sabato 31 agosto 2013

PER LELE - 2


I nostri incontri, devo confessarlo, mi mancano.
La quiete che pervadeva la casa piena della sua presenza mi manca molto.
La sua compagnia e la possibilità di recarmi da lui, certo con un minimo di 
motivazione che giustificasse la visita –i materiali ricercati e trovati in qualsiasi posto capitasse- ma senza alcuna necessità di prepararmi, mi manca immensamente.
Non c’era bisogno di un incipit particolare, bastava il piacere di discorrere, di conversare, appunto.
Per me era così, ma anche per Lele non c’era certo l’assillo di vedere a tutti i costi ciò che portavo, né l’attenzione tutta centrata su di sé che spesso caratterizza personaggi anche molto meno famosi di lui.
Che anzi si schermiva e si sottraeva non dico agli incensamenti ma anche al giusto riconoscimento del suo contributo spesso geniale, comunque originale nella sua naturalezza.
Poteva essere un po’ curioso, questo sì, di vedere cos’altro fossi riuscito a scovare.
Nessuna eventuale critica che poteva rivolgere a qualcuno era meno che ‘velata’, perché la benevolenza era una sua cifra caratteristica.
Solo con i potenti, con i personaggi importanti, si concedeva il lusso di sottrarsi un po’ infastidito ai rituali ossequiosi.
Mai visto negarsi con le persone più semplici, normali, con i bambini. Anzi era proprio in mezzo ai bambini che sembrava, in tutto e per tutto, uno di loro.
E’ stato molto attivo fino alla fine e non so prefigurarmi come facesse a reggere i ritmi della sua vita in età adulta, costellati di impegni diversificati, di frequentazioni importanti, di sperimentazioni mai banali.
Lui stesso, rievocandoli, se ne stupiva, divertito.
Detto molto semplicemente, migliorava la vita degli altri, per questo gli incontri con lui erano sempre a somma positiva.
Se fosse ancora vivo cercherei di trovare in qualche asta un manifesto di Picasso con firma autografa e poterglielo donare e supplire in qualche modo al dispiacere che lo attraversava tutte le volte che emergeva il ricordo di quel manifesto donatogli da Picasso e sottrattogli da un miserabile, in casa sua.
Ma, in fondo, le cose in quanto tali non lo interessavano; lo interessavano le persone e le stesse sue opere le considerava importanti non in sé, ma in quanto funzionali e utili a qualcuno.
Lui, la sua casa, la sua opera, sono per me inscindibilmente legati.
Per questo ho voluto, nel libro che presentiamo, ricordare gli incontri con lui e ripercorrere episodi e narrazioni per lo più già note. 
Con un consiglio di lettura che spero possa essere utile: leggete prima le figure, che rappresentano Lele nella sua abitazione purtroppo smantellata ed alcune fra le più belle dediche da lui disegnate durante i nostri incontri; poi vengono i 15 racconti che sono la parte più godibile del testo; il resto, i 20 capitoli, sono più da considerare una documentazione un po’ ‘enciclopedica’ della sua produzione ‘altra’. Che in quanto tale, va somministrata a piccole dosi, o al limite, utilizzata nei casi di insonnia più persistente.
In estrema sintesi credo che il maggior pregio del libro sia di consentire a ciascuno di noi di poter restare ancora un po’ in sua compagnia. Ma il merito non è certo mio. E’, in realtà, tutto suo. 

