INVECCHIANO SOLO GLI ALTRI
Un gran numero di 'Vecchi' presentano ed ascoltano l'ultimo lavoro di Aime e Borzani
di Giorgio Macario
Genova, 27 settembre 2017,
h. 17.30, alla Camera di Commercio viene presentata l'ultima pubblicazione
dell'antropologo e docente universitario Marco Aime e del già Presidente della
Fondazione Palazzo Ducale Luca Borzani.
Modera l'incontro Maurizio
Caviglia, