DICHIARATI MATTI SI RACCONTANO
La follia
parlata finalmente scritta
Presentazione di Giorgio Macario
(a cura di Gabriella Veardo, ERGA Edizioni, Genova, 2015)
Devo subito confessare che mentre
conosco abbastanza bene, per esperienze teatrali giovanili e successivi
percorsi autobiografici, la curatrice di questo volume Gabriella Veardo, non altrettanto
posso dire degli autori che hanno frequentato per tre anni un Laboratorio
autobiografico. Laboratorio che è stato condotto da Gabriella che ha potuto
giovarsi, per sua stessa ammissione, del ‘clima di rispetto e apertura’
favorito dalla pratica pluriennale di gruppi di auto-aiuto promossi nell’ambito
dell’Associazione PRATO Onlus.
Presentare, quindi, da un punto
di vista autobiografico gli scritti di Federico, Silvia, Gabriele, Emilia,
Andrea, Chiara, Valter e Giovanna, non è cosa semplice, anche se un sostegno
l’ho ricevuto dalla lettura dei loro scritti che ha richiamato alla mia mente
diverse ‘sintonie’: da un lato con le inquietudini degli anni giovanili, con l’impegno
in ambito sociale e gli approfondimenti connessi alla chiusura dei manicomi e
al movimento ‘antipsichiatrico’; dall’altro con i più recenti percorsi, ormai
ventennali, di approfondimento dell’approccio autobiografico.
Al centro degli scritti ci sono
le storie di vita di ciascuno ed un tratto comune a tutte è certamente
l’esperienza del dolore che, ci dice la curatrice, è parte integrante e storia
comune; ma è stato condiviso, “così come è stato condiviso il riemergere di
buoni ricordi, incontri, amicizie, affetti,
emozioni.”
E così Federico in ‘Fiumi d’ombra’ sceglie come filo
conduttore l’anima: e se a 15 anni si sente l’ombra di se stesso che aveva già
conosciuto l’inferno, descrivendo successivi percorsi accidentati, incontri reali ed immaginati e vissuti non
condivisibili (ma ugualmente ‘offerti’ al lettore), spende infine parole di
apprezzamento per la possibilità di esprimersi per iscritto, conquistata sì con fatica e purtuttavia
permeata di armoniosità.
Per Silvia, invece, sono i sogni
il leitmotiv del suo scritto di vita: dagli anni colorati
dell’infanzia all’esperienza del “tempo bianco e nero, senza colori” della
depressione in gioventù, fino alla speranza di “un buon futuro” come vita di contro ad un passato percepito
come morte, da confinare per quanto possibile nel mondo dei ricordi.
Gabriele dichiara fin da subito
di aver colto una maggiore leggerezza e divertimento nell’autobiografia
rispetto all’auto-aiuto, ma i riferimenti che più mi colpiscono sono quelli
connessi all’orto botanico di Cogoleto, che aprono e chiudono lo scritto, dove
lavora in tranquillità per assicurarne la pulizia e la manutenzione. Ho
conosciuto questa struttura solo pochi mesi fa per un progetto di Laboratorio
di Green Autobiography e mi è subito sembrato un bel posto. Complice questa
sintonia, ho come la percezione che i pur esplicitati “veri momenti no della
mia vita” (su tutti 2 mesi di ricovero all’SPDC) tendano a stemperarsi lungo il
testo, che trasmette apprezzamento e vicinanza sia agli psichiatri incontrati
che ai ‘compagni di viaggio’.
“Tutti fuggono il dolore, io ora
il dolore non lo subisco e non scappo, lo acccolgo e tento di trasformarlo, che
sia la mia forza e non una debolezza.” Questa una delle affermazioni di Emilia
che fa trasparire consistenti capacità resilienti conquistate sul campo. Una
dichiarazione di intenti in questa “Arrampicata”, sicuramente il più poetico
fra i contributi del testo, che riassume la storia di vita (e della malattia)
di Emilia intrecciandola con i numerosi incontri ed amori della sua vita, fermo
restante l’uso parsimonioso della parola ‘amico/a’. Con un riferimento poetico
al valore dell’oggi, un presente di ascolto e di rispetto alla ‘Prato’
splendidamente espresso nella poesia ‘Noi ci vediamo meglio’: “Noi ci vediamo
meglio/sul terrazzo/fumando al tramonto/di fuoco e indaco/su un mare grigio
blu/ Noi ci vediamo meglio/seduti in circolo a raccontarci/ad ascoltare
soprattutto/ Noi ci vediamo meglio/attorno a un tavolo/mentre scriviamo delle
nostre storie/ Noi ci vediamo meglio/a cena/col sugo rosso sulla pasta calda/e
il pane/e qualche risata/mentre la notte sta arrivando.”
E ancora Andrea: “...Sembra che
la mia vita sia la storia degli alberi che ho amato. Qualcuno si erge alto,
qualcun altro è caduto...”; Chiara (“ma anche limpida”), con il suo filo
conduttore femminile che al “crescendo di voci e allucinazioni dalla mattina
alla sera ed anche la notte...Di qui il primo ricovero e poi il secondo, poi
due Comunità Terapeutiche”, fa seguire un vademecum delle proprie ‘piccole
felicità’; Valter che apre e chiude il suo scritto dichiarando il proprio amore
per le fotografie, che “sono meglio
della realtà”, autoincitandosi comunque a reagire alla malattia: “Non dobbiamo
farci sopraffare dai brutti pensieri...Cerchiamo di scacciare assolutamente la
malattia”; ed infine Giovanna, che riferendosi a tre anni di lavoro insieme
mettendo in circolo “emozioni, sentimenti, energia che ognuno di noi ha” nel
lavorare in gruppo, sottolinea la propria “emozione di scrivere con una carica
emotiva così forte (che) a me personalmente non era mai capitata.”
Miguel Benasayag, filosofo e
psicoanalista, in una sua conferenza su ‘Quotidianità ed emergenza’ di quasi 10
anni fa tenuta proprio a Genova osservò: “Occorre superare i modelli con cui
veniamo formati. Il disagio è da capire, se non riusciamo a capire la nuova
sofferenza, non potremo aiutare nessuno.” E’ un passo importante, ma credo non
sufficiente, nel rapporto fra professionisti e non professionisti. Questo testo
ci parla di una ‘follia parlata’ (anche se spesso la follia è stata più
nascosta che esibita, più taciuta che parlata) che, finalmente, viene
‘scritta’. E lo scrivere di sè è certamente un potente strumento di
consapevolezza per chi scrive; in questo caso io credo che questi scritti
possano essere anche un potente strumento di comprensione per chi si occupa a vario
titolo di disagio psichico, a patto di accettare le numerose risonanze che
vengono attivate in ciascuno dalle esperienze di vita descritte.
E credo anche,
traendo spunto dalle affermazioni iniziali della curatrice, che innestare la
pratica dei laboratori autobiografici su di un terreno reso fertile
dall’esperienza dei gruppi di auto-mutuo-aiuto sia una scelta proficua e
vincente per innestare altrettanti circoli virtuosi. Per questo ringrazio gli
autori per averci consentito di avvicinarci ai loro percorsi di vita.
La presentazione è pubblicata anche sul sito della LUA all'indirizzo:
http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=4141&Itemid=109
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