OLIVER SACKS
IN MOVIMENTO
(Adelphi Edizioni, Milano, 2015)
Presentazione
autobiografica a cura di GIORGIO MACARIO
“Soprattutto, però, mi piacevano le moto”. Potrei contrabbandare questa frase come incipit dell’ultimo volume scritto da Oliver Sacks poco prima di morire, verrei però ben presto scoperto. Si tratta in realtà dell’11° riga. Ma queste sei parole hanno rappresentato per me la conferma di una sintonia con un autore che considero un’eccellenza a livello mondiale. Alla stima e gratitudine che ho sempre provato nei suoi confronti per aver saputo raccontare e dare un’anima a storie di vita altrimenti destinate a rimanere confinate nell’ombra e votate all’oblio, che affrontava tramite il loro essere casi clinici e sapeva trasformare in casi letterari, ho potuto aggiungere una (comune) passione motociclistica che si tramanda di padre in figlio; se il padre di Sacks, infatti aveva “...una Scott Flying Squirrel con un grosso motore raffreddato ad acqua e uno scappamento da urlo”, mio padre fin dai primi mesi di vita mi poggiava sul sellino delle sue moto, l’ultima che ricordo un Guzzi Airone.
“In movimento” rappresenta un esempio di
autobiografia che ripercorre con sincerità e schiettezza l’intero arco della
propria vita, senza temere di svelare aspetti di sè anche scomodi, e
restituendo nel far ciò una ricchezza di vissuti, esperienze, incontri,
racconti e scoperte che faticano ad essere condensati nella storia di una
singola esistenza.
Ciascuno potrà cogliere l’occasione di questo ‘scritto di una vita’ per trovare riferimenti, episodi e chiavi di lettura utili a rileggere quanto ha potuto apprezzare, negli anni, della sua copiosa produzione. Nel mio caso il percorso si è snodato da L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello a Risvegli, per transitare da Un antropologo su Marte (il top nella mia personale classifica) a L’isola dei senza colore, e concludersi con Musicofilia.
Che il tema della passione
motociclistica percorra tutto il volume lo si intuisce già dalla copertina che
lo ritrae, giovane, su di una BMW (sembrerebbe la R60 del periodo Newyorkese)
ed in terza di copertina si legge fra l’altro: “Quelle corse in moto, di primo
mattino, significavano sentirsi intensamente vivi, sentirsi l’aria sulla faccia
e il vento sul corpo, in un modo che solo ai motociclisti è dato di provare.” Ma i riferimenti al tema, che riguardano in
particolare i primi quarant’anni della sua esistenza, abbondano: a 10 anni
sapeva riconoscere alla finestra, mentre passavano, almeno 10 marche diverse di
moto; da adolescente non aspettava altro che di farsi dare passaggi in moto; e
se a 18 anni il primo acquisto è una BSA Bantam due tempi, pochi anni dopo
acquistava la sua prima Norton 250 per passare ben presto ad una Norton
Dominator 600 ed essere anche presente, pur senza corrervi, al Tourist Trophy
dell’Isola di Man del 1960; ancora si possono annotare frequentazioni -scorribande
escluse- con gli Hell’s Angels a San
Francisco e lunghe ‘cavalcate’ solitarie dopo il trasferimento a Los Angeles.
© Henri Cole
Appare però evidente fin dalle
prime pagine riguardanti l’adolescenza trascorsa sul suolo inglese, quanto le
sue tendenze omosessuali, mai nascoste ma nemmeno esibite, diventino motivo di
sofferenza in ambito familiare: la madre, in particolare lo tacciò fin da
subito, sulle orme del Levitico, di essere ‘abominevole’, e va altresì tenuto
presente che il comportamento omosessuale, nell’Inghilterra di quegli anni, era
considerato sì una perversione ma anche un reato perseguibile. I riferimenti ai
propri compagni nel corso della sua lunga esistenza non mancano, ma neanche
abbondano, e il loro ricordo è sempre composto e tenero: dall’innamoramento
giovanile con Richard a quello tormentosamente non consumato con Mel; dal
rapporto ‘ambiguo’ con Karl poco dopo i trent’anni fino ad un tardissimo (ben
settantasette anni) e inaspettato innamoramento con Bill, che lo accompagnerà
fino alla morte.
