L’incontro
fra gli ‘angeli del fango’
delle alluvioni genovesi del 1970 e del 2011
delle alluvioni genovesi del 1970 e del 2011
Impossibile
in un contesto così intriso di ‘saperi esperienziali’, come l’iniziativa odierna
(“LA CATENA DEL FANGO. I ragazzi dell’11 e del ‘70 si incontrano." Genova, 4
novembre 2013 - Accademia Ligustica di Belle Arti), non partire dalla propria
esperienza personale prima di dire alcune parole sul valore delle testimonianze
autobiografiche.
Nel 1970, in
quanto quattordicenne liceale genovese, ricordo di aver partecipato allo
sgomento generale di vedere l’intera città in ginocchio e di essere andato a
spalare fango a Voltri, che era una delle zone più colpite della città. E’
stata senz’altro un’esperienza speciale, ma di breve durata e piuttosto
estemporanea perché ero ancora molto giovane e le forti condivisioni con il
gruppo di pari della mitica sezione G al Fermi, che durano ancora oggi, erano
di là da venire con un solo mese di scuola alle spalle. Così il ricordo
principale che conservo di quell’esperienza riguarda più mio padre che alla
mezzanotte del 7 ottobre 1970 è partito a nuoto da via Buranello a
Sampierdarena dove abitavamo per andare a recuperare il fidanzato di mia
sorella più grande, un giovane lavoratore emigrante catanese, bloccato a Fegino
da un fiume d’acqua tutto intorno; lungo la strada ha salvato una signora
anziana che stava per annegare, l’ha poi raggiunto e l’ha riportato nella
nostra casa nuotando per lunghi tratti in oltre tre metri d’acqua. Come si
vede, quindi, è predominante un ricordo
‘biografico’ riguardante mio padre piuttosto che uno specifico ricordo
autobiografico.
Nel novembre
2011, in quanto maturo formatore cinquantacinquenne il principale ricordo
dell’alluvione che conservo è invece legato ad una testimonianza scritta che ho
realizzato per il sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari all’indomani
del 4-5 novembre, colpito anch’io come molti altri dall’aiuto praticamente
immediato che è venuto da molti giovani, facendo subito pensare ad una
riproposizione dell’esperienza degli angeli del fango del 1970 a Genova ma
anche del 1966 a Firenze. Scrivevo allora, fra l’altro, e mi piace ricordarlo
in questa occasione:
“Ma c’è anche
un altro silenzio possibile.
E’ il
silenzio delle imprese memorabili.
Imprese che
non nascono per gli onori della cronaca e quand’anche vi giungano, non ne
dipendono.
Un vicino che
strappa ad una morte orribile in uno scantinato due persone e si cruccia di non
aver potuto fare di più.
Una mamma che
salva la figlia prima di cedere alla furia degli elementi.
Una giovane
che organizza una pagina face book e, aiutata da pochi amici, indirizza in
maniera efficace migliaia di volontari.
Un cittadino
qualsiasi che si mette al servizio degli altri svolgendo una piccola e semplice
funzione, come distribuire migliaia di caffè, consentendo ad altrettante
persone di provare un po’ di conforto e di moltiplicare gli sforzi.
Sono silenzi
edificanti di imprese memorabili che parlano al cuore più che alla mente, ed
incarnano la speranza di un qualche futuro per l’umanità.
Concludendo con questa
osservazione:
Ci vorrebbero
un po’ più di questi silenzi vitali al posto delle troppe parole assordanti
che, purtroppo, sono state sparse a piene mani come sale sulle ferite della
Terra.
Il valore
delle testimonianze autobiografiche è consistente, perché tali testimonianze
possono essere considerate una sorte di base comune che riguarda praticamente
tutti, quasi ‘pre-formativa’. Qualsiasi apporto serio, prima di poter essere
proposto a livello formativo, deve essere sperimentato e ‘vissuto’.
Ed è proprio
‘La scuola della vita’, come è intitolato uno degli ultimi testi di Gianpiero
Quaglino, uno dei padri della formazione in Italia, che viene indicata come una
pratica di formazione lungo tutto il corso della vita. E non solo, ma è
l’esperienza di formazione che in realtà deve ‘inseguire’ la scuola della vita
perché occorrerà “restituire all’esperienza di formazione quel carattere
imprevedibile, indeterminato, imponderabile e talvolta anche inesprimibile che
spesso finisce per assumere il corso stesso della vita.”
Fare
un’esperienza è naturalmente indispensabile per avere, poi, qualcosa da
raccontare, e l’aver partecipato allo sforzo comune di aiuto altruistico e
condiviso, anche solo semplicemente spalando fango, rappresenta un’esperienza
profondamente personale ma al contempo fortemente collettiva. E’ anche per
certi aspetti un ‘mutuo-aiuto’ perché aiutando altri do’ un senso al fatto di
esistere.
Inserire
questa specifica esperienza nel proprio percorso autobiografico (che ricordo,
da ‘autos’, ‘bios’ e ‘graphein’ ci richiama lo scrivere il proprio percorso di
vita, e da’ quindi anche un valore particolare alla scrittura e non solo alla
narrazione), fatto a due anni di distanza –come per gli ‘angeli del fango’ del
2011- o a oltre 40 anni da quegli avvenimenti –come per gli ‘angeli del fango’
del 1970- ha un grande valore perché è proprio dalle esperienze più
emotivamente coinvolgenti che si può ripartire per capire come e quanto siamo
cresciuti con questa ma anche con molte altre esperienze che si perdono nei
meandri della mente.
Duccio
Demetrio, che possiamo considerare il padre dell’autobiografia in Italia, in un
suo testo fondamentale, ‘Raccontarsi’, ci dice: “L’autobiografia non è soltanto
un tornare a vivere: è un tornare a crescere per se stessi e gli altri, è un
incoraggiamento a rubare giorni al futuro che ci resta , e a vivere più
profondamente (…) quelle esperienze che, per la fretta e la disattenzione degli
anni cruciali, non potevano essere vissute con la stessa intensità.”
In questo
modo l’autobiografia diventa un vero e proprio ‘viaggio formativo’, nel quale
sono presenti non uno solo, ma diversi ‘io’: poter inserire la propria
rievocazione autobiografica in una ‘prima grande rievocazione collettiva delle
alluvioni’ –cito dagli organizzatori dell’iniziativa- e poterlo fare
confrontandosi fra generazioni diverse rappresenta un valore aggiunto che
sfata, fra l’altro, il mito della narrazione autobiografica come esercizio
individualistico e solipsistico che rinchiude ciascuno nel proprio recinto
esistenziale.
Conoscersi
meglio scambiandosi racconti di esperienze comuni o diversificate è
un’occasione preziosa. Utilizzare questa occasione per proseguire o avviare un
proprio percorso di conoscenza autobiografica, oltre che di ricerca di
confronti costruttivi, può rappresentare un’evoluzione sociale come capita di
rado di incontrarne. In tempi così votati al pessimismo sarebbe un bel segnale
in controtendenza. (G.M.)
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