Circa
tre mesi fa ritrovavo un'autobiografia molto particolare che George Bernard
Shaw, nella prefazione al volume, definiva "un libro sorprendente scritto
da un incorreggibile supervagabondo
(Cfr: http://giorgiomacario.blogspot.it/2015/03/autobiografia-di-un-supervagabondo-1-la.html)
(Cfr: http://giorgiomacario.blogspot.it/2015/03/autobiografia-di-un-supervagabondo-1-la.html)
Ho
riflettuto molto prima di scrivere questa presentazione del volume perché,
nonostante la narrazione ci riporti ad oltre un secolo fa, sentivo l'eco di un
costante richiamo alle vicende odierne che vedono decine e centinaia di
migliaia di persone attraversare confini, sfuggire ai controlli delle forze
dell'ordine, cercare di procacciarsi il cibo per sopravvivere ed un qualche
riparo per la notte, chiedere la carità del prossimo quando non se ne può fare
a meno. Naturalmente ci sono anche molte differenze, prima fra tutte la scelta
volontaria di partire che caratterizza l'autore di contro alla
quasi-costrizione dell'esodo di massa di intere popolazioni costrette a
condizioni di vita inaccettabili.
Ma ho
pensato di testimoniare i punti di vicinanza inserendo lungo il testo
alcune immagini odierne: mi è sembrata la cosa più giusta da fare perchè un
passato riscoperto possa farci capire qualcosa in più di un presente che appare
sempre più incomprensibile e disumano.
Incontrare
un supervagabondo non tanto in carne
ed ossa bensì in carta e penna, come anticipavo presentando la…presentazione,
non è cosa di tutti i giorni.
Prima, però,
di addentrarci nei meandri di un testo che ritengo sia unico nel suo genere, vorrei
raccontarvi una storia, connessa al titolo in inglese del libro: ‘The
autobiography of a super-tramp.’
C’era una
volta un miliardario olandese soprannominato ‘Sam’ che rimase impressionato
dalla performance di un cantante-pianista, tale Rick Davies, che suonava con i
Joint a Monaco. Eravamo nel 1969, e questo miliardario finanziò la costituzione
di un gruppo, delegando a Rick tale compito. Ed è su suggerimento di uno dei componenti
della nuova formazione che ricordava un romanzo di inizio secolo di un tale W.
H. Davies, che la band prese il nome
di SUPERTRAMP (conosciutissimi in
particolare, dopo l’album di esordio del 1970 intitolato ‘Supertramp’, per gli
LP ‘Crime of The Century’ del 1974 e
‘Breakfast in America’ del 1979).
Ma ritornando
al testo ispiratore della band, andrei con ordine, vista l’occasione che ci
viene fornita dall’autore, curiosando nella sua fanciullezza: “Quando eravamo
riuniti in privato la nostra famiglia era composta del nonno, della nonna, di
un fratello deficiente, di una sorella, di me, di una domestica, e di un cane,
un gatto, un pappagallo, una colomba e un canarino.” Morto il padre e
risposatasi la madre, i nonni adottarono i loro tre nipoti e sarà proprio il
nonno, marittimo a riposo e gestore di una locanda, a far sperimentare al
nostro ‘candidato supervagabondo’ le prime avventure di viaggio, portandolo con
sé in numerosi spostamenti dalla citta di N. a Bristol su di una piccola
goletta comandata da un amico.
Le prime
esperienze scolastiche senza infamia e senza lode, vengono ben presto
irrimediabilmente compromesse da sei settimane trascorse a fare furti con una ‘banda’ di 6 ladri, ragazzini
benestanti, organizzati dal nostro, che riesce a rimediare una notte in
prigione e viene condannato a 12 colpi
di sferza: “Così finirono i miei giorni di scuola.”
Ereditata
l’irrequietezza del nonno, la giovinezza di Davies trascorre fra occupazioni
saltuarie e letture condivise con l’amico Dave (Byron, Shelley, Marlowe e
Shakespeare, in particolare); ma la vera svolta della vita è legata alla morte
prima del nonno e poi della nonna, che gli lascerà una piccola rendita amministrata da un curatore. Con un anticipo sui
redditi futuri, Davies, “pieno di speranze e di progetti”, si imbarca così per
l’America.
