Il caldo è veramente opprimente, dappertutto. Ma non
qui, oggi.
Qui ci sono gli alberi, alti, con le loro fronde
estese che proteggono questo angolo di montagna, poco oltre gli 800 metri di
altitudine.
E’ qui, ad Adelano di Zeri, in Lunigiana, che 71 anni
fa Dante Castellucci, il Comandante Facio, venne fucilato da un gruppo di
partigiani.
Ingiustamente accusato di azioni illecite scelse, pur
avendone la possibilità, di non sottrarsi ad una sorte così infausta.
Era il 22 luglio del 1944, mancavano nove mesi alla
Liberazione dell’Italia intera, e con la sua morte molti dei giovani che erano
insieme a lui si dispersero, scegliendo strade diverse.
Mio padre, Marzio Macario, era uno di loro.
Non si rassegnò mai al pensiero che il suo primo
Comandante potesse essere colpevole.
Me ne ha sempre parlato come di una figura
carismatica, a capo di un battaglione di area comunista, il Picelli, ma al
contempo animato da idealità libertarie.
Un uomo giusto ma fermo, un comandante che per
integrità morale e per spirito comunitario nella condivisione totale delle
privazioni della guerra, spesso veniva paragonato da mio padre alla figura di
Aldo Gastaldi, detto Bisagno, morto anch’egli –non a caso- in uno ‘strano’
incidente all’indomani della Liberazione.
Un uomo lo si stima anche per le eredità che lascia. E
se dovessi dire qualcosa in più di una persona che non ho mai conosciuto, perché
ucciso 12 anni prima che io venissi al mondo, del Comandante Facio potrei
parlarne solo tramite le parole di mio padre che così sintetizzava la vita
partigiana di quei mesi: “Il coraggio e la temerarietà erano sempre presenti.
Si combatteva con il cuore, ma anche con la mente e Facio era maestro e mentore
per tutti coloro che si avvicinavano alla banda.”
Anche il nome partigiano di mio padre, Terry, è nato
dal fatto che lo stesso Facio gli diceva sempre più spesso –forse per la sua
giovanile esuberanza- “Sei terribile!”.
E molte delle successive vicissitudini che hanno
accompagnato la vita di mio padre nel suo ‘decennio rosso fuoco’, dalla
partecipazione all’insurrezione che liberò la città di Genova all’assumere il
ruolo di responsabile del CLN per la zona di San Teodoro, dal favorire l’invio
delle armi ai combattenti antifranchisti spagnoli all’esilio forzato in
Svizzera, portano tutte il segno indelebile della lezione di vita appresa in
quei mesi trascorsi in montagna a combattere per i propri ideali.
Per questo oggi sono e siamo qui, a testimoniare un
doveroso tributo ad una vita barbaramente spezzata in giovanissima età.
In attesa di una Medaglia d’Oro al Valor Militare più
volte ipotizzata e mai assegnata, per colui che nel marzo del 1944 guidò per
due giorni la resistenza ai tedeschi nella battaglia del Lago Santo, quando con
nove compagni riuscì a tenere testa all’assalto di oltre 80 militari nazisti.
Il giorno in cui questa ferita sarà sanata, potrò
infine recarmi sulla tomba di mio padre e informarlo sull’esito dell’ultima
battaglia che come giovane partigiano avrebbe voluto condurre per il suo
Comandante.
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