Il tema delle reti -con riferimento alle possibili interconnessioni in ambito sociale- può sembrare ad un tempo un po' superato (se ne parla almeno dagli anni '80 del secolo scorso) ed anche parzialmente abusato perchè il termine 'rete' è stato considerato 'di moda' per un po' di tempo. Credo invece rappresenti uno strumento concettuale utile quando siano specificati i contesti e le modalità di utilizzo.
Nel caso della presente riflessione, che prende spunto da una delle ultime sessioni formative nazionali per gli operatori delle adozioni internazionali, da me coordinate nel 2016, l'esplorazione condotta con riferimento ai contesti istituzionali (nazionali e regionali), professionali (facendo attenzione alle dimensioni interprofessionali) e naturali (specialmente riguardo alle famiglie adottive ed agli stessi ragazzi adottati) credo possa aiutare a sviluppare connessioni anzichè alimentare divisioni.
Buona lettura, quindi, per chi avrà interesse al tema e sufficiente pazienza per giungere alle conclusioni.
Adozioni internazionali e
valorizzazione delle reti
istituzionali, professionali
e naturali
Non potremmo contribuire a rivisitare
momenti e parti dei percorsi formativi,
istituzionalmente previsti o organizzati ad
hoc,
per sostenere aperture a nuove prospettive e
per re-immaginare
diversi investimenti e diverse attenzioni ai
problemi del nostro contesto sociale
e alle nuove generazioni che si mostrano
interessate ad affrontarli?[2]
Franca
Olivetti Manoukian
1.
Il respiro europeo delle attività
formative per le adozioni internazionali
Le azioni formative nazionali
della Commissione per le adozioni internazionali (d’ora in avanti denominata
CAI) rivolte alla migliore applicazione della legge per le adozioni
internazionali, la Legge 31 dicembre 1998, n. 476, partite già all’indomani
della attivazione della stessa Commissione nel novembre 2000, hanno
rappresentato una delle esperienze più longeve di preparazione
interprofessionale ed interdisciplinare di diverse centinaia di operatori
sparsi sul territorio nazionale e provenienti da Regioni e servizi
territoriali, Enti autorizzati e Giustizia minorile.
Queste attività formative, frutto
di approfondimenti che hanno coinvolto i principali studiosi delle specifiche
tematiche trattate e che hanno tenuto presente una selezione delle esperienze
più significative già attive sul campo, hanno contribuito non di rado a
prefigurare diverse azioni di sviluppo e miglioramento in tempi successivi alle
attività formative realizzate.
Ciò è stato reso possibile in
primo luogo dall’esteso coinvolgimento dei responsabili dei servizi e delle
istituzioni coinvolte a tutti i livelli, che non di rado sono stati non solo
partecipanti ma anche attori protagonisti dell’intervento formativo, e per
l’estesa fiducia che si è consolidata negli anni in merito alla qualità complessiva
della formazione progettata e realizzata.
Gli stessi appuntamenti europei
ed internazionali che si sono succeduti negli ultimi anni[3], hanno
allargato lo sguardo visuale della formazione nazionale realizzata dalla CAI e hanno
consentito nuove connessioni ed interscambi.
Proprio per questo, le attività
formative proposte dalla CAI sono ormai da alcuni anni collocate in un quadro
europeo, il nuovo quadro strategico dell’Unione Europea 2010-2020, arricchito dalla
più recente programmazione comunitaria 2014-2020 che, in particolare per
l’istruzione e la formazione, prevede tre priorità: una crescita intelligente
(conoscenza e innovazione al centro); una crescita sostenibile (più efficienza
e competitività per quanto riguarda le risorse); una crescita inclusiva
(maggiore coesione sociale e territoriale promuovendo l’occupazione).
Esplicitando poi il quadro delle
priorità, gli obiettivi strategici nello stesso settore formativo e
dell’istruzione risultano essere quattro:
A)
Applicare la formazione lungo tutto il corso della
vita.
B) Migliorare
la qualità e l’efficacia della formazione.