sabato 24 agosto 2013

Ottave di Franco Talozzi a l’orto delle “Ricordanze” Estate 2013

L’orto delle ricordanze




Le ‘ottave di Franco Talozzi’ rappresentano una narrazione autobiografica in versi di rara efficacia. Le prime due ‘introduttive’ condensano senza troppi fronzoli le non certo idilliache ‘origini contadine’ nella tenuta di Dolciano ed al contempo la realtà attuale dell’orto delle ricordanze che preserva il ricordo delle proprie radici.
Ma è nello spazio delle 25 ottave successive che compongono lo scritto che la dimensione soggettiva sempre presente non scade mai nella pura e semplice autoreferenzialità. Vi si rintracciano infatti le motivazioni che favoriscono la cura dell’orto all’acqua viola (1/2); la vicinanza con lo scultore Gianfranco Giorni , le vicissitudini travagliate connesse alla costruzione di un ‘brutto capannone’ nelle strette vicinanze  e la piena condivisione della battaglia per contrastarlo (3/5); la bellezza dell’arte scultorea  del Giorni e la tranquillità che pervade l’intero luogo dove ‘ogni cruccio o brutto pensier declina’ (6/8); considerazioni  anche autocritiche sul consumismo dilagante, sulle violenze perpetrate nei confronti della natura e sui danni provocati da certa politica (9/15); la cura dell’orto che si intreccia con rimandi autobiografici connessi sia all’esperienza di amministratore sia ai ricordi ed agli affetti di una vita (16/23); per concludere con una lucida  analisi sul fluire del mondo  ed  una pacata autoanalisi sulla propria scelta di vita attuale, senza rinunciare a prefigurare narrazioni future –‘ma di ciò parleremo un’altra volta’- e far balenare nuovi impegni  (24/25).
Si tratta, quindi, di riflessioni scaturite da una proficua domenica d’agosto, che potranno essere gustate a fondo e rappresentare un ottimo cibo per la mente. Senza dimenticare che l’orto curato dal Talozzi nella tenuta del Giorni  non produce solo insuperabili ‘ricordanze’ ma anche sublimi cocomeri e non solo, che con grande generosità e spirito di condivisione vengono consumati in allegria durante una festa memorabile che si ripete di anno in anno.

          (Presentazione a cura di Giorgio Macario)

Franco Talozzi - domenica 4 agosto 2013



Di sangue contadino assai lontano,
la mia famiglia sotto il Gran Ducato, (1)
nella “Bella Tenuta” di Dolciano,
a mezzadria faceva il lavorato
dalla collina al lago giù sul piano,
a testa bassa e collo piegato:
le condizioni eran tanto meschine,
ecco le mie radici contadine.

L’orto lo chiamo “Delle Ricordanze”
per non obliare mai le mie radici,
in Val di Chiana e nelle vicinanze
dove io nacqui ed ebbi tanti amici;
di quei tempi mi parlano l’usanze,
quando non c’erano  le falciatrici:
e con fatica allor si lavorava,
poco ma e genuino si mangiava.






1- “Già discendendo l’arco d’i miei anni”                        
assai deluso da tanto  progresso,
per evitar problemi e molti affanni
a coltivare l’orto mi son messo
in questo luogo che più di mill’anni (2)
girò  la pietra con l’acqua del fosso
presso la casa di Gianfranco Giorni,
che se ci vieni sempre ci ritorni.

2- Alla mattina quando sorge il sole
danzano scintillii di colori,
scendon dal pioppo brusio di parole,
lungo il Tevere un velo di vapori,
il canto del cuculo par che duole
e  gli uccelletti qui fanno l’amore:
il verdeggiar dell’orto mi consola,
mi sento tanto bene “all’acquaviola”.(3)


3- Gian Franco, uomo dotto e preparato,
l’arte della scultura fa il suo vanto;
tien sempre il prato verde e ben rasato,
alla forma e bellezza tiene tanto;
intorno a lui vorrebbe che il creato
si sublimasse in forma d’un santo:
ma  gli imbecilli che lui non ama
gli hanno tappato tutto il panorama!


4- Di giorno in giorno lui s’incupa  e cruccia,
vedendo il bello in brutto tramutare,
tante amarezze sul cuore ammucchia
che il pensiero non può accettare;
quel brutto capannone è una macchia
che la sua mente non può cancellare:
a tal simili scempi non si perdona,
di ciò tant’ore assieme si ragiona.

