(Tratto dal cap. XIX)
LELE, DARIO
E FULVIO FO, QUESTO SCONOSCIUTO
di Giorgio Macario
L’incrocio delle immense produzioni sia di Lele
Luzzati che di Dario Fo, dà un unico concreto risultato. Si tratta di “Ho visto
un Re”, testo di una famosa canzone di Dario Fo, interpretata da Enzo Jannacci,
nel volume con illustrazioni di Lele Luzzati, Gallucci editore, Roma, Ottobre
2006.
“Ho visto un
re.
Hai visto cosa?
Ho
visto un re!
Ah, beh; sì, beh…
Un
re che piangeva
seduto
sulla sella
piangeva
tante lacrime
ma tante che
bagnava
anche il cavallo!
Povero re!
E
povero anche il cavallo!
Sì, beh; ah, beh…
(…)
Sempre allegri bisogna stare
Che il nostro piangere fa male al re.
Fa male al ricco e al cardinale,
diventan tristi se noi piangiam!”
“Ma
come non sai chi è Fulvio Fo?” mi dice Lele giunti alla metà del pomeriggio.
Confesso
quasi subito la mia ignoranza, non prima di avergli fatto sapere che conosco
naturalmente di fama sia Dario Fo che sua moglie Franca Rame. Ho conosciuto
invece personalmente il figlio di Dario, Jacopo perché qualche anno fa abbiamo
pranzato insieme ad un amico comune nel suo agriturismo vicino ad Arezzo, che
si chiama Alcatraz, dove ricordo in particolare una magnifica piscina ‘a
scomparsa’ collocata in mezzo ad un prato. Dovevamo discutere di alcuni
progetti di collaborazione con i C.E.M.E.A.[1]
toscani.
“ In
realtà io ho conosciuto Dario Fo molti anni fa”, mi dice Lele. Ed è su questo
primo incontro che concentra le sue osservazioni successive.
“La prima volta che ci siamo
conosciuti, c’era una persona che mi aiutava a fare le maschere per il Lea
Lebovitch – stiamo quindi parlando della seconda metà degli anni ’40- che mi ha
detto se volevo accompagnarlo alla Stazione Brignole per salutare un amico.
Quest’amico veniva da Milano in treno e si fermava nella nostra città solo un
paio d’ore, perché era di passaggio diretto altrove.”
“Siamo andati e lo abbiamo
incontrato dal barbiere della stazione –che è chiuso ormai da molto tempo-, ed
era lì che si faceva tagliare i capelli. E’ così che ci siamo conosciuti con
Dario Fo.”
“Anche
il fratello di Dario, Fulvio Fo, l’ho conosciuto perché legato all’ambiente del
teatro. Infatti lui è stato responsabile amministrativo del Teatro di Torino
per diversi anni, se ricordo bene; io con il Teatro di Torino ho collaborato
molto, e loro hanno una parte consistente di materiali connessi alle mie
sceneggiature.[2] Pensa che è una delle
persone che mi hanno chiesto di dipingergli tutta la casa a Torino, ma non
chiedermi dove, perché non me lo ricordo proprio. D’altra parte non è l’unico
cui io abbia dipinto interamente la casa: sicuramente ho lavorato per dipingere
sia la casa di Gianni Polidori (lo scenografo di Squarzina, nda) a Roma, sia la
stessa casa dell’amico di cui ti parlavo prima, a Genova, che mi aiutava a fare
le maschere per il Lea Lebovitch, e tramite il quale ho conosciuto Dario Fo. Ad
un certo punto so che suo fratello Fulvio si è trasferito in Sardegna, e da
allora non ne so più niente.
Invece
con Dario, che in quel periodo era abbastanza conosciuto specie per la radio e in
particolare per una esclamazione che faceva “puer nano!” o qualcosa di simile in milanese, siamo rimasti in
contatto anche se con lui non ci sono mai state molte occasioni di collaborare
a delle produzioni. Infatti, a differenza di molte altre persone con cui ho
collaborato, lui si è sempre fatto tutto da solo e –mi dice come ribadendo una
ovvietà - c’è da capirlo perché ha frequentato l’Accademia di Brera a Milano e
voleva diventare un pittore all’inizio.” In effetti ricordo con Lele che anche
negli anni ’70 e ’80 erano suoi quasi tutti i disegni legati agli spettacoli
che produceva, ma ancor più i numerosissimi volumi e le trasmissioni televisive
di questi ultimi anni vedono la realizzazione da parte sua di centinaia di
disegni e illustrazioni.
“Una
delle ultime volte –prosegue Lele- l’ho visto per l’allestimento dell’opera ‘Il
viaggio a Reims’qui da noi al Carlo Felice[3], e mi
è sembrato piuttosto in forma. Abbiamo potuto scambiare qualche parola anche alla
mostra allestita per l’occasione nella piccola galleria all’inizio di Vico Duca”.
Dei
problemi di salute che Fo ha avuto negli ultimi anni non sa praticamente nulla,
e appare francamente stupito e quasi incredulo quando gliene accenno. Ma gli
dico subito che non si è mai dato per vinto, che continua a produrre ed
interpretare spettacoli con l’aiuto di Franca, quasi a getto continuo. E vedo
che, rassicurato dalle mie parole, si tranquillizza.
Lo
star male di amici e colleghi, comprensibilmente e in considerazione delle sue
stesse condizioni di salute ultimamente un po’ precarie, ha su di lui un
effetto depressivo quasi di ‘contagio’, e faccio quindi in modo di non
insistere oltre sull’argomento.
Al Premio Nobel per la letteratura assegnato a Dario
Fo nel 1997 non si fa neppure cenno, credo quasi certamente non perché Lele
volesse sottovalutare la cosa, quanto perché tutte le volte che si parla dei
suoi contatti con persone anche conosciutissime, è l’esperienza comune, sono i
sentimenti che circolano e anche i piccoli episodi che accadono ad essere
importanti, e non tanto le glorie e gli onori suoi o degli altri.
Ma la conclusione di questa breve riflessione è
comunque dedicata a Fulvio Fo, che il 17 ottobre 2010, quattro anni dopo queste
citazioni di Lele e tre anni dopo la sua scomparsa, è mancato. Pochi giorni prima ha lasciato scritto queste
brevi, ma significative parole:
"Quando
arriverà il mio momento, so che seguirò questa schiava- padrona con animo limpido,
consapevole di potermene andare serenamente lasciando il mio riflesso, la mia
impronta positiva sorridente di gioia illuminata e rassicurante." (Fulvio Fo, ottobre 2010).
[1] Centri di Esercitazione ai
Metodi dell’Educazione Attiva. Organizzazione toscana che si è occupata
particolarmente, negli anni ’70 ed ’80 e in raccordo con l’omonima
organizzazione francese, della formazione degli operatori sulle tematiche del
lavoro di gruppo e della comunicazione non verbale.
[2] Crf. i riferimenti a
Pietro Crivellaro ed al Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, in “Lele
Luzzati e ‘il gioco del teatro’”, ivi cap. 11.
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