VINCENZO SPERA (con
Renato Tortarolo)
A UN METRO DAL PALCO
Autobiografia di un
promoter
(Il Nuovo Melangolo, Genova, 2016)
Presentazione autobiografica di Giorgio Macario
Uno dei motivi per cui mi sento abbastanza ‘vicino’ a
Vincenzo Spera è che anche lui, fin da giovane, non si è mai accontentato di
occupazioni e lavori del tutto predefiniti, ben strutturati, già sicuri in partenza. Ci
sono sempre state le persone al centro del suo interesse: “migliaia e migliaia
di esperienze e rapporti, a volte duraturi, a volte fugaci, ma sempre molto
intensi.”
Un secondo motivo è legato al fatto che quando lui era già
responsabile dell’organizzazione di concerti sul territorio genovese (e non
solo), io ero responsabile di un gruppo di adolescenti, vispi e problematici,
che riuscivo a far entrare ad ascoltare musica a prezzi, diciamo così, di
favore.
Vincenzo, infatti, è sempre stato sensibile alla solidarietà: lui si
domanda infatti “se la musica, rock o leggera, nata per protestare o cambiare
il corso delle cose abbia anche obblighi morali” e si dà una risposta positiva
citando diverse mobilitazioni fra gli organizzatori di concerti, dall’alluvione
a Genova al terremoto in Abruzzo ed a
quello in Emilia Romagna; ma quello che posso assicurare è che la sua
sensibilità era tale anche quando non era così conosciuto come oggi.
D’altra parte, a conferma di ciò, basta scorrere alcune delle
lusinghiere considerazioni danategli da un gran numero di artisti che, tramite
lui, si sono esibiti: “Vincenzo (...) carattere forte e risoluto che però non
ha impedito alla sua anima di rivelarsi.” (Franco Battiato); “Tu (...) ami la
musica e i musicanti. E li metti anche in scena.” (Francesco De Gregori); “Vincenzo
non ha mai fatto distinzioni, per lui gli artisti in quanto tali,
indipendentemente dal nome, meritano il rispetto e la giusta accoglienza.”
(Beppe Barra); “Vincenzo (...) era spinto da grande passione. Aveva ed ha
grande rispetto e amore per la musica e quindi per tutti quelli che la fanno.”
(Edoardo Bennato); e così di seguito da Conte a Guccini, da Ligabue a Beppe
Grillo.
Ma cercando di dare un nome a questa sua ‘Autobiografia di un
promoter’, la definirei una ‘autobiografia professionale’ di vita vissuta, non
certo asetticamente rivolta a celebrare i propri successi occultando le
possibili zone grigie.
E così le centinaia di concerti organizzati (33 pagine fitte
cronologicamente elencate in fondo al volume) con moltissimi cantanti italiani
(a partire dai suo ‘testimonials’) e star della musica internazionale (da Joan Baez ad Eric Clapton, da Frank Zappa
a Peter Gabriel, dai Rolling Stones a Ella Fitzgerald) alla presenza di milioni
di spettatori, non sono che un pretesto per la narrazione di aneddoti che contribuiscono
ad umanizzare vizi e virtù degli artisti incontrati, accompagnati ed assistiti
nelle loro esibizioni, realizzate a volte con accorgimenti e soluzioni
originali ai limiti delle umane possibilità. Perchè, come afferma David Zard in una
testimonianza che ‘vale doppio’ perchè fatta da un collega di Vincenzo fra i
più affermati in Italia, “Vincenzo era un ragazzo entusiasta che pur senza
molti mezzi finanziari voleva che a Genova venissero i più grandi artisti del
mondo dai Rolling Stones ai Pink Floyd, era testardo (...) Il suo atteggiamento
mi ha sempre incantato ed alla fine mi convinceva a fare un concerto a Genova
piuttosto che in un altra città.”
Che si sappia, quindi, a chi dobbiamo, in gran parte, la
realizzazione di eventi nazionali e internazionali in quel di Genova. Compreso
un concerto al quale ho preso parte personalmente e che non si è trasformato in
tragedia -apprendo adesso- proprio per la capacità di Spera/organizzatore di
trovare soluzioni originali e gestire
l’emergenza in frangenti altamente problematici. Racconta infatti Spera: “L’anno
in cui al Palasport organizzai lo spettacolo di Eric Clapton non esisteva
ancora una commissione di vigilanza che ti dice quanta gente potrai ospitare in
un certo posto. Solo a Milano avevamo venduto più di 17 mila biglietti, al
Palasport si presentarono in 30 mila. Troppi. (...) Poteva finire male (...)
Così proposi al funzionario in servizio di fare un grande cordone fra quelli
che avevano il biglietto e quelli senza. In quel modo riuscimmo a filtrare
quasi diecimila persone. (...) Alla fine la folla salì a quarantamila persone.”
Il 3 maggio del 1983 io ero lì, a Piazzale Kennedy, in compagnia della mia
futura consorte, pigiato come mai mi era capitato in una folla di migliaia di
persone. Ad un certo punto -la mia ‘stazza’ me lo consentiva- ho irrigidito i
muscoli del corpo per non ondeggiare nella calca e lasciare un minimo di spazio
per respirare a me ed a Loriana. Finchè, molto lentamente, si è riusciti a
defluire ed infine ad entrare nel Palazzetto dello sport. Ma non so quanto
avrei resistito, e come me e più di me, molti altri. Del concerto ho un vago
ricordo, in particolare della bravura di Clapton, ma quella calca me la ricordo
nitidamente. E, grazie a questa autobiografia, oggi so anche a chi dobbiamo lo
scampato pericolo. Grazie Vincenzo, anche
per questo.
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