5- Il salice fa ombra, ed il suo viso
una lama di luce lo rischiara,
parla con proprietà ed è deciso
alla battaglia che bene prepara;
molti  siamo dello stesso avviso,
per la difesa d’una cosa rara:
che ogn’uno ormai più spesso sente
di tutelare, salute, terra, ambiente.

6- Così  adombrato da mattina a sera,
trova la pace nel laboratorio;
modella  ad arte i bronzi con la cera
e alla fine esce fuori il tesoro,
bollente e rosso dentro la zuppiera,
con scoppiettanti fuochi color d’oro:
poi , l’impurità con arte sfronda
ed ecco! Una bellissima colomba!


7- A l’acqua Viola sorride ogni cosa
dal prato a l’orto al cielo a la collina
quando ci sei la mente si riposa
ogni cruccio o brutto pensier declina;
il merlo sulla querce si posa
e l’usignolo canta sulla cima:
Lante, la cagna con me ragiona
intelligente più d’una  persona!

8- Ore belle passiamo in compagnia,
approfondendo  temi con ragione,
Franco modella vergine Maria
e  l’angel bello dell’annunciazione
indica a dito la celeste via
per dare a tutti noi la redenzione:
e nell’amenità della mattina
tolgo l’erbacce e do una zappatina!

9- In questo mondo tanto tribolato,
  di giorno in giorno il bene s’allontana
  dentro di noi abbiam dimenticato
  del giusto viver la vita nostrana:
  ciò che un tempo ci venne insegnato,
  che l’onestà  non fosse cosa vana:
  col consumismo tutto, tutto piace
   ma non sappiamo più cos’è la pace!


10- Forse saranno gli anni o l’esperienza
   d’una vita vissuta tra le genti,
   perché mi morde dentro la coscienza
   nel constatare certi avvenimenti
   privi d’umanità e d’intelligenza,
   come se fosser morti i sentimenti:
   penso,  che sia stata una sciagura
   avere  bistrattato la natura!


11- Come posso esprimer  le meraviglie
del sol che sorge dal monte di dietro?
Miriadi di colori con scintille
se lo sguardo rivolgo allo “Sterpeto”;
sulla collina dormon tante ville
che resero al romano il tempo lieto: (4)                                                     
intanto annaffio e zappo, il raggio in viso
com’Angelo mi sento in Paradiso.

12- Poi, se ripenso a tanto rumore…
quando credevo di cambiar le genti (5)
quell’esperienza d’amministratore
ha smosso dentro me mille correnti;
la cultura doveva esser il motore
per arricchire i nostri sentimenti:
ma col pensier d’abbatter la miseria
prodotto  abbiamo solo la  materia!

13- Mercati, ristoranti e snak bar
fabbriche,capannoni e discoteche,
in massa tutti quanti a recitar
il consumismo come talpeceche,(6)
ogni donna vuol  esser ‘na  star
il giovan all’orecchio le “greche”:
questo è il costume ed il modo d’agire
non conta il vero, conta l’apparire.

14- L’esempio di ‘sto mondo scellerato
ce l’hanno dato quelli del “Palazzo”
invece d’educar hanno insegnato
ad arricchirsi e viver nel sollazzo;
il gretto e prepotente è premiato
a l’educato e giusto lo strapazzo:
immiseriti son tutti i mestieri
dai portaborse, ladri e faccendieri.


15- Tutti agghindati da l’omologazione
perdemmo il vero  e la genuinità,
l’idolo sommo , la televisione
e  ben sublimati di pubblicità;
cessò il cervello d’ogni paragone
e non sapemmo più la realtà:
oddio! L’acqua mi sta procurando un guaio,
ha inondato tutto lo zuccaio.


16- Or son molt’anni che mi ribellai (7)
ai soprusi  e all’imposizioni,
così m’accorsi e poi ne costatai
che i bei discorsi eran pie illusioni;
da quell’esperienza cominciai
con l’occhio e veder altre visioni:
finito il tempo era della riscossa
e non cantammo più “Bandiera Rossa”.