Fin da
subito, in un Paese attraversato alla fine del secolo scorso da una grave crisi
commerciale, con molti che rimpatriavano – Davies da New York comincia i suoi
spostamenti con diversi compagni di strada: il primo, con il quale intende
raggiungere Chicago, sarà Brum, “un noto
mendicante che s’era fatto di casa in tutte le parti del Paese, dalla costa
atlantica al Pacifico.”
L’affinamento
dell’arte del mendicare procede di pari passo con la capacità di evitare la
prigione, spesso pagando pochi dollari, oppure di sfruttare la calda
accoglienza delle stesse, specie nei periodi invernali (“Ascoltatemi, continuò
Brum…venite con me nel Michigan. Là si può andare in prigione senza condanne di
alcun genere e prendere dieci, quindici, venti o trenta giorni, tutto secondo
la vostra discrezione. Niente da lavorare, buon cibo e tabacco ogni giorno.”).
Tutti, dalle guardie, ai giudici ai carcerieri ci guadagnavano, un tanto ad
arresto, e i cittadini pagavano.
Il tutto
alternato a periodi di lavoro come taglialegna, come raccoglitore di luppolo,
di uva, fragole, lamponi, more o in molte altre occupazioni specie in ambito
agricolo. Ma così come arrivavano, i guadagni se ne andavano molto in fretta
(“… Lo spendemmo in una settimana a Chicago e ci trovammo di nuovo senza un
centesimo.”)
Per gli
spostamenti i treni merci
rappresentano il mezzo più usuale, anche se spesso pericoloso, specie quando ci
si doveva posizionare fra un vagone e l’altro. Ed è dopo varie peripezie che
Davies matura l’intenzione di rientrare in Inghilterra e si dirige quindi a
Baltimora, anche perché ‘il Rosso’,
altro suo compagno di vagabondaggi, gli aveva detto: “Ti spiegherò come
qualunque uomo senza una precedente esperienza di mare o di navi, senza essere
né marinaio, né fuochista, né cuoco, possa andare in Inghilterra senza pagare
il passaggio, ma anzi facendosi pagare.”
Ma tra il
dire e il fare…c’è di mezzo il mare. Ed in particolare quell’oceano che Davies
percorrerà avanti e indietro, impegnato a fare il bovaro e a rischiare la vita
nel contenere i movimenti imprevisti di migliaia di capi di bestiame. Ancora il
lavoro a costruire un canale nei dintorni di Chicago, nella raccolta della legna, in una fabbrica di doghe per
barili dove si ammala di malaria e, dopo molte peripezie, viene ricoverato in un ospedale di Memphis, da dove esce
giusto in tempo per assistere ad un linciaggio di un nero –cosa piuttosto
usuale negli Stati del Sud- e quindi dirigersi verso Pittsburg dove vive l’esperienza di un accampamento fra vagabondi
che viene descritto come una sorta di rave
ante-litteram, con al centro il consumo di whisky.
Sono
trascorsi così quasi cinque anni di vagabondaggi negli States e con la parziale sicurezza
rappresentata dalle circa 120 sterline della piccola rendita che si erano
accumulate nel frattempo e neanche un soldo risparmiato, Davies si reca
nuovamente a Baltimora. Prende quindi un treno per affrontare l’ultimo viaggio in
nave come bovaro e far rientro, finalmente, a casa. Ma l’irrequietezza prende ancora
il sopravvento: beve smodatamente, fantastica l’apertura di una libreria a
Londra per poi partire per il Canada, attratto da una descrizione del Klondyke come ‘una terra d’oro’ vista in un giornale della sera.
Gli
spostamenti si avvicendano lentamente da Montreal in direzione del Klondyke,
sperimentando con nuovi compagni di viaggio, stazioni accoglienti e prigioni
dove poter dormire, a volte, la sera. Ma è durante uno di questi spostamenti in
treno che Davies subisce un gravissimo
incidente.(“Il mio piede mancò lo scalino, caddi, ancora afferrato alla sbarra,
e fui trascinato per parecchi metri prima di poterla lasciare. Giacqui là
immobile per parecchi minuti…tentati di alzarmi in piedi…e constatai che il
piede destro era staccato dalla caviglia.”)
Dopo tre
giorni trascorsi fra la vita e la morte e due operazioni con una amputazione all’altezza del
ginocchio Davies osserva: “Ben presto arrivai a casa di nuovo, dopo essere
stato assente più di quattro mesi; ma tutto lo spirito del vagabondaggio s’era spento nel mio animo…”.
