Milano, 25 novembre 2019
Università degli Studi di Milano
I Seminari di Apice
“Il libro di una vita”
L'intervento che viene qui riprodotto, elaborato per il Seminario dell'Università degli Studi di Milano 'Il libro di una vita', è stato inserito fra i materiali del Centro Studi della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari (http://lua.it/centro-studi/) ed è stato successivamente pubblicato sulla rivista on-line 'Odissea', Blog Internazionale diretto dallo scrittore Angelo Gaccione
(https://libertariam.blogspot.com/2019/12/i-libri-che-ci-prendono-digiorgio.html).
(https://libertariam.blogspot.com/2019/12/i-libri-che-ci-prendono-digiorgio.html).
I LIBRI CHE ‘CI
PRENDONO’
Contaminazioni
biografiche nel percorso autobiografico
Vi sono libri che
si leggono , seduti su un piccolo sgabello
Dinanzi a un
banco di scuola. (…)
Ve ne sono che
gli uomini saggi disprezzano
Ma che
entusiasmano i fanciulli. (…)
Ve ne sono che, a
leggerli sembrano rilucere,
Carichi d’estasi,
deliziosi di umiltà.
Ve ne sono che
s’amano come fratelli
Più puri e che
han vissuto meglio di noi. (…)
A. Gide,
‘I Nutrimenti terrestri’, 1897
Le modalità con le quali i libri
possono ‘prenderci’ sono varie e diversificate, e il cuore delle sollecitazioni
in tema che vorrei portare oggi da ‘non specialista’ in un contesto di
‘specialisti’, riguarda il quanto e come le parole scritte dall’altro (e quindi
anche la sua biografia che comunque tende a trasparire dalle scritture di
ciascuno) incontrino la vita (e le scritture) di ciascuno di noi.
Occupandomi da psicologo e
psicosociologo, oltre che da formatore, della metodologia autobiografica da
ormai una trentina di anni, sarà questa l’ottica visuale che farà da sfondo
alle mie brevi riflessioni.
E, alla ricerca di prossimità,
dovendo partire da qualcosa che possa sentire ‘Immediatamente vicino’, ho
scelto di prendere spunto, nell’ambito del ‘Livres de chevet de Montaigne à
Mitterand’, dalle riflessioni ivi contenute di uno dei ‘poeti di oggi’, Stefano
Raimondi, che non casualmente condivide con me l’appartenenza al Consiglio
Scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, e che fa
riferimento al libro da comodino come un tassello autobiografico che “dice di
noi attraverso una mediazione narrativa, poetica, saggistica.”
In questa direzione, ritengo che
uno dei possibili contributi del ‘libro da comodino’ sia quello di offrire la
possibilità di connettere le decine, centinaia, migliaia di fili-idee che uno o
più di tali testi ci hanno consentito di maturare, collegando ciò che in
gioventù e nella prima adultità consideriamo non collegabile, le molte
storie-lavori-affetti delle nostre vite che tendono a viaggiare su linee
parallele. Accade infatti, in certe fasi della vita -anche prima di quanto si pensi con la
diffusione della scrittura di sé in età infantile, in preadolescenza e in adolescenza-
di poter cercare di connettere, di trovare nessi, snodi significativi che rendano
avvicinabili i nostri diversi percorsi di vita.
Anche i libri che leggiamo -la
letteratura, ma non solo, se consideriamo il ruolo che ad esempio i fumetti e
le narrazioni fantasy si sono conquistati- o ri-leggiamo, i diversi libri sul
comodino (o i libri cui spesso ricorriamo pur non portandoli fisicamente sul
comodino) entrano a far parte di questi snodi essenziali. Perché è il flusso
vitale delle nostre letture (come nel corto di animazione, della ‘Lessmore
Production’, che ha vinto l’Oscar nel 2012, “The fantastic flying books of Mr.
Morris Lessmore”) che fa rivivere riflessioni,
indicazioni, quesiti che qualcuno ha depositato in un ‘classico’ (o in un testo
semi-sconosciuto) che si rivitalizza proprio in quanto letto e riletto. Non a
caso, nel breve filmato di animazione citato, gli stessi dispositivi medici che
vengono messi in campo per ri-dare vita ad un vecchissimo libro quasi
abbandonato sugli scaffali alti della biblioteca, si rivelano inefficaci
lasciando il posto alla lettura del vecchio ‘classico-dimenticato’ da parte del
protagonista come cura efficace che gli restituisce la vita.
