La
mente riavvolge veloce le immagini vicine e lontane.
Vicine
perché penetrano nel cuore come solo un coltello affilato sa fare.
Lontane
perché quasi sempre collocate dall’altra parte del Mondo, dell’Oceano, del Mar
Mediterraneo.
Il 20
dicembre 2010 il venditore ambulante di 28 anni
che si
dà fuoco nella città di Sidi Bouzid
perché gli confiscano tutto, gli danno uno schiaffo e gli sputano addosso, è
all’origine di un incendio che ha avvolto intere nazioni.
Ma
prima di tutto ciò questo gesto ci parla della solitudine, della disperazione e
della rabbia che riguardano una persona sola.
Prima
che accada l’irreparabile e che gli eventi precipitino, è Mohamed Buazizi ad
essere solo ed a sentirsi solo, sacrificando se stesso perché nessuno è stato
in grado di vedere e condividere la sua disperazione, aiutandolo a ritrovare un
benché minimo barlume di speranza.
Il 28
marzo 2012 accade ancora.
E
questa volta tutto si svolge da questa parte del Mondo, dell’Oceano, del Mar
Mediterraneo.
Un
artigiano di 58 anni, impegnato nel settore edile, scrive alcune lettere perché
il suo gesto estremo non rimanga immotivato, posteggia l’auto davanti
all’Agenzia delle Entrate di Bologna e si dà fuoco per protestare contro le
ingiustizie che ritiene di aver subito.
E’
appena successo e non sappiamo di quale contagio sarà capace.
Ma
prima di tutto ciò, qualunque scenario si presenti,
intriso
di cinica indifferenza o permeato di
partecipe indignazione,
questo
gesto ci parla della solitudine, della disperazione e della rabbia che
riguardano una persona sola.
Era
solo e si sentiva solo, perlomeno nel fronteggiare queste traversie che lo tormentavano.
Nessuna
speranza nella scintilla che ha preceduto il fuoco.
La
tragedia di un corpo devastato si innesta su di un dramma che gli appartiene e
che per ciò stesso non potrà mai essere compreso appieno.
E’ un
suicidio, ma non è solo un suicidio.
E’ una
protesta, certamente, una protesta estrema.
E’ un
messaggio talmente disperato da risultare a tratti difficilmente comprensibile.
E
nonostante ciò, non possiamo rispondere con il silenzio delle coscienze ad un
gesto maturato nel silenzio dell’anima.
Ciascuno
di noi, politico, tecnico o semplice cittadino, è responsabile per sé e per gli
altri.
Ognuno
di noi è chiamato con le proprie forze, il proprio ingegno, le proprie capacità
e le proprie risorse a far sì che le prossime scintille non facciano divampare altrettante
torce umane.
Solo
così il suo gesto potrà ridare speranza e fiducia anziché diffondere
disperazione e sconforto.
10 giugno 2013, ad Ercolano, con Antonio Formicola, il dramma si ripete.
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