Genova, 6 luglio 2016
L’Archivio di Don Andrea gallo fra le istituzioni e la
Strada
di Giorgio Macario
E’ passato poco più di un mese dall’incontro allargato della
città di Genova con l’eredità di Don Gallo, incontro accompagnato fra gli altri
da Vito Mancuso, Gad Lerner e Dori Ghezzi.
Oggi è sempre il Sindaco di Genova, Marco Doria, a
testimoniare per primo l’importanza e la centralità di questo incontro per
molti versi più ‘tecnico’. Già la sede scelta, l’Archivio di Stato di Genova,
avrebbe probabilmente fatto sorridere il Don, celebrato, ma soprattutto
documentato e studiato, in un luogo così istituzionale. Forse se ci fosse una
sede per un ‘Archivio della Strada’ (Un po’ come per l’Università della Strada
fondata da Don Ciotti, suo grande amico)…ma questo non esiste ancora.
E d’altra parte, come ha ricordato l’Archivista
dell’Università di Genova Carlo Stiaccini che ha seguito la prima opera di
sistematizzazione e catalogazione dei materiali, non è proprio Don Gallo in
Angelicamente Anarchico a scrivere “Di me, se possibile, preferirei non
lasciare alcun ricordo.”?
Quindi, tutto appare quasi una contraddizione in termini.
Anche se sappiamo che Don Gallo era sì
intransigente sui principi cardine (la Costituzione, la Resistenza, ma anche
l’Accoglienza sempre e comunque) ma altrettanto pragmatico nel concreto vivere
(come quando raccontava di non disdegnare di officiare celebrazioni varie nelle
ville di personalità importanti pur di racimolare i soldi che gli servivano per
i ‘suoi’ ragazzi della Comunità).
Quasi sicuramente, perciò, non avrebbe avuto da obiettare.
Il Sindaco di Genova è il primo a cogliere il dato di
attualità che vede nuovamente al centro dell’attenzione mediatica Genova e il
G8, osservando che è proprio il 2001, probabilmente, a rappresentare un salto
di qualità nel ruolo pubblico rivestito da Don Andrea Gallo. Non che in
precedenza, fin dalle note vicende del suo allontanamento dalla Parrocchia del
Carmine, non rivestisse un ruolo pubblico, ma sarà il G8, la zona rossa e
l’attenzione mediatica nazionale ed internazionale a rappresentare il
palcoscenico ideale per trasmettere il suo messaggio: agire, più che
dichiarare, e farlo individuando le giuste battaglie da combattere. Per questo,
concluderà, sarebbe importante raccogliere anche le testimonianze orali di chi,
figura di rilievo o persona comune, ha partecipato con lui ai vari passaggi che
hanno contraddistinto la vita della città e della nazione intera. E sempre, a
sottolineare questa centralità, al termine dell’incontro sarà Giuliano Giuliani,
padre di Carlo Giuliani, a portare la sua breve testimonianza di come Don Gallo
dal 2001 e finchè è vissuto, fosse stato sempre presente in modo attivo all’appuntamento
del 20 luglio, giunto quest’anno alla 15° edizione.
Sia l’ospite dell’evento, Francesca Imperiale dell’Archivio
di Stato, che il principale finanziatore e partner dell’operazione di catalogazione,
Mario Orlando in quanto Presidente della Fondazione Ansaldo, non mancano poi di
sottolineare la particolarità di questa collaborazione: per l’Archivio di
Stato, sede votata istituzionalmente alla conservazione della memoria, non è
affatto usuale questa rete di relazioni incentrata sul ricordo di una personalità
di grande rilievo ma anche fonte di non pochi contrasti; mentre il presidente
della Fondazione Ansaldo non manca di sottolineare le molte perplessità
iniziali legate sia alla non acquisizione alla stessa Fondazione dei materiali
da archiviare (operazione di routine prima di investire sul riordino), sia alla
vocazione della Fondazione stessa orientata alle imprese ed alla loro storia.
E, d’altro canto, perplessità iniziali opposte saranno
evidenziate dal Presidente dell’Associazione Comunità San Benedetto al Porto, Fabio
Scaltritti, che esprimendosi a nome del gruppo di coordinamento composto da 12
responsabili di strutture e di aree -non dimentichiamo l’orizzontalità della stessa
Comunità fortemente voluta dal Don- ha poi deciso di percorrere con forza
questa strada di collaborazione a tutto campo nella convinzione che l’eredità
del Gallo debba essere patrimonio comune della città e non solo della Comunità.
Non senza rivendicare la vocazione ‘militante’ della Comunità e lanciando alcune
delle parole d’ordine di Don Gallo, dalla distinzione fondamentale fra oppressi
ed oppressori alla sottolineatura dei tre pilastri del costruire Comunità: il
lavoro, i rapporti umani e la cultura.
Due gli interventi per certi aspetti più significativi del
pomeriggio.
