Quando
ti immergi nelle sue acque, la vita ti passa accanto producendo increspature
appena percettibili o gorghi più accentuati e temibili.
Basta
poco, però, e ti senti nuovamente a casa.
Nuotare
come un pesce nell’acqua, per chi ha sempre avuto il mare come confine
sconfinato non è solamente un modo di dire, ma è un modo per dirlo.
I
pensieri scorrono e la mano li insegue docile per catturarne l’essenza.
E’ la
stessa mano che fende la superficie bramosa di afferrare
ciò che
scorre via senza sosta e finalmente, dopo tanto affannarsi e scarso costrutto,
s’abbandona ad una danza dai toni tenui ed intensi ad un tempo, disegnando
curve sinuose e inaspettate.
Il
corpo la segue, docile e attento, perché nulla di ciò che accada vada perduto.
Nell’acqua
si immerge e da lì riemerge senza soluzione di continuità.
La
penna che scrive e la mano che danza.
O è la
penna che danza e la mano che scrive.
I
pensieri inseguono gli sguardi sul mondo e tutto appare immerso in una fitta ed
avvolgente coltre di nubi.
Sperare
che si diradi è concesso.
Vivere
nell’attesa è rinuncia.
Scrivere
nel frattempo è vitale.
D’altra
parte la mano che desiste è un mondo che scompare.
“Non uno
di meno!”, si ode in lontananza.
E
l’inchiostro dilaga, con rinnovato vigore.
Nessun commento:
Posta un commento