C) Promuovere
equità, coesione sociale e cittadinanza attiva.
Il target di riferimento delle
attività formative della CAI è un target doppiamente rilevante per il
perseguimento di questi obiettivi perché gli operatori coinvolti si formano per
sé, ma sono molto spesso operatori con grande esperienza, influenti nelle loro
organizzazioni, e che sovente si adoperano per diffondere e sensibilizzare
altri operatori. Questa finalità di diffusione, d’altra parte, occupa ormai un
posto rilevante negli intendimenti della CAI, proprio per consentire il
migliore utilizzo possibile delle risorse e innescare un virtuoso effetto
moltiplicatore.
Ma riprendendo i quattro
obiettivi strategici menzionati, questi rappresentano un mix che è possibile
rintracciare nella formazione nazionale per le adozioni internazionali.
Dalla realizzazione di un Lifelong Learning non esaustivo, certo,
ma molto più coinvolgente degli aggiornamenti professionali estemporanei, e
peraltro sempre più rari, cui devono adattarsi i più (Ob. A) al perseguire un
miglioramento continuo quanto all’efficacia formativa esplorando nuove
metodologie e consolidando ed estendendo i risultati raggiunti su tutto il
territorio nazionale (Ob. B); dal contribuire alla costruzione di una comunità
di pratiche e di pensiero nelle adozioni internazionali[5], che
favorisce maggior conoscenza e coesione, concedendo adeguatamente ascolto a
quella parte di cittadinanza, sempre più estesa, coinvolta nell’adozione di
bambini provenienti dall’estero (Ob. C) all’aprire per quanto possibile a
contributi innovativi mediante analisi interdisciplinari, apporti
autobiografici, gruppi autogestiti[6],
contaminazioni progettuali, ed un avanzato contesto formativo di ‘formazione
situata’ attenta alle indicazioni esplicite ma anche implicite che ispirano
l’azione lavorativa dei soggetti coinvolti (Ob. D).
2.
La valorizzazione delle reti dal pre
al post-adozione: progettare innovando
La L. 476/1998 sulle adozioni
internazionali ha previsto fin da subito il coinvolgimento di una pluralità di
soggetti ed organizzazioni impegnate nella miglior riuscita dell’inserimento
del bambino adottato nel nuovo contesto familiare.
La CAI, dal suo avvio operativo,
ha inteso creare un ‘sistema adozioni internazionali’ capace, per quanto
possibile, di auto-implementarsi. La Commissione ha infatti cercato di
perseguire la migliore delineazione, da parte dei principali soggetti
professionali coinvolti -operatori dei servizi territoriali che andranno a
costruire le equipe adozioni in gran parte del territorio nazionale, con il
coordinamento delle Regioni; rappresentanti ed operatori degli Enti
autorizzati; presidenti e giudici dei Tribunali per i minorenni-, delle proprie
specifiche funzioni favorendo la creazione di contesti inter-organizzativi
attenti al reciproco riconoscimento di competenze, ruoli e funzioni.
La stessa formazione nazionale
per le adozioni internazionali ha costituito da sempre uno dei principali
strumenti finalizzati all’incontro ed al raccordo fra coloro che operano sul
territorio nazionale a favore della migliore riuscita dei percorsi adottivi.
Gli interventi formativi non hanno quindi inteso sostituirsi ai raccordi
operativi e gestionali che venivano al contempo perseguiti dalla CAI con altri
dispositivi, ma sono stati finalizzati alla creazione di spazi di riflessione
ed approfondimento sempre più orientati a migliorare la qualità dell’intervento
e la sua adeguata documentazione.[7]
Se quindi non si può certo
affermare che l’attenzione al raccordo inter-istituzionali e
inter-organizzativo, ma anche la sensibilità rivolta alla promozione di
connessioni interprofessionali e la cura di apporti interdisciplinari, siano
una novità nell’operato della CAI, ciononostante l’aver progettato e realizzato
un seminario di tre giornate sulla ‘Valorizzazione delle reti dal pre al
post-adozione’[8] ha rappresentato un salto
di qualità ben accolto dai professionisti che hanno aderito all’iniziativa.