Da un lato quello dell’archivista che ha evidenziato le
difficoltà affrontate per catalogare il materiale tutto ammassato in 8
scatoloni di plastica, 6 della Comunità e 2 della famiglia Gallo. E già su
questo versante, nonostante la distanze notevoli dai contesti usuali di lavoro,
ha individuato alcune analogie con il lavoro di suddivisione che si realizza
fra materiali di archivio di impresa e archivio di famiglia anche in campo
industriale. Anche perché quella gestita da Don Gallo è identificabile almeno in parte con una impresa sociale. E
così sono state catalogate le prime due scatole appartenenti alla famiglia, con
939 documenti e 785 fotografie che spaziano dal 1918 al 2013; mentre per i
restanti 6 scatoloni della comunità il tentativo è stato quello di seguire l’indicazione
che, per certi versi, ‘le carte si riordinano da sé’. In tal modo la presenza
di 15 faldoni dedicati ciascuno ad un singolo tema, con ammucchiati dentro
articoli, volantini, parti di pubblicazioni, annotazioni varie, ecc. hanno
precostituito un criterio di catalogazione, con il quale è possibile ad esempio
documentare la passione per il teatro che è già passione giovanile e non certo
senile; lo stesso per quanto riguarda le agende e i diari con annotazioni, tipo
zibaldone, che rappresentano altrettanti tentativi autobiografici; ed ancora le
numerose lettere che recano un gran numero di annotazioni di pugno del Gallo. Diversi di questi materiali è evidente come servissero
per la preparazione dei suoi molti interventi. A questo proposito posso
confermare che alla presentazione a
Genova del libro di Duccio Demetrio su ‘L’educazione non è finita’, Don Gallo
si presentò con la copia del libro e almeno 5/6 pagine di appunti fitti su
varie parti del testo, contrariamente all’impressione che spesso trasmetteva di
parlare ‘a braccio’ su una molteplicità di argomenti diversi, quasi ‘improvvisando’.
Un’ultima osservazione dell’archivista ha poi riguardato la sottolineatura dell’importanza
di verificare non solo quello che c’è, ma anche ciò che non è presente fra i
diversi scritti, come ad esempio l’assenza totale di qualsiasi riferimento ai
suoi rapporti con i diversi Cardinali genovesi che si sono succeduti nel tempo,
Siri fra tutti. Conoscendo la rilevanza di questi rapporti, spesso estremamente
critici, la cosa può stupire o meno, ma
sicuramente è un’assenza degna di nota. In sintesi il materiale sistematizzato
fino a questo momento conferma quanto Don Gallo stesso aveva affermato, e cioè
che la sua è stata una vita fatta di incontri e di relazioni con altri.
Il secondo intervento, che ha di fatto concluso l’incontro, è
stato breve ma molto intenso. Moni Ovadia, infatti, ha esordito dicendo di
sentirsi un privilegiato per aver avuto la possibilità di frequentare e di
avere con Don Gallo una amicizia profonda. Ed ha proseguito sottolineando che
se è vero che spesso gli Archivi sono il luogo del potere, dove vengono
sistematizzate anche le ‘malefatte’ compiute dal potere, è anche vero che poter
accedere in futuro a documentazioni affidabili consente anche a chi non ha
conosciuto o frequentato fisicamente le persone di ricostruirsi idee più
precise in merito a quanto è accaduto in passato. L’esempio personale riportato
ha riguardato la sua esperienza di aver potuto assistere alla riapertura, dopo
50 anni, degli archivi di Stalin, custoditi dai famigerati servizi segreti
della Lubjanka, scoprendo fattori di estremo interesse, rivelatori ex-post di
quanto spesso non è facile comprendere ex-ante, e potendo in altri casi ‘vibrare’
con grandi personaggi ormai scomparsi. Seguendo l’insegnamento di Primo Levi
dall’ultimo suo contributo sull’universo concentrazionario dei ‘I sommersi e i
salvati’, Moni Ovadia ha poi ricordato come la memoria umana non sia sempre
affidabile, esposta com’è a cesure, dimenticanze e omissioni; e come sia
importante valorizzare una personalità così eccentrica come Don Gallo, documentando
quanto è possibile ma cercando anche di non ‘archiviarlo’. Richiamando ancora
come sia stato per lui – deluso per molti versi dal declino delle stagioni della
cultura della fabbrica- motivo di rassicurazione apprendere che una organizzazione
così importante come la Fondazione Ansaldo che ha come missione la
ricostruzione del mondo operaio ed imprenditoriale, si sia prestata a
supportare questa operazione per molti versi ‘eccentrica’ anch’essa. Concludendo con queste parole: “Le parole ‘dette’
di Don Gallo certo che sono scritte, ma sono soprattutto dette. Si potrà
quindi, con questo lavoro, ascoltare ancora una volta questo prodigioso
rivoluzionario.”
E sentendo la profonda riconoscenza che chi l’ha conosciuto
meglio è capace di esprimere, penso che il Don se li sapeva scegliere gli
amici. O forse no, la realtà è un’altra. E cioè che era lui, come pochi altri, ad
essere capace di far emergere, da tutti coloro che avevano la ventura di accompagnarlo
per un pezzo di strada, il meglio di sé. In effetti non era lui a scegliere,
era lui ad accogliere, con una chiara preferenza che sembra ripercorrere l’insegnamento
evangelico della parabola dei lavoratori della vigna: “Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.” (Matteo, 20, 1-16)
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