Ma ritornerei ai ‘libri che ci
prendono’ del titolo, per pagare un doveroso contributo al recente testo di
Massimo Recalcati ‘A LIBRO APERTO. Una vita è i suoi libri’, che ci dice “I
libri che ‘ci prendono’, come si dice, sono i libri che hanno evocato le
schegge della nostra ‘lalingua’, i frammenti sepolti e ardenti del nostro
passato. Tuttavia, solo se leggo davvero me stesso -come insegna Agostino nelle
sue Confessioni- potrò ritrovare l’eco della mia lalingua, la presenza
dell’Altro in me, sin nelle mie viscere. I confini del libro allora si dilatano
in me, proprio mentre il libro mi porta presso di sé.”[2]
Solo un accenno al fatto che è stato Jacques Lacan, ci ricorda Recalcati, ad
aver battezzato la nostra prima lingua, la lingua del corpo poiché fatta di
‘schegge del corpo’, come ‘lalingua’, inarticolata, non alfabetica, singolare, fatta
di atmosfere, affetti, immagini e non solo, che “ciascuno ha incontrato agli
esordi della sua vita attraverso la parola viva di chi lo ha accolto e
cresciuto.”[3]
L’interesse legato alla vita ed ai suoi libri, specialmente ai libri di
riferimento (fra questi anche, ma non solo, i ‘libri da comodino’) è
strettamente connesso al fatto che questi contribuiscono in modo determinante a
dare una forma singolare alla propria vita, a segnarci nelle nostre esperienze,
a consentirci di ritrovare pezzi di noi stessi, dimenticati o non ancora
conosciuti. Rappresentano quindi una sorta di autobiografia, poiché vi
rintracciamo pezzi di noi stessi (authòs), richiamando parti della
nostra vita (bìos), e scrivendone in senso letterale o metaforico (graphein).
Ma dove possiamo rintracciare le contaminazioni biografiche
al proprio percorso autobiografico, dato che -ci ricorda ancora Recalcati-
“leggere significa anzitutto essere letti dal libro, esporsi alla
lettura del libro”? Essenzialmente nel fatto che sono i libri ad offrire al
lettore un proprio contributo biografico, e se nella seconda parte della sua
riflessione Recalcati ricostruisce l’influenza nella propria vita di testi di
autori lontani e vicini nel tempo (fra gli altri, da Omero a Rigoni Stern, da
Sartre a Freud e Lacan), è nella prima parte che si possono rintracciare diverse
riflessioni sulla funzione del libro con interessanti
squarci su librerie e biblioteche interpretate come inconscio del soggetto; su
pazienti bibliofili che tendono a sostituire la vita con i libri; sulla forza
del libro come forza del desiderio, per non citare che alcuni dei temi da lui trattati.
Ritornando al tema centrale del
‘libro sul comodino’ come strumento di riflessione per indagare il rapporto fra
individuo e lettura, è la stessa introduzione al volume oggi al centro
dell’attenzione che apre ad un suo valore non solo intellettuale, bensì anche
emotivo, affettivo ed intimo. Lo fa Alessandra Preda rievocando -in modo non
dissimile dalle riflessioni prima fatte risalire da Recalcati a Lacan- “…la
memoria della prima emozione di lettura e dello spazio originario in cui ha
preso forma, fino a risalire al rituale dell’infanzia”, e assegnando al ‘libro
sul comodino’ il ruolo di “compagno fedele del viaggio nel buio, sulla soglia
del mondo dei sogni, o forse oltre”.
E se è vero, come riferisce
Roland Barthes in Critica e verità, che in merito alla relazione che è
possibile intrattenere con l’opera letteraria, la lettura si differenzia dalla
scienza della letteratura e dalla critica per non avere con il testo un
rapporto mediato dalla scrittura, favorendo un contatto immediato con l’opera
letteraria, è altresì da considerare che il fatto che il ‘libro sul comodino’
abbia conquistato quel posizionamento lo rende, per ciò stesso, una parte del
proprio percorso autobiografico. Anche non considerando le sottolineature,
l’apposizione di segnapagina o le notazioni di proprio pugno che nel tempo
possono essere state apportate al testo originale, la sua stessa rilevanza è
strettamente connessa al considerarlo una propria estensione verso concetti e
riflessioni se non compiutamente fatti propri, quantomeno vissuti come
possibile implementazione delle proprie conoscenze o rafforzamenti autorevoli
delle proprie convinzioni.