In tutti questi anni è infatti la
prima volta che il tema delle reti viene posto esplicitamente al centro
dell’attenzione. E questa centralità è connessa ad una fase che mostra una
crescente complessità: la lunga crisi economica in atto dal 2008 ha comportato
un calo del numero di adozioni -anche se in Italia il calo è stato molto più
contenuto rispetto ad altri Paesi[9]- ed un restringimento consistente di risorse
umane e materiali destinate a questo settore, così come a molti altri.
D’altra parte, il concetto di
rete -e di rete sociale[10] in
particolare-, come diversi altri fra cui quello di empowerment e della resilienza, ha corso negli ultimi anni il forte
rischio di essere svuotato di significato, di valore operativo e di efficacia a
causa di un suo costante sovra-utilizzo. L’attuale contingenza internazionale,
cui il mondo delle adozioni internazionali presta particolare attenzione perché
ne fa parte in modo strutturale, sembra aver però spinto a riutilizzare le reti
formali ed informali come fattore imprescindibile di sostegno, laddove la
famiglia ed i singoli, oberati di sovra-investimenti spesso strumentali,
entrano in crisi.
E’ del tutto evidente che gran
parte degli apporti formativi concretizzati hanno di fatto contribuito a
migliorare il sistema di relazione fra i principali nodi della rete delle
adozioni internazionali. E, d’altra parte, i Servizi territoriali delle
Regioni, gli Enti autorizzati ed i Tribunali per i minorenni hanno costruito ed
affinato il proprio know-how in tema
adottivo non in modo totalmente autoreferenziale, ma potendo usufruire nel
contesto formativo di apporti conoscitivi, esposizione di buone prassi e
attivazione di confronti e collaborazioni a livello infra-regionale, interregionale,
nazionale ed in alcuni casi, internazionale.
Diversi esponenti di questi
servizi hanno poi approfondito le loro competenze seguendo per più anni le
attività seminariali nazionali e maturando specializzazioni tali da poter
essere coinvolti nella formazione non solamente come semplici partecipanti,
bensì come testimoni privilegiati che esponevano buone prassi, partecipavano a
tavole rotonde ed in alcuni casi portavano un contributo come relatori su temi
che li vedevano particolarmente competenti. E’ quindi la stessa rete
professionale ad essersi mobilitata in prima persona, rivolgendo il proprio
sguardo anche oltre il contesto prettamente professionale.
Quest’ultima attività seminariale
proposta ha quindi inteso favorire riflessioni e nuovi pensieri che potessero
aiutare le necessarie riorganizzazioni, in molto casi già in atto, senza
sacrificare i livelli di eccellenza raggiunti. Occorre infatti trovare il modo
di promuovere circoli virtuosi che mantengano la capacità di pensare e di
gestire al meglio le diverse problematiche da parte degli operatori, evitando
che si inneschino circoli viziosi caratterizzati da demotivazione e scarsa
riflessività.
Il
percorso di specializzazione e approfondimento realizzato si è quindi
concentrato sull’individuazione della migliore finalizzazione degli apporti
istituzionali e professionali per la concreta valorizzazione delle reti
naturali e di reciprocità che si possono creare intorno alle famiglie adottive.
Alla ricerca di un mix adeguato fra
aspetti formali e dimensioni informali.
E proprio per valorizzare le
specifiche caratteristiche dei diversi apporti conoscitivi ed esperienziali, sono
stati attuati vari accorgimenti metodologici, quali:
-le più tradizionali, ma pur
sempre indispensabili, ‘relazioni di approfondimento’ dei temi;
-le già sperimentate ‘riflessioni
nel corso dell’azione’, fondamentali per enfatizzare l’approccio
teorico-pratico della formazione ed estese alle iniziative più significative
anche se non ancora compiutamente concluse;
-le innovative ‘riflessioni dai
territori di confine’, che hanno visto l’apporto di esperti protagonisti di
percorsi di reti diversificate, ma contigue al mondo adottivo;
-i lavori di gruppo condotti da
tutor;
-gli approfondimenti fra esperti,
senza la conduzione di tutor[11].
