Già segnalata qualche settimana fa come 'recensione', ho deciso di inserire questa presentazione del volume di Caterina Chinnici direttamente nel blog per sottolineare lo stretto intreccio che si viene a creare con le figure dei propri familiari in particolare quando la propria vita venga caratterizzata (meglio: sconvolta) da episodi gravissimi, quale è sicuramente stata l'uccisione da parte della mafia di Rocco Chinnici e della sua scorta.
Il 'valore aggiunto' di questa testimonianza, già fin dal titolo "E' così lieve il tuo bacio sulla fronte", credo stia nella capacità da parte di Caterina Chinnici di parlare del padre senza retorica rendendo una testimonianza non solo 'biografica' di Rocco Chinnici uomo, padre e magistrato, bensì anche autobiografica su Caterina Chinnici, donna, figlia e anch'essa magistrato a sua volta.
Solo
una figlia poteva parlare con un tale garbo del proprio padre.
Solo
un magistrato poteva descrivere in modo così limpido i tratti di elevata
competenza e di profonda umanità di un altro magistrato, suo mentore.
Solo
una donna coraggiosa poteva condensare una tale eredità in un volume al
contempo pesante come un macigno e leggero come una piuma.
“E’
così lieve il tuo bacio sulla fronte” prende avvio dalla rievocazione delle tenere abitudini di un
padre premuroso e attento nonostante i gravosi impegni quotidiani di magistrato
(un bacio sulla fronte –anche da sposata-, il caffè al mattino per tutti
quanti) e la dolorosa rievocazione di quel 29 luglio 1983 alle ore 8.05 del
mattino, quando il giudice Rocco Chinnici viene barbaramente ucciso insieme a
due uomini della scorta e al portiere del palazzo dall’esplosione di un’auto
imbottita di tritolo. “Un momento qualsiasi di trent’anni fa –dice Chinnici- è
diventato quello in cui il dolore si è annidato dentro di me. Nel tempo ha
cambiato forma (…ma) non se ne è mai più andato.”
La
prima autobomba al tritolo, come è stato appurato con sentenza definitiva
vent’anni dopo nel 2003, ha segnato un salto di qualità nella strategia della
mafia ed ha inchiodato alle loro responsabilità come mandanti cognomi ormai
noti e famigerati.
Ma
il grande pregio di questa ‘biografia autobiografica’ realizzata a trent’anni
dall’omicidio di Rocco Chinnici, risiede nell’equilibrato intreccio fra una
rigorosa ricostruzione storica dell’impressionante escalation di attentati ed omicidi mafiosi in terra di Sicilia e la
profonda umanità della vita di un uomo che era solito dire di se stesso: “Io ho
due passioni, la mia famiglia e il mio lavoro.”
Gli
apporti biografici sono evidenti e percorrono tutto il volume ricostruendo sia
gli episodi apicali della vita di Rocco Chinnici che, in particolare, il suo
percorso entro la magistratura (“Mio padre non ‘faceva’ il giudice, era giudice.”), da pretore a Partanna
nel trapanese a capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Ma al
contempo il filo conduttore del racconto di vita è marcatamente autobiografico
ed è la stessa autrice, Caterina Chinnici, ad emergere nella sua infanzia
felice (“Siamo stati a lungo una famiglia normale, persino noiosa. Normale e
semplice.”); nel percorso di avvicinamento alla magistratura (“Le mie compagne
di classe volevano diventare ballerina o maestra, io scelsi di fare il giudice
quando ero ancora nella culla.”); nel dramma dell’attentato (“…ci sentivamo
disperatamente soli, ciascuno alle prese con il proprio vuoto.”) e nella vita
dei trent’anni successivi tratteggiati con leggerezza sia negli aspetti di
gioia familiare e di soddisfazioni professionali che nelle indubbie gravosità
(“Ero e sono sorvegliata 24 ore al giorno.”).
La
rigorosa ricostruzione storica della progressione di omicidi mafiosi fra la
fine degli anni ’70 e i primi anni ’90, consente di non isolare l’uccisione di
Rocco Chinnici come accadimento a sé stante, delineando un continuum che culmina con le
successive stragi del 1992 che vedranno cadere i suoi allievi, colleghi e amici
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Portare
la propria figlia in carcere con un’altra coetanea perchè potessero giocare
insieme con la piccola figlia di una detenuta, fare attenzione a qualsiasi accorgimento
utile ad alleviare la pena ai detenuti, portare anche a loro parte dei dolci
caratteristici che giungevano a decine come segno di rispetto nelle festività
natalizie e pasquali, sono solo alcuni degli episodi citati dall’autrice per
far luce sulla personalità di Chinnici-giudice. Che, in poche parole, “metteva
la persona al centro”.
Ma
è l’affetto e la sensibilità di Chinnici-padre e marito che segna ed attraversa
il trentennio di vita familiare di Rocco e Agata con Caterina, Elvira e
Giovanni. Dall’affiancarsi loro nei momenti di difficoltà, fino alla commozione
per la figlia laureata in giurisprudenza o all’apprensione dei tre giorni di
scritti per il concorso in magistratura di Caterina trascorsi interamente fuori
dal Palazzo dei Congressi a Roma in trepidante attesa.
Certo
con il crescendo di tutele, minacce, scorte, rinunce e ‘blindatura’ di molti
aspetti della vita quotidiana. Con il sacrificio estremo di un uomo dedito alle
Istituzioni ed alla salvaguardia del bene comune.
Caterina
Chinnici lo racconta per “…farlo vivere ancora una volta, il mio papà.”, e non
possiamo far altro che ringraziarla per questa narrazione condivisa che va
oltre un trentennale scudo di riservatezza.
Auspicando,
anche per la storia di Rocco Chinnici, quanto ci dice Tim Burton:
“A
furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse
continuano a vivere dopo di lui e in questo modo egli diventa immortale.” (G.M.)
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