Ed è a
questo punto che l’irrequietezza di Davies, visti gli oggettivi impedimenti
fisici, si riversa comunque sul versante intellettuale, spingendolo a sostituire
il sogno delle pepite del Far West con quello della fama letteraria, sogno che
cerca di realizzare a Londra, contando sulla tanto vituperata, ma adesso molto
apprezzata, piccola rendita dell’eredità. Scrive,
alloggiato alla meno peggio, una tragedia in versi sciolti ed un secondo
lunghissimo poema, spedendole a ben due editori, certo che le avrebbero
accolte, e stupendosi del contrario. (“A quel tempo, benchè fossi già prossimo
alla trentina, ero d’una presunzione stupida fino all’inverosimile.”) Dopo un anno di letture e di lavoro di
scrittura, l’aver tentato di stampare poesie in alcune migliaia di copie
per poi venderle porta a porta e poter così finanziare l’uscita di un volume a
proprie spese, Davies decide di bruciare
tutto. Dopo di chè trascorre un altro anno usufruendo anche di alloggi dell’Esercito della Salvezza -al limite
della sopravvivenza- e cercando disperatamente di ottenere lettere di adesione
da benefattori per poter sostituire la gamba artificiale che stava per cedere,
Davies descrive un intreccio di ‘lobbies’
della beneficienza che sembra non aver nulla da invidiare a diverse burocrazie malfunzionanti dei giorni
nostri, e finalmente riesce nel suo scopo.
Ricomincia
così a girare per città e campagne, facendo ‘l’arrotino e il mendicante’, e sviluppando
conoscenze sempre più affinate sui mendicanti e sull’arte di mendicare, come
quando afferma: “Sembra strano a dirsi, ma il vagabondo dall’aspetto più sporco
è spesso il più onesto e il più rispettabile, perché non ha il coraggio di
mendicare né il cibo né i vestiti, né vorrà mai varcare la soglia di un asilo o
d’una casa di ricovero.”
Ritorna a Londra dopo pochi mesi di questa vita
errabonda, ma riparte ancora una volta per cercare di sopravvivere e far
accumulare nel frattempo una cifra sufficiente alla pubblicazione di un suo
lavoro. Praticamente non mendica più,
ma accetta quanto gli viene offerto, arrangiandosi ed incontrando ancora
cantori e truffatori, e descrivendo in maniera efficace ad un tempo episodi
ascoltati e comportamenti osservati.
Finalmente,
dopo varie peripezie, riesce a procurarsi il denaro per la stampa di alcune
centinaia di copie di un suo scritto, che invia a diversi recensori. I
risultati sono però deludenti e Davies rimane ancora una volta deluso dallo
scarso o nullo aiuto ricevuto dalle organizzazioni caritatevoli. Medita,
quindi, di fare un nuovo falò con i circa duecento libri rimastigli. Ed è
subito prima di farlo concretamente che elabora una originale strategia di marketing: invia infatti a personaggi anche
molto conosciuti il libro con la richiesta di fargli pervenire il costo dello
stesso e, incredibilmente, nel giro di poco tempo una sessantina di copie
vengono vendute. Inoltre due noti letterati gli scrivono interessandosi al suo
lavoro e producendo alcune buone recensioni. “Queste recensioni ne provocarono
altre, produssero interviste e crearono intorno a me una simpatia che mi
compensava ad usura della passata indifferenza.”
Non che con
la notorietà vengano meno vicissitudine
ed affanni, visto che l’ultimo capitolo del volume è dedicato a descrivere
l’eccentricità di una padrona di casa ed a dimostrare quanto fosse fondato il
detto, che meriterebbe di diventare un proverbio: “Non abitate mai in una casa
accanto a quella del padrone o della padrona di casa.”
E così
conclude il suo lavoro, preoccupandosi di rimarcare la propria onestà nel
descrivere “le cose come avvennero”: “…ho
la consolazione di sapere che molti poveri diavoli, che non hanno il talento o
i mezzi per rendere pubbliche le loro esperienze, sanno che io ho scritto la
verità.
Questa non è che una misera
consolazione, perché quei poveri diavoli non sono gente che sia in grado di
sostenere un campione della loro causa, bensì, sono persone che soffrono,
impotenti, nelle mani di una classe più forte.” Finale all’apparenza mite e
dimesso, ma che in realtà assume le vesti di una sorta di dichiarazione di guerra, supportata dall’intera propria esistenza.
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