Infine, nel percorso formativo
sono state considerate, in una sorta di schema a matrice, le dimensioni istituzionali ed
organizzative, dedicando la prima giornata a ‘Istituzioni e Organizzazioni’;
gli aspetti professionali ed interdisciplinari, con la seconda giornata su
‘Professionisti e aspetti interdisciplinari’; gli apporti formali ed informali,
al centro della terza giornata. Particolarmente degni di nota sono stati due
aspetti diversificati: da un lato gli ‘apporti dai territori di confine’
mediante i quali si è cercato di fornire nuovi sguardi visuali, alla ricerca di
nuovi pensieri per affrontare le necessarie riorganizzazioni dell’attuale
contesto; d’altra parte si è puntato molto sul favorire il riconoscimento e la
valorizzazione delle risorse già in possesso delle figure genitoriali adottive
ed i fattori resilienti di molti ragazzi adottati affinchè le reti naturali e
di reciprocità potessero essere prese in considerazione unitamente a quelle
professionali ed istituzionali, sia nel pre che nel post-adozione.
3. ‘Professionisti riflessivi’ e ‘famiglie competenti’
3. ‘Professionisti riflessivi’ e ‘famiglie competenti’
Per poter valorizzare l’apporto che
le reti di diversa natura e consistenza possono fornire al miglioramento della
vita sociale ed al consolidamento di percorsi di integrazione sociale, occorre
che gli interlocutori principali siano sensibilizzati e formati su questi temi.
Ciò vale, quindi, anche per i professionisti impegnati nello specifico settore
delle adozioni internazionali che si occupano delle famiglie adottive ed in
specifico dei bambini adottati. In genere, infatti, la crescita professionale
in nuovi aree parte da una fase pionieristica,
che si potrebbe definire caratterizzata da contesti ‘in statu nascendi’, che
danno vita a nuove professionalità o, più spesso, orientano professionalità già
esistenti verso specializzazioni ad hoc: pensiamo
ad alcune figure professionali impegnate negli Enti Autorizzati o anche nei
Servizi territoriali; si consolida entro una fase tecnicizzata, durante la quale vengono esplicitati i
principali modelli di riferimento e affinati gli strumenti maggiormente
adeguati al perseguimento degli obiettivi di lavoro, ricercando sinergie ed
economie di scala capaci di tenere insieme quantità e qualità dell’intervento;
in ultimo, è possibile -ma non scontato- un passaggio ad una fase riflessiva, di professionismo
riflessivo[12]. Gli approfondimenti sul
pensiero riflessivo favoriscono diversi e interessanti sviluppi. Dal
superamento della razionalità tecnica mediante la razionalità riflessiva alla
sottolineatura dell’importanza dell’abilità artistica (artistry) come valorizzazione delle competenze che consentono ai professionisti
di interagire in maniera proficua con le zone indeterminate della pratica;
dalla ‘riflessione nel corso dell’azione’ come dispositivo capace di attribuire
significati all’azione professionale in una comunità che opera su pratiche
condivise allo sviluppo di processi oltre che di condivisone, di negoziazione,
revisione e sistematizzazione che conferiscono valore di conoscenza
professionale a ciò che in precedenza
era mera pratica[13]. Uno di questi, particolarmente
centrato sugli apporti formativi e approfondito dall’autore in circa 20 anni di
progettazione e realizzazione di percorsi formativi nazionali[14] sia
come responsabile della Formazione nazionale per l’infanzia e l’adolescenza dal
1998 al 2003[15], sia in quanto
responsabile della formazione nazionale per le adozioni internazionali dal 2001
al 2016[16],
rappresenta di fatto il retroterra del presente contributo.