© Lowell Handler
Sacks è dotato di una curiosità
sconfinata, ma come dichiara in più occasioni, è la condizione umana, ed in
particolare la malattia, che condensa in sè il massimo interesse. Nella
prefazione di uno dei suoi scritti più famosi (L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello) Sacks afferma
infatti : “...sono attratto dall’aspetto romanzesco non meno che da quello
scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non
ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza: la malattia...”. E
sulla malattia, con un fratello schizofrenico, i problemi con la droga e con
l’alcol, la depressione e una prosopagnosia (condizione neurologica che
impedisce di riconoscere i volti), oltre a varie altre problematiche sanitarie
intercorse con l’avanzare dell’età, aveva quindi un interesse non solo rivolto alle
patologie altrui ma anche alle proprie.
Oliver Sacks, circondato da
una intera famiglia di medici, ha avuto
fin da subito un destino professionale segnato: diventerà medico, e più precisamente
neurologo, ma sceglierà strade e percorsi non certo lineari. Anzitutto gli
spostamenti fisici da una città all’altra e da uno Stato all’altro alla ricerca
di una propria specializzazione da affinare, di pazienti da curare, di storie
da approfondire e di ‘casi clinici’ da raccontare: da Londra a Oxford e a
Birmingham, con avventure di alcuni mesi in Israele e in Olanda; dal Canada a
San Francisco, da New York a Los Angeles, e comunque negli States che
diventeranno la sua patria adottiva.
La schizofrenia e gli altri
disturbi affini del cervello e della mente dei suoi pazienti li esplorerà e li affronterà,
però, a modo suo. Gli approfondimenti di
situazioni cliniche descritte nel testo sono innumerevoli, spaziano fra le
diverse possibili deprivazioni o alterazioni sensoriali della vista, dell’udito
e non solo, e meritano di essere
scoperte ed apprezzate con calma nel loro andamento in parte cronologico
(connesso ai vari contesti di lavoro succedutisi negli anni) ma anche
associativo.
Fra queste, la vicenda connessa alla straordinaria pandemia di
encefalite letargica degli anni ’20 che causò innumerevoli sindromi
postencefaliche nei sopravvissuti e che verrà narrata nel testo ‘Risvegli’,
merita un breve approfondimento perchè particolarmente emblematica e
trasversale a gran parte del percorso professionale di Sacks sia in ambito
clinico che in ambito narrativo. Cinque milioni le persone colpite dal male in
tutto il mondo, con migliaia di morti e con molti ospedali appositamente
predisposti che accoglieranno i sopravvissuti in condizioni di ‘coscienza
sospesa’ per decenni. La sperimentazione della somministrazione di L-dopa (precursore
della dopamina) estesa dai pazienti con la malattia di Parkinson ai suoi
pazienti nel Bronx riconosciuti dai sintomi di torpore e immobilismo cronico e
aggregati insieme, portarono a ‘risvegli’ spesso entusiasmanti dei pazienti. La
lunga sperimentazione e documentazione realizzata dal 1966 diede poi luogo ad
una altrettanto complessa gestazione della forma narrativa dei casi, che portò
alla pubblicazione del relativo volume nel 1973, non senza battute d’arresto (Faber
& Faber nel 1969 rifiutò la pubblicazione dei primi 9 casi clinici di
Risvegli!). L’accoglienza iniziale fu sconcertante: entusiastica da parte del
pubblico e quasi silente da parte dei colleghi (anche in questo caso con alcune
eccezioni, fra queste il grande apprezzamento di A.R. Lurija). Ma il
documentario di Duncan Dallas del 1974, la versione teatrale di Harold Pinter,
premio Nobel per la Letteratura, realizzata nel 1982 e soprattutto la versione
cinematografica del 1990 con Robin Williams e Robert De Niro, unitamente alle
continue ristampe del volume nel tempo, gli hanno assicurato un primato difficilmente
scalfibile.
Oliver Sacks, un grande anche di
fronte alla Regina d’Inghilterra, così descrive i suoi timori nel ricevere nel
2008 l’onoreficenza di Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico: “Avevo un
po’ paura di fare qualcosa di spaventoso di fronte alla regina -cose come
svenire o mollare un peto-, invece andò tutto bene.” Un filo di ironia disarmante
e di sincerità stupefacente che fa da cornice alla sua competenza clinica
declinata in senso narrativo.
© Kate Edgar
Pubblicata anche su 'Psicologi e psicologia in Liguria' - n.1 giugno 2017
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