Scrivere,
forse è una malattia. O forse no.
Fatto
sta che quando prende il sopravvento è difficile contenerla, confinarla e
controllarla.
Ma
allora, se si può piangere dalla gioia e si può ridere ‘a crepapelle’, fino a
morirne, forse si può essere contaminati dalla ‘febbre dello scrittore’.
Bel
paragone!
Ma se
la febbre non c’è? Se il risultato è quello di sentirsi meglio con se stessi?
Se si sfruttano tutte le occasioni per poter mettere nero su bianco ciò che
altrimenti si arrenderebbe all’oblio?
In
questo caso, forse, non di malattia si tratta, quanto di guarigione.
La
malattia, spesso inconsapevole, è l’essere ancorati ad un pervicace silenzio
interiore, perseguire una sorta di entropia esistenziale, barricarsi entro
convinzioni di autosufficienza dure a morire.
Ed è
proprio la felicità dello scrivere
che può
scardinare questo universo solipsistico,
percepire
il proprio esserci nella sua interezza
e farci
entrare in contatto con il respiro del mondo.
La
felicità dello scrivere non riguarda quindi i contenuti trattati, né gli stati
d’animo rilevati.
La
felicità dello scrivere è semplicemente
la vita
che fluisce,
l’inchiostro
che scorre,
il
cuore che batte.
da ‘La felicità dello
scrivere’
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