La costante ricerca di innovazioni
sul versante degli apporti professionali per la migliore qualità
dell’intervento ha portato a diversificare i possibili approfondimenti tenendo
sempre più presenti le dimensioni interdisciplinari, interprofessionali ed
inter-organizzative. Ma ugualmente si è cercato di tenere maggiormente
presenti, in particolare sul versante educativo, i confini fra intervento
‘professionale’ e intervento ‘naturale’. Tre concetti essenziali
dell’intervento educativo, tradotti in altrettanti gesti universali, sono
l’accoglienza (l’abbraccio), la cura (l’essere cullati) e la promozione
dell’autonomia (l’allontanare da sé)[17], e
proprio il riconoscere che questi gesti traducono tutto ciò che di buono può
essere richiesto ad una famiglia sufficientemente
buona, ma sono altresì alla base dell’intervento educativo professionale,
consente di ritrovare alcune radici di senso comuni fra i due ambiti.
La competenza delle famiglie
-utilizzata in questo caso come esemplificativa delle possibili competenze dei
molti soggetti non professionali- diventa così non solo una mera concessione
dei professionisti ma una ricerca costante ed anche una promozione di tutti
quei saperi relazionali detenuti dai non-professionisti che hanno un ruolo
determinante nella crescita, nel mantenimento e nel recupero di un benessere
psico-fisico del bambino.
Parlando in particolare di
adozioni internazionali dobbiamo essere consapevoli che per certi aspetti i
soggetti coinvolti, sia professionali che non professionali, tendono a
moltiplicarsi, e lo stesso accade per le attenzioni da prestare alle
specificità della condizione del minore, che rischia di essere straniero sia
nella Patria di origine che in quella di accoglienza. E’ per questo che tutta
la tematica delle reti -istituzionali, professionali e naturali- assume in
questo caso una ancor maggiore centralità.
E la specificità di questo
settore lo rende anche fra i più significativi per lo studio e
l’approfondimento della resilienza[18]. In
particolare uno dei due modelli di riferimento più diffusi in ambito
internazionale, di area francofona, individua proprio alle fondamenta della sua
costruzione della resilienza la rete delle relazioni informali: famiglia,
amici, vicini,…[19].
4. Per la valorizzazione delle reti istituzionali, professionali e naturali
4. Per la valorizzazione delle reti istituzionali, professionali e naturali
Le riflessioni conclusive
dell’attività seminariale sulla valorizzazione delle reti nelle adozioni
internazionali hanno fatto riferimento a tre scommesse che al termine dei
lavori sono sembrate sostanzialmente vinte.[20]
La prima riguarda l’articolazione
delle tre aree prevalenti nell’analisi delle reti. La scelta di dedicare le tre
giornate seminariali alle tre aree tematiche specifiche -Le istituzioni e le
organizzazioni, I professionisti e gli aspetti interdisciplinari, gli apporti
formali e informali-, che aveva fatto nascere qualche perplessità in fase
progettuale perché poteva mettere in secondo piano i possibili intrecci, ha
viceversa enfatizzato l’analisi delle diverse specificità consentendo
l’avvicinamento a cerchi concentrici al cuore del sistema adottivo costituito
dai protagonisti dell’adozione. Tale impostazione ha favorito la valorizzazione
delle reti di reciprocità che riconoscono a tutti gli attori in gioco,
istituzioni e professionisti compresi, il possesso di risorse ma anche la presenza
di punti deboli, che vanno messi in rete affinchè anche i professionisti
possano farsi ‘aiutare’ dalle persone a meglio aiutarle.[21] In
questo contesto gli aspetti interdisciplinari connessi ai diversi
professionisti sono stati volutamente introdotti da una figura professionale
centrale ma non frequente nel ‘sistema adozioni’, dove prevalgono generalmente
le figure psico-socio-giuridiche, quale il pediatra[22] ;
mentre gli apporti istituzionali e organizzativi, connessi alla complessità
delle tre giornate seminariali, sono stati sintetizzati da un punto di vista
sociologico con un ‘respiro’ da
relazione introduttiva.[23]
La seconda scommessa vinta ha a
che fare con la rivitalizzazione dell’area trasversale delle ‘riflessioni nel
corso dell’azione’, nella quale sono state messe in pratica le raccomandazioni cui
si è fatto già cenno in merito all’importanza del pensiero riflessivo per la
costruzione di quella che ormai da alcuni anni si va definendo come ‘comunità
-temporanea- di pratiche e di pensiero delle adozioni internazionali’. La
comparazione resa possibile dalla presentazione di ben quattro esperienze di
rete in altrettante Regioni fra le più significative nell’attuale panorama
nazionale[24], la sintesi di alcune
buone prassi da parte di Enti autorizzati su di un’area specifica e di grande
attualità come l’accesso alle informazioni e la ricerca delle origini[25] ed ancora
la sperimentazione di reti di famiglie e progetti innovativi a livello
territoriale e la promozione e valorizzazione delle reti tramite la
documentazione supportata a livello centrale[26],
hanno riempito di contenuti niente affatto scontati questa area attivata già da
alcuni anni.
