GENOVA-MILANO-TORINO-GENOVA, 17/18 ottobre 2015
La visita all'Expo di Milano con moglie e figlio è per sabato. Sono previste maree umane ed in effetti quasi non si riesce a camminare.
Ma andiamo con ordine. La prima decisione saggia che abbiamo preso è stata quella di NON partire presto per Milano, dove avremmo incontrato il figlio proveniente da Torino.
In questo modo ci siamo evitati la prima delle code previste all'ingresso dell'area Expo, dicono di almeno un paio d'ore.
Con il figlio reduce dalla prima settimana di lavoro a Milano con spostamenti giornalieri Torino-Milano e rientro in giornata, e reduci, per parte nostra, da una settimana di lavoro non certo leggera, avremmo rischiato di dare forfait in men che non si dica.
Arriviamo quindi a Milano per le 12.30, tempo di incontrarci con il figlio in Centrale ed entriamo agevolmente in Expo poco dopo le 13.30.
Ma è inoltrandoci nel flusso magmatico di decine di migliaia di persone che prendiamo concretamente visione di una bolgia infernale in versione moderna: si scorgono, dappertutto, agglomerati umani in file di ore che tentano di entrare non dico nei Padiglioni di Giappone, Brasile o Italia (fra il top consigliato ed inavvicinabile) ma nemmeno in Francia, Polonia o Argentina (indicati fra i padiglioni come possibile ripiego de luxe).
In realtà, giunti in prossimità del padiglione Svizzero -considerato dai commenti in rete uno dei più brutti in assoluto-, ci accorgiamo di una triste verità: anche qui, torme di esseri sicuramente viventi ma probabilmente 'quasi-pensanti', in cerca di emozioni forti quali-che-siano, si dispone di buon grado ad una attesa apparentemente senza speranza.
E' una questione di punti di vista, ma sinceramente mi è sembrato di assistere -e di essere almeno parzialmente compartecipe- di un esperimento sociale di masochismo collettivo.
E' a questo punto, percorrendo il Decumano in cerca dei pochi sentieri centrali dove la folla è meno fitta, che maturiamo la decisione di puntare a stabilire un nostro record familiare: zero code in un mare di code; il che vuol dire nemmeno un padiglione visitato.
Veramente -occorre confessarlo- una coda e mezza siamo stati costretti a subirla.
La prima, di circa 20', ci è toccata sotto il padiglione Estone, dove siamo stati attratti dall'esibizione live di un gruppo folk Estone: brani gradevoli ci hanno accompagnato alla conquista di un tavolino e nella consumazione di tris di panini nordici, patatine fritte e birra leggera ma gustosa.
La seconda, di circa 10-15', l'ho in realtà delegata a moglie e figlio, e ci è servita per ingurgitare quel minimo di caffeina -servita rigidamente in contenitori plastificati- necessaria per resistere alle quasi cinque ore di visita pomeridiana.
Perchè questo è quanto è successo: dopo aver percorso il Decumano ed il Cardo, dopo essere saliti sulla collina che sovrasta la postazione terminale di Slow Food ed abbracciato da lassù l'intera area Expo, compresa la terrazza del padiglione Russo protesa nel vuoto con gruppi di visitatori all'apice della loro attesa: e dopo aver scelto di completare la visita 'esterna' di quasi tutti i padiglioni percorrendo le strade laterali e passando sul retro di ciascuno di questi, ci siamo avvicinati al simbolo della manifestazione, la torre-fiore-albero della vita posta ad una delle estremità del Cardo.
Non senza aver appreso nel frattempo, da amici del figlio già in partenza alle tre del pomeriggio, che quasi sicuramente avevamo fatto la scelta giusta: loro, infatti, esausti, dopo aver visitato con 6 ore di coda 3 padiglioni certo non fra i più gettonati (per i quali le code viaggiavano fra le 5 e le 7/8 ore) avevano concluso che non valeva la spesa di procedere oltre: erano più belli fuori che dentro.
Giunti così alle h. 18 circa, e realizzato che l'attesa per l'accensione completa dell'albero della vita (12' e mezzo di luci, colori ed effetti speciali) avrebbe comportato un'attesa supplettiva di 2 ore e mezza, ci siamo anche in questo caso accontentati di una esibizione più contenuta di 3' e mezzo, con la luce in parte attenuata del far della sera, consentendoci di soddisfare la nostra ricerca di un senso minimamente compiuto in un'avventura che aveva tutte le premesse per rivelarsi insensata.
Alle 18.30 guadagniamo quindi il Metrò di Rho Fiera per compiere a ritroso il percorso verso l'auto posteggiata ai confini della città. Non senza un'ultimo brivido rappresentato dall'impossibilità di percorrere in senso opposto il grande ponte pedonale sospeso di collegamento, invaso da decine di migliaia di persone in arrivo in zona per trascorrere all'Expo la serata.
Scampato il pericolo, siamo riusciti ugualmente nell'impresa percorrendo la via sotterranea che dalla stazione ferroviaria ci ha condotto alla fermata del metrò.
Vi chiederete il perchè di un tale 'sbattimento'. La risposta è semplice: tre biglietti -fortunatamente scontati- acquistati nello scorso aprile ancor prima che l'Expo aprisse i battenti, che ci dispiaceva vedere completamente inutilizzati.
La consolazione? Essere riusciti a minimizzare i danni, certi di aver partecipato ad un immenso esperimento di imbecillità sociale, mantenendoci -letteralmente- ai margini.
Ah, dimenticavo la nostra rivincita: arrivati a Torino il figlio ci ha portati ad un take-away Thailandese vicino a casa sua, dove abbiamo ordinato una ricca e gustosa cena etnica. Tempo di attesa, contrariamente a quanto accade di solito: circa 30'. Non è stata proprio una coda, ma quasi.
Forse è meglio dire che la nostra sfida con l'Expo è finita pari: zero a zero!
Il giorno dopo, con tutta calma, rientriamo a Genova per concludere in bellezza il nostro 'tranquillo week-end di scampato pericolo'.
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