17- Ventisei  giugno di primo mattino
zappo  l’erbacce nel mezzo dell’orto
oh! Meraviglia c’è un cocomerino
che fra i tralci se ne sta nascosto,
lo muove il vento e fa capolino
fra foglie e fiori, che faranno presto:
e nasceranno tondi  con vigore
per sprigionar dentro il suo rossore.


18- Quest’anno è andata male la stagione,
le nubi hanno pianto in quantità,
procurando alla terra una cagione
ma la natura sa quello che fa
e sono certo che la vegetazione,
darà i suoi  frutti maturi a sazietà:
solo l’umano provoca tanti guai
ma la natura non tradisce mai!


19- Mi siedo e poggio il mento nella mano
ed estasiato osservo l’orto in fiore,
poi col pensier vado un po’ lontano
a tante cose fatte con amore;
rivedo i volti amici piano, piano
ripenso al Premio e al suo valore (8)
quando ad Anghiari la fucina d’arte
cultura propagava da ogni parte.


20- A questo mondo tutto s’interrompe 
come scrisse Francesco, l’aretino,
son tutte vane cose, nostre pompe
che affrettano sempre più il declino; 
ma quando l’uomo l’equilibro rompe,
cose nefaste porta al suo cammino:
bisogna sempre guardare alle stelle
per costruire e fare cose belle!

21- Si può gioire per un filo d’erba,
stupirsi al luccicar della rugiada,
fare il bambino con ‘na mela acerba,
camminar scalzi nella bianca strada;
tante emozioni l’orto mi riserba
che ogni lavoro sempre più m’aggrada:
ci vuole poco per esser contenti
e dare  pace ai nostri sentimenti.

22- Annaffio,  zappo e la schiena reclino,
respiro odore di fieno falciato,
rivedono i miei occhi lo zi’ Gino (9)
che coglie i pomodori inginocchiato
e i dispetti di quel ragazzino…
che rallegrava tutto il caseggiato:
non stava fermo mai un istante
s’arrampicava sempre sulle piante.


23- M’assale allora una malinconia
e la mia mente vaga nel passato,
la giovinezza fu tutta armonia
quando con Anna ero fidanzato;
di quegl’anni sento la nostalgia,
tutto ho presente, non dimenticato:
di ricordar quel tempo mai mi stanco             
e di  quei baci al “Cavallino Bianco”! (10)


24- Ogni cosa oggi fugge come lampo,
rimane poco tempo per pensare,
tutti siam fatti con l’unico stampo,
e ci moviamo come onda di mare.
Ho scelto questa vita fin che campo,
vivo felice  col mio lavorare:
m’accontento del poco e genuino
e non mi cruccio se non ho quattrino.


25- Ho fatto tardi e il mio tempo vola,
devo far fronte agli impegni presi;
Gian Franco parlerà “dell’acqua viola”
e  i progetti dei  Camaldolesi,
che con gran lavorio di carriola,
resero campi ampi e ben difesi: 
dopo d’aver  per bene l’acqua tolta,
ma di ciò parleremo un’altra volta.


Note al testo.


1-Dolciano: comune di Chiusi (SI) una delle 13 fattorie Granducali.
2-L’acqua del fosso: la “reglia dei mulini” dove si macinavano le granaglie con la mola di pietra.
3-Acquaviola: la “Reglia dei mulini” chiamata così forse per il colore del guado che veniva messo a macerare, o come pensa Gianfranco Giorni, da attribuirsi al nome di una Dea dimorante presso le sorgenti del Tevere.
4-“Sterpeto”:sulla collina d’Anghiari sono ancora evidenti tracce di antiche ville di nobili romani.
5-Cambiar le genti: mi riferisco al mio impegno politico-amministrativo.
6-Talpeceche: mammiferi appartenenti alla famiglia dei Talpidi.
7-Che mi ribellai: alludo allo strappo avvenuto nel 1988-89, con i dirigenti del PCI di Arezzo, per il progetto turistico di Albiano.
8-Premio e al suo valore: “Premio Internazionale di Cultura”promosso da Comune di Anghiari dal 1978 al 1992.
9- Lo zi’ Gino: il mio zio che faceva l’ortolano per la fattoria di Dolciano.
10-Cavallino Bianco: nome del cinema a Chiusi Stazione dove negli anni 1953-1954 andavo con la mia fidanzata Anna Maria, ora mia moglie.