Infine, la terza scommessa è
forse la più significativa perché riguarda un’intuizione progettuale mai
sperimentata in precedenza, e cioè l’introduzione di ‘riflessioni dai territori
di confine’. E’ noto infatti come in sessioni formative di alta
specializzazione abituate da anni al coinvolgimento dei relatori e delle
esperienze di eccellenza nel settore adozioni internazionali il rischio di
ripetersi sia sempre in agguato. Aver avuto la possibilità di coinvolgere tre
fra le più significative esperienze in territori che possono anche intrecciare
la presenza di protagonisti dell’adozione, ma non sono certamente ascrivibili
al settore adozioni, ha inteso rispondere alla necessità di rendere più fecondo
il pensiero dei diversi protagonisti interessando territori ‘laterali’,
impegnati in mission diversificate ma
convergenti verso uno sforzo partecipativo che introduce ossigeno in contesti
sottoposti al rigore della crisi.
La centratura sulla consulenza ed
il supporto fornito alle reti istituzionali nel caso della L. 285/1997[27] ha inteso
approfondire in particolare la metodologia di lavoro comune fondata sul metodo
del ‘coordinamento aperto’ creato nel quadro della politica dell’occupazione e
del processo di Lussemburgo per il raggiungimento di obiettivi comuni di
miglioramento, innovazione e convergenza nei risultati. Il protagonismo degli
operatori educativi e sociali nella costruzione delle reti di prossimità[28] ha
consentito di gettare uno sguardo su di una solida esperienza di raccordo e
incontro fra centinaia di operatori in diverse aree territoriali, sottolineando
la necessità di operatori ‘deponenti’, in ricerca e tesi ad apprendere dalle
situazioni, capaci di ‘stare sulla soglia’ pur partecipando, quando necessario,
alle reti primarie e di prossimità. E in ultimo, il ‘protagonismo dei
protagonisti’ nella valorizzazione delle reti[29], ha
permesso di avvicinare la recente creazione di reti che hanno per principali
protagonisti gli stessi ragazzi già ospiti delle comunità per minori,
approfondendo il tema del mutuo-aiuto e la rete fra gli ex-ospiti, la
partecipazione sociale e la cittadinanza attiva, il lavoro di rete con gli stakeholders.
Tre scommesse che ricompongono un
quadro molto ricco e variegato. Una sessione formativa che ha inteso -per riprendere
la citazione iniziale- “ricomporre in modo innovativo il produrre servizi con
il tutelare diritti”[30] e,
in presenza di una sovrabbondanza di risposte preconfezionate e manualistiche,
cercare di individuare le domande giuste. Fino alla prossima occasione, per
implementare un percorso che ha superato i 15 anni e che si auspica possa
raggiungere la maggiore età.
(In 'Minori Giustizia', n. 4/2016)
[1] Formatore e
psicosociologo, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, già
docente di Educazione degli adulti all’Università di Genova e Giudice Onorario
presso il Tribunale per i minorenni di Genova.
macario.g@gmail.com
L’articolo fa riferimento al primo seminario di
specializzazione sul tema della “Valorizzazione delle reti dal pre al
post-adozione” progettato e condotto dall’autore nel gennaio 2016 in qualità di
responsabile scientifico e formativo della formazione per le adozioni
internazionali. Il seminario formativo è stato realizzato dall’Istituto degli
Innocenti di Firenze per la Commissione per le Adozioni Internazionali.
