva reso altrettanto bene
–anzi meglio- da SBUONO.”[7]
Ora, è noto che l’acquisizione di
nuove parole, che aprono a nuovi significati, costruzioni e saperi, aiuta a
comprendere meglio ciò che ci circonda, a complessificare il proprio sguardo
sul mondo. In tal modo possono essere superati più agevolmente, quando
l’intento non sia quello di complicare la vita a sé o agli altri, gap culturali e sociali anche molto
consistenti.
Era proprio questo, accanto all’
‘imparare a imparare’ richiamato da Papa Francesco nella citazione iniziale, uno
degli insegnamenti educativi vitali
di Don Milani.
Ed è il recupero, anche in questo
caso, di una lezione classica come
quella offerta dalla Scuola di Barbiana, in merito alle regole dello
scrivere, che può far giustizia dell’attuale scadimento del dibattito
culturale ed educativo.
Tenendo sempre presente, quindi,
che il primato va dato alla ricerca di senso, di contro al tema dato per la
Licenza Media su “Parlano le carrozze ferroviarie”, si legge: “A Barbiana avevo
imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire
e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto
quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola
che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti
di tempo.”[8]
Vale in questo caso, ma anche in
molti altri, l’indicazione di un noto studioso sull’antropologia della
scrittura, che cita: “…la scrittura non è stata semplicemente un’importante
appendice alla vita sociale, ma l’ha influenzata sin nei più intimi recessi,
mutando in modi significativi la coscienza degli uomini in generale.”[9]
Seguire una metodologia e
richiamare alcune regole, come avviene nel caso di ‘Lettera a una professoressa’,
è quindi una indicazione da non dimenticare ed è uno strumento utile per
favorire l’esprimersi con la scrittura.
Ma, ancor più, è seguendo il
contributo di Duccio Demetrio nella presentazione della Libera Università
dell’Autobiografia[10]
che la maggiore capacità di esprimersi si può declinare nell’esperienza della
‘scrittura di sè’, ma anche nella più soddisfacente ‘scrittura per sè’.
Lo ‘scrivere di sè’, della propria storia, è possibile per
tutti, a partire da coloro che hanno pochissimi strumenti, perchè scriviamo di
noi stessi continuamente, nel nostro cervello, nei nostri gesti ed incontri, ed
anche sulla carta, in un diario o in altre stesure autobiografiche. Ma è con lo
‘scrivere per sè’, che si innescano percorsi di autocura, di ricerca del
benessere, che consentono un incontro più convinto, anche di carattere
introspettivo, con il proprio percorso di vita; e questo percorso, se da un
lato può liberare da una autocentratura più consistente, si offre e ci offre,
d’altra parte, anche alla lettura degli altri.
3. Uno scenario che muta
rapidamente.
In questi primi due decenni del
secolo lo scenario si è modificato profondamente e con grande celerità: è per
questo che le tendenze prevalenti, in
particolare per chi si occupa di infanzia,
vanno identificate con altrettanta tempestività, onde evitare di praticare
scelte educative inefficaci se non dannose. Individuarne alcune è perciò
essenziale. Fra queste:
·
Il
prevalere di immagini che semplificano.
La prevalenza dell’iconico è
ampiamente documentata, e tende, spesso, a realizzare una semplificazione che
svuota il pensiero.
·
La
disabitudine a scrivere ed il sempre più diffuso analfabetismo di ritorno.
Gli esempi di disabitudine a
scrivere sono sempre più diffusi e rappresentano, di fatto, una conseguenza del
prevalere dei linguaggi iconici succitati. Mentre per gli adulti questa
disabitudine è concausa di un crescente analfabetismo di ritorno, per molti giovani
rischia di rappresentare una incapacità permanente di accedere alla scrittura.
·
La
contrazione della scrittura per velocizzare la comunicazione.
Questa contrazione della
scrittura in alcuni casi crea veri e propri codici, in analogia ai messaggi
criptati, mentre la moltiplicazione dei
messaggi sembra avere una funzione in gran parte ansiolitica, moltiplicando i momenti di scambio senza funzioni
informative vere e proprie.
·
La
confusione fra ‘vita reale’ e ‘realtà virtuale’.
Questa confusione è particolarmente
diffusa e preoccupante nel caso di giovani e giovanissimi che, abituati alla
‘realtà virtuale’, spesso tendono a voler applicare la moviola alla ‘vita
reale’ che scorre o anche a considerare illusoriamente reversibili atti
definitivi quali quelli suicidari.
D’altra parte, possono essere
individuate anche alcune controtendenze,
che sicuramente dilatano gli spazi della scrittura, molto spesso anche
autobiografica, contribuendo ad un allargamento -o almeno ad un mantenimento-
degli spazi di pensiero. Fra queste:
·
La
diffusione dei BLOG su internet.
La diffusione della scrittura in
moltissimi blog riporta anche la
scrittura di sé al centro[11],
con funzioni soggettive ma spesso anche sociali ed educative.
Così le tratteggia Luis Sepulveda[13]: “E’
un taccuino con la copertina nera che mi accompagna sempre e in cui riverso i
miei dubbi, i miei stupori e le mie rabbie di ogni giorno”. Negli ultimi tempi sono
in genere giovani dai diciotto ai trenta anni che la utilizzano con frequenza,
annotandoci di tutto, ma specialmente poesie, pensieri, canzoni significative,
accadimenti vari degni di nota, ecc.
La diffusione di
queste diverse modalità di scrittura -anche veloce o istantanea e certamente
più iconica in what’s up che sta
soppiantando in diversi casi gli sms- risponde ad esigenze anche molto
diversificate: prevalentemente lavorative e gestionali per scambi di materiali
ed informazioni, nel primo caso e in parte nel secondo; destinate
prevalentemente alle relazioni amicali e di svago più in generale, le altre.
In questi ultimi anni l’attenzione
verso l’autobiografia si è notevolmente accentuata, parallelamente al dilagare
della narrazione in ogni campo, dalla politica alla letteratura, dagli ambiti
pubblicitari alla cultura.
Ed è proprio la maggiore
attenzione alle storie di vita, declinata al plurale e non solo al singolare,
che può favorire ulteriori spazi per la scrittura autobiografica (e biografica),
che trova terreni fecondi non solo nella sensibilizzazione autobiografica di
persone adulte e anziane in genere, ma anche nella crescente diffusione fra i
detenuti, fra gli ex degenti psichiatrici, fra le persone ‘diversamente abili’,
e non solo. Recentemente, con il progetto ‘Nati per Scrivere’, proposto dalla
L.U.A. con la collaborazione dell’Associazione Italiana Biblioteche e rivolto
agli studenti del ciclo dell’obbligo scolastico, più di 800 ragazzi in 20 città
italiane hanno partecipato in maniera entusiasta, mediante laboratori
appositamente realizzati, ad un’esperienza unica ed appassionante. Lo scorso
anno, poi, l’aver colto un grande interesse per un contributo
sull’autobiografia che ho portato all’assemblea nazionale di Agevolando, un’associazione
composta in gran parte da ex ospiti di comunità per minori, mi ha ulteriormente
confermato nella convinzione che tutti sono potenzialmente coinvolgibili nel
contrasto all’abbandono della scrittura ed alla semplificazione del pensiero, a
maggior ragione i giovani.
Orwell, dopo aver descritto la
traduzione ancora in corso di tutta la letteratura del passato nella neolingua
semplificata, conclude dicendo “…l’adozione integrale della neolingua era stata
fissata solo per il 2050.”[15]
Abbiamo ancora tempo, quindi! Possiamo
costruire uno scenario futuro più favorevole, e la scrittura autobiografica può
rappresentare la migliore occasione per farlo frequentando il presente,
sensibili alle memorie del passato.
* Formatore, psicologo e
psicosociologo. Consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze. Membro
della Direzione Scientifica della Libera Università dell’Autobiografia di
Anghiari. macario.g@gmail.com
[1] Orwell G., 1984, Arnoldo Mondatori Editore, Milano
1950-2006
[2] Francesco, La Repubblica,
24 aprile 2017
[3] Franciosi P. (a cura di),
Diario “Dalle passioni ai sentimenti” con Silvia Vegetti Finzi e Duccio
Demetrio, Milano, 30 gennaio 2017; appunti dalla lezione di Silvia Vegetti Finzi.
[4] Orwell G., op. cit., p.21
[5] Orwell G., op. cit., p.22
[6] Orwell G., op. cit., p.308
[7] Orwell G., op. cit., p.310
[8] (Don Milani) Scuola di Barbiana,
Lettera a una professoressa, Libreria
Editrice Fiorentina, Firenze, 1967, p. 20
[9] Goody J. R., Antropologia della scrittura,
Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani, Vol. VII, Roma 1997, p.696
[10] Demetrio D., Presentazione L.U.A. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=3QwaDuS0eIQ
[11] Non esistono dati certi,
ma applicando la percentuale del 3% ai blog nel mondo scritti in italiano
(indagine del 2007, fonte ‘Technorati’, motore di ricerca specializzato in
blog) alla recente stima di 15-20 milioni di blog nel mondo, è verosimile
stimare fra i 450.000 ed i 600.000 blog attivi in Italia.
[12] In estrema sintesi la
moleskina (‘tela cerata’ il significato letterale) nasce in Francia nel secolo
scorso e ‘muore’ nel 1986, per rinascere in Italia a partire dal 1996.
[13] Sepulveda L., Una sporca storia (introduzione),
Guanda, Milano, 2004
[14] L’ordine è decrescente in
quanto a numeri di utenti nel mondo: stime di massima riportano 3.700.000.000
utenti singoli per la posta elettronica, 3.500.000.000 per gli sms,
1.870.000.000 per facebook e 1.000.000.000 per what’s up.
[15] Orwell G., op. cit., p.320
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