Come ci dice Lina Bolzoni nel suo
recente testo Una meravigliosa solitudine [4]-
“leggere è un’esperienza vitale che, attraverso l’incontro con il mondo intimo
di chi scrive, consente di arricchire e ridisegnare se stessi”. D’altra parte
leggere o meglio ri-leggere il/i propri testi di riferimento, i propri libri
sul comodino, certamente mitiga i rischi dell’esposizione al nuovo,
rassicurandoci con il ripetersi del già conosciuto dei tempi dell’infanzia, ma
non per questo li annulla perché è lo stesso affinamento delle nostre capacità
di avere sguardi ‘altri’ che ci può far scoprire nuovi itinerari laddove
prefiguravamo la presenza di più rassicuranti strade già percorse.
Nell’intreccio fra questo tema e
i miei interessi autobiografici e formativi, ho ricordato un passaggio del
testo di Michela Murgia, Chirù, quando l’autrice fa dire alla sua
protagonista “Nell’atto stesso di insegnare a qualcuno quel che sapevo,
riconoscevo la superbia insita nel ruolo della docenza, l’idea intimamente
violenta che l’altro fosse una creta della cui forma potevo contribuire a
determinare la qualità.” [5] Ho
quindi pensato al possibile ruolo del/dei ‘libri sul comodino’ come orientatori
nell’insegnamento, ma anche nel rapporto educativo o in quello terapeutico, con
la possibilità di estendere ad altri le maggiori sicurezze da noi acquisite con
la lettura di quello specifico testo, oltre a lasciar loro uno spazio di espressione,
esternalizzazione e parziale superamento delle proprie problematiche ancora
senza nome. E’ chiaro che in questo caso il proprio percorso autobiografico
assume una doppia valenza di contaminazione biografica: in primo luogo verso il
contributo biografico presente nel testo scritto, che fa si che si crei un
incontro fra me e chi lo ha scritto – certo nella convinzione che -con Baumann
citato da Ezio Raimondi- “è proprio dell’io morale non essere mai sicuro della
correttezza dell’interpretazione.”[6];
ma in seconda istanza è la mia stessa passione, il fatto che il libro l’ho
letto non solo con la mente ma anche con il cuore, che mi può condurre al
pensiero di offrire l’opportunità di una seconda contaminazione biografica a
chi in qualche modo si aspetta un mio contributo di insegnamento, di orientamento
educativo, di supporto psicologico o quant’altro. Va da sé che in questo caso,
il mio ‘libro da comodino’ rientra compiutamente nella metafora del libro come
un mare, proposta da Recalcati, che individua il libro come un mare sempre
aperto, che apre e non chiude il mondo, esemplificazione della inesauribilità
della lettura. La specificità che viene a crearsi nel nostro caso è che
l’apporto biografico dello scrittore del testo sarà comunque arricchito dal nostro
contributo autobiografico di lettura, e potrà determinare o meno nel
destinatario della nostra proposta di lettura, una nuova contaminazione
biografica del suo peculiare percorso autobiografico.
D’altronde, secondo Ezio
Raimondi, “Se lo scrittore è l’origine, il passato ricostruito dell’opera, il
lettore si impone quale progetto o postulato per comprendere e riflettere
l’appello con cui l’opera si indirizza al collettivo della socialità non meno
che al futuro.”[7] La modalità citata di doppia contaminazione
biografica appare in tal modo come una delle possibili prassi volte a
indirizzare un’opera ‘al collettivo della socialità non meno che al futuro’.
E questo può accadere anche
perché possiamo considerare il ‘libro da comodino’ come una promessa che
si basa sulla nostra volontà di portarlo in giro e rispetto al quale -unitamente
a Emanuele Azio Ferrari- possiamo chiederci: “Cosa posso farci con un libro?
Come passare dalla lettura all’esperienza di renderlo cosa viva, fare in modo
che da me passi ad altri, e navighi come una barca di carta verso nuove terre?”[8]
A volte, poi, è lo stesso posizionamento del ‘libro da comodino’ che può non
essere determinante, se può accadere che “A casa mia, adesso che mi guardo
meglio intorno, i libri non finiscono mai. Il loro posto è dappertutto:
anche sotto il letto, sui braccioli del divano, abbandonati sul pavimento.”[9]
Un ultimo riferimento vorrei dedicarlo ad alcune riflessioni che
tengono insieme le sollecitazioni proposte da Duccio Demetrio sulla lettura e
il desiderio di scrivere anche molto precocemente, sulle orme di Marcel Proust,
[10]
alla
sperimentazione di percorsi di scrittura autobiografica nella scuola primaria,
documentati recentemente in una pubblicazione da me curata con una collega, dal
titolo ‘Nati per scrivere’. Da un lato, come afferma Proust “la lettura può
diventare una sorta di terapia quando ci aiuta a entrare nelle ragioni profonde
del nostro io”, il libro che ci affascina ci aiuta ad uscire dalla immobilità,
e ci permette di crescere, pensare e interrogarsi su chi siamo quale che sia la
nostra età. Oltre al fatto che “dentro i libri che ci piacciono, che andiamo a
rileggere ogni tanto come se volessimo ripassare sempre dagli stessi posti per
sentirci a casa, c’è qualcosa che ci assomiglia”. D’altra parte la stessa
possibilità di ‘farsi prendere da alcuni libri’, fino a trasformarli in ‘libri
da comodino’ nelle fasi più adulte della nostra vita, sembra poter dipendere
dal coltivare fin da molto presto una capacità narrativa in grado di
accompagnare il sapere del racconto, aprendo “ dimensioni dell’apprendimento
dall’esperienza, anche da parte dei piccoli, che offrono possibilità del darsi
voce; del ‘non sentirsi senza una storia’; di percepire la ricchezza del
pensiero e delle emozioni; di riconoscere il talento dell’ascolto di sé e degli
altri maturando il rispetto della propria e altrui memoria.”[11]
Concluderei citando ancora Lina Bolzoni, che in una recente intervista,
afferma: “Il dialogo che la lettura crea – con i grandi autori, da Petrarca a
Macchiavelli, a Tasso, a Montaigne- ha inoltre una funzione essenziale: grazie
a quel dialogo si riconosce il proprio io, si costruisce una memoria da cui
trarre ciò che serve per scrivere opere nuove.”[12]
Opere nuove che, in una visione allargata del metodo autobiografico come
possibilità di compiuta espressione di sé e in costante dialogo con i propri
‘libri da comodino’, possano orientare non solo alla realizzazione di sé
stessi, bensì anche alla generatività e sostenibilità del possibile incontro
con gli altri; opere capaci di rendere inscindibile il legame fra percorso
autobiografico e sensibilità biografica.
[1]
Psicologo, psicosociologo e formatore. Membro della Direzione Scientifica e del
Consiglio Scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. macario.g@gmail.com – giorgio.macario@lua.it
[2] Massimo
Recalcati, A LIBRO APERTO: Una vita è i suoi libri, Feltrinelli, Milano,
2018, pag. 58.
[3] Massimo
Recalcati, 2018, op.cit., pag. 52.
[4] Lina
Bolzoni, Una meravigliosa solitudine, Einaudi, Torino, 2019.
[5] Michela
Murgia, Chirù, Einaudi, Torino, 2015, pag. 94.
[6] Zygmut
Baumann, citato in Ezio Raimondi, Un’etica del lettore, Il Mulino,
Bologna, 2007, pag. 68.
[7] Ezio
Raimondi, 2007, op. cit., pag. 23.
[8] Emanuele
Azio Ferrari, IL POSTO DEI LIBRI. Per una biblioteca del cuore, Mimesis,
Milano, 2019, pag. 91.
[9] Emanuele
Azio Ferrari, 2019, op. cit., pag. 113-114.
[10] Duccio
Demetrio, “Un percorso dedicato alla pedagogia autobiografica, ispirato a
Marcel Proust”, pubblicato in tre puntate sul Portale Sesamo – Didattica
Interculturale, il 18 ottobre, il 31 ottobre e il 14 novembre 2019.
[11] L.
Danieli, G. Macario, NATI PER SCRIVERE. Il paesaggio fuori e dentro di me.
Percorsi di scrittura autobiografica nella scuola primaria, Mimesis, Milano
2019, pag. 21.
[12] Silvana
Mazzocchi, Lina Bolzoni: “Vi racconto il piacere della lettura”, La
Repubblica, 2 ottobre 2019.
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