[2] F. Olivetti Manoukian, Oltre la crisi, Guerini e Associati, Milano, 2015, p. 186.
[3] Nel 2008 l’iniziativa dal
titolo “I servizi per il post-adozione in Italia e in Europa” ha visto la
partecipazione di circa 250 operatori e delegazioni da Brasile, Etiopia,
Federazione Russa e Ucraina. Nel 2010 la successiva iniziativa dal titolo
“Resilienza ed approccio autobiografico nelle adozioni internazionali” ha avuto
250 partecipanti e anche in questo caso delegazioni da Bolivia, Colombia e
Federazione Russa, oltre a Francia e Spagna. Nel 2011, infine, l’iniziativa dal
titolo “Diventare genitori adottivi sufficientemente
buoni”, ha coinvolto 220 partecipanti e delegazioni da Burkina Faso,
Colombia, Federazione Russa, Vietnam e invitati dalla Repubblica di San Marino,
dall’International Social Service e dal Permanent Bureau-HccH.
[4] Cfr. TREELLE, Il lifelong learning e l’educazione degli
adulti in Italia e in Europa. Dati,
confronti e proposte, Quaderno n. 9, Genova, dicembre 2010. Per una analisi
di fonte istituzionale, cfr. il documento del Ministro per la Coesione
Territoriale rintracciabile all’indirizzo: http://www.agenziacoesione.gov.it/it/politiche_e_attivita/programmazione_2014-2020/index.html
[5] Cfr. E. Wenger, Comunità di pratica e sistemi sociali di apprendimento, in Studi Organizzativi, n. 1/2000, pp. 11-34, e
E. Wenger, Comunità
di pratica. Apprendimento, significato, identità, Cortina, Milano 2006.
[6] Secondo la tecnica
importata dagli Stati Uniti e denominata ‘Birds of Feather’. Cfr. ‘Percorsi
formativi nazionali per le adozioni internazionali – Anno 2015’, Commissione
per le Adozioni Internazionali – Istituto degli Innocenti di Firenze, documento
di progetto (Materiali per i Seminari del dicembre 2015 e del gennaio 2016).
[7] Cfr.
nota 16. Tutti i testi citati nella nota sono scaricabili gratuitamente
all’indirizzo: http://www.commissioneadozioni.it/it/bibliografia/studi-e-ricerche.aspx
[8] Firenze, Residence
Ricasoli, 26/28 gennaio 2016.
[9] L’Italia è attualmente il
2° Paese al Mondo per numero di adozioni e la diminuzione pur consistente delle
autorizzazioni all’ingresso concesse dalla CAI (dalla punta massima di 4.130
del 2010 siamo passati ai 2.216 del 2015, con una discesa del 47% circa) appare
molto ridimensionata rispetto ai crolli dei principali Paesi di accoglienza
come gli Stati Uniti d’America (passati da 22.884 adozioni nel 2004 a 7.094 nel
2013), la Spagna (passata da 5.541 adozioni realizzate nel 2004 a 1.191 nel
2013) o la Francia (che passa da 4.079 adozioni sempre nel 2004 a 1.343 nel
2013). Per i dati nazionali, la fonte è la CAI; per i dati internazionali la
fonte è Peter Sellman, Newcastle University, UK, dall’intervento “The
Decline of Intercountry Adoption in Europe 2004-2014” presentato al
Seminario Nazionale di Firenze su ‘Gli Enti autorizzati e le adozioni
internazionali’ del 9/11 febbraio 2016.
[10] Per citare gli apporti in italiano fra i più utilizzati, si
vedano i lavori di approfondimento sulla Network
Analysis di Paola Di Nicola con la nuova edizione aggiornata del volume La rete: metafora dell’appartenenza. Analisi
strutturale e paradigma di rete, Franco Angeli, Milano 2015; lo storico
lavoro di Pierpalo Donati e Fabio Fogheraiter, Community care. Teoria e pratica del lavoro sociale di rete, Edizioni
Erickson, Trento 1991; ed infine sempre di Fabio Folgheraiter, il volume del
1998, giunto alla decima ristampa nel 2016, Teoria
e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, Franco Angeli,
Milano 2016.
[12] Cfr. i testi base di D. A.
Schon, The reflexive practicioner,
Basic Books, New York 1983 (tr. It.: Il
professionista riflessivo, Dedalo Edizioni, Bari 1993) e Educative the reflective practicioner, Jossey
Bass, San Francisco 1987 (tr. It.: Formare
il professionista riflessivo, Franco Angeli, Milano 2006).
[13] M. Striano, presentazione
all’edizione italiana di D.A. Schon, 2006, op. cit., pp. 12-13
[14] G. Macario, L’arte di formarsi, Unicopli, Milano
2008
[15] Cfr. G. Macario (a cura
di), Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, Quaderni n. 15/2000, n. 20/2002 e 35/2005, Istituto degli
Innocenti, Firenze.
[16] Cfr. G. Macario,
Commissione per le adozioni internazionali, Collana Studi e Ricerche, Volumi n.
1/2003, 4/2005, 7/2008, 10/2010, 15/2011, 17/2012, 18/2012, 20/2013, Istituto
degli Innocenti, Firenze.
[17] F. Scaparro e M. Bernardi, cit. in G. Macario
(a cura di), Dall’istituto alla casa,
Carocci, Roma 2008, pp. 23-24.
[18] Cfr., del maggiore
esperto di resilienza a livello internazionale, B. Cyrulnik, Autobiografia di uno spaventapasseri,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, pagg. 184-208.
[19] Il modello è denominato
‘La casita’, ‘piccola casa’, ed è finalizzato a rappresentare “una risposta
pragmatica al bisogno di vari professionisti -educatori, psicologi, pediatri,
assistenti sociali- di comprendere e declinare a livello pratico le conoscenze
scientifiche nell’ambito dell’esperienza professionale”. L. Pandolfi, Costruire resilienza, A. Guerini e
associati, Milano 2015, pag. 38.
[20] Le conclusioni sono state
tenute dall’autore in qualità di responsabile scientifico e formativo.
[21] La sistematizzazione del
tema era assegnata alla prof.ssa Maria Luisa Raineri con l’intervento ‘Reti di
reciprocità nei percorsi adottivi: cosa sono e come promuoverle.’
[22] Il Medico pediatra
Giorgio Zavarise ha introdotto il tema parlando di ‘Adozioni internazionali e
salute del bambino adottato: la rete in ambito professionale’.
[23] La relazione di apertura
dei lavori, sul tema ‘Relazioni di cura formali e informali nelle adozioni
internazionali. Ruolo delle Istituzioni e del settore no-profit’ è stata tenuta
dalla Prof.ssa Paola di Nicola.
[24] Le Regioni coinvolte sono
state la Regione Lazio, la Regione Piemonte, la Regione Emilia Romagna e la
Regione Veneto.
[25] ARAI e CIAI i due Enti
coinvolti.
[26] Il Progetto A.A.A. nel
primo caso, portato dal nucleo Adozioni e Affido della AUSL di Bologna, e il
Servizio di Documentazione dell’Istituto degli Innocenti nel secondo
riferimento.
[27] Contributo nella prima
giornata portato dalla dott.ssa Donata Bianchi dell’Istituto degli Innocenti,
responsabile del Servizio Ricerca e Monitoraggio.
[28] Intervento nella seconda
giornata svolto da Franco Floris, direttore della rivista Animazione Sociale.
[29] Intervento nella terza
giornata, a cura di Federico Zullo, Presidente dell’Associazione Agevolando.
[30] F. Olivetti Manoukian,
2015, op. cit., p. 31.
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