AUTOBIOGRAFIA DI
UN SUPERVAGABONDO
(Rizzoli, 1948)
Recensione pubblicata in LEGGILIBRI - Rivista 'Psicologi e Psicologia in Liguria', n. 1/ giugno 2019.
Mai più mi sarei aspettato, vagabondando pigramente
fra i banchetti di un mercatino dell'antiquariato il primo giorno di primavera,
di incontrare un supervagabondo:
badate bene, non in carne e ossa, bensì in carta e penna. L'incontro è
avvenuto, infatti, con la sua autobiografia,
pubblicata a Londra 110 anni fa, nel lontano 1908, e stampata in Italia nel
1948. Solo successivamente ho scoperto che il libro ha ispirato la nascita
della notissima band di progressive rock
dei ‘Supertramp’.
George Bernard Shaw ne ha firmato la prefazione, raccontando
di aver ricevuto un libro di poesie, probabilmente autoprodotto, da uno
sconosciuto W. H. Davies, con una
lettera accompagnatoria che invitava a pagare mezza corona oppure a
restituirlo. Incuriosito da tale stranezza Shaw scorre il libretto, e si
stupisce trovando l’autore ‘un vero poeta’. Dall’acquisto di alcune copie
all’accettare di presentare la sua autobiografia il passo è stato breve,
precisando nel suo scritto introduttivo: "Mi affretto ad affermare
fin da principio che io non ho nessuna conoscenza personale con
l'incorreggibile supervagabondo che ha scritto questo libro sorprendente."
Le prime
avventure di viaggio Davies le sperimenta con il nonno, che lo aveva adottato
dopo la morte del padre, in brevi spostamenti sulla piccola goletta di un amico
comandante.
Dal nonno eredita
l’irrequietezza, e la vera svolta della vita è legata alla morte dei nonni, che
gli lasceranno una piccola rendita amministrata da un curatore. Con un anticipo
sui redditi futuri, Davies, “pieno di speranze e di progetti”, si imbarca così
per l’America.
Fin da subito, in
un Paese attraversato alla fine del secolo scorso da una grave crisi
commerciale, Davies da New York comincia
i suoi spostamenti con diversi compagni di strada, alcuni noti mendicanti con i
quali affinerà l’arte del mendicare, apprendendo anche la capacità di evitare
la prigione, spesso pagando pochi dollari; oppure sfruttando la calda
accoglienza delle stesse, specie nei periodi invernali. Per gli spostamenti i
treni merci rappresentano il mezzo più usuale, anche se spesso pericoloso. Rientra
in Inghilterra e percorrerà avanti e indietro l’oceano più volte, rischiando la
vita con i movimenti imprevisti dei capi di bestiame cui badare.
Dopo aver
trascorso quasi cinque anni di vagabondaggi negli States e con la parziale sicurezza della piccola rendita, Davies
rientra in Inghilterra per poi ripartire per il Canada, attratto da una descrizione del
Klondyke come una terra d’oro, vista in un giornale della sera. Ed è durante
uno dei suoi spostamenti in treno che Davies manca lo scalino di un treno in
corsa, rischia la vita e subisce l’amputazione di un piede. Visti gli oggettivi
impedimenti fisici, rientra a Londra e la sua irrequietezza si riversa sul
versante intellettuale. Dopo un anno di letture e di lavoro di scrittura di
poesie, le stampa in migliaia di
copie, tenta la vendita porta a porta e, quindi...brucia tutto.
Ricomincia così a
girare per città e campagne, facendo l’arrotino e il mendicante, cercando con i
proventi di pubblicare un suo lavoro, fino all’originale stretegia di marketing
testimoniata dallo stesso Shaw in prefazione. Questa, unitamente ad un paio di
recensioni positive, lo porteranno ad una relativa notorietà, pur senza far
venire meno vicissitudini ed affanni. Così si conclude il suo lavoro: “…ho la
consolazione di sapere che molti poveri diavoli, che non hanno il talento o i
mezzi per rendere pubbliche le loro esperienze, sanno che io ho scritto la
verità. Questa non è che una misera consolazione, perché quei poveri diavoli
non sono gente che sia in grado di sostenere un campione della loro causa,
bensì, sono persone che soffrono, impotenti, nelle mani di una classe più
forte.”
Finale all’apparenza mite e dimesso, ma che in realtà assume le vesti di una sorta di dichiarazione di guerra, supportata dall’intera propria esistenza.
Finale all’apparenza mite e dimesso, ma che in realtà assume le vesti di una sorta di dichiarazione di guerra, supportata dall’intera propria esistenza.
Giorgio Macario
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