giovedì 22 agosto 2013

La festa del grande Cocomero

        Anghiari, domenica 18 agosto 2013

                                             

Una porchetta intera viene fagocitata da alcune centinaia di mezzi panini distribuiti ai convenuti (oltre 200, forse 300) e seguita da quella che sembra una pancetta di maialino arrosto.
Ma sono i cocomeri a spopolare: di tutte le misure dal grande all’extra-large, si avvicendano su di un altro grande tavolo e suddivisi in mezze fette vengono consumati a getto continuo, anche perché molto freschi. Una vasca, infatti, è stata riempita d’acqua e reffreddata da bottiglie di ghiaccio, e lì le angurie si avvicendano senza sosta.
Ogni tanto , poi, è lo stesso Talozzi a recuperarle con una carriola a tre per volta, proveniente dall’altra ala della grande casa dove sono esposte molte delle opere del Giorni.
Due capienti contenitori, colmi di vino bianco fresco l’uno e di vino rosso l’altro, sono dotati di comodi spillatori che consentono, alla stregua di un rubinetto per l’acqua lì accanto, di servirsi da sé senza troppe complicazioni.
La grande spianata erbosa è sempre colma di persone che appena fan riposare le mascelle vengono invitate dai padroni di casa a servirsi nuovamente.
Ma non sono pochi, e io fra loro, quelli che si spingono oltre a visitare più volte l’orto del Talozzi, detto anche l’orto delle ricordanze: decine e decine di cocomeri sono adagiati lungo filari raso terra, circondati da pomodori, zucchine peperoni, girasoli, peri, meli e chi più ne ha più ne metta.
Ma non è solo un semplice orto, è l’immagine stessa dell’abbondanza e riflette la cura che è stata impiegata nel farlo crescere.
La condivisione del cibo, merito essenzialmente del Talozzi, è niente rispetto alla possibilità che viene data a ciascuno dei presenti, di immergersi nel clima delle ricordanze e, varcata la soglia dell’orto,assimilare l’humus vitale che permea dal terreno.
E’ una rinascita fisica che nutre il corpo e risveglia i ricordi.
Ed è anche una rinascita estetica guidata dalle meraviglie scultoree di Gianfranco Giorni, padrone di casa e artista che appare immerso in uno scambio simbiotico con Franco Talozzi e il suo orto-Eden.
Ma non basta, perché in realtà si tratta anche di una rinascita culturale a tutto tondo, immersa nella natura e benedetta dal flusso costante dell’acqua viola. Viola per il guado che veniva messo a macerare o per una Dea lì dimorante? Poco importa.
Il sole gradatamente scompare all’orizzonte mentre una luna tonda e luminosa si alza nel cielo della sera anghiarese.
Un’ombra fresca accompagnata da una leggera brezza trattiene gli ultimi convenuti che faticano a staccarsi dalla magia del luogo.
La compagnia è piacevole, le chiacchiere leggere o impegnate scorrono via lisce, l’ultima fetta di anguria viene gustata nella convinzione che in simili circostanze, per quest’anno, non sarà più possibile assaporarla.
Il Giorni e il Talozzi fanno il pieno di ringraziamenti sinceri.
Ma non bisogna farsi ingannare dall’apparente bonarietà dei personaggi: sono dei combattenti nati e siamo certi  che il loro presidio vigile ed efficace non verrà meno.
C’è solo da augurarsi che il loro esempio, per quanto unico, possa fare ‘scuola’.
Non tanto e non solo per noi, quanto per i nostri figli e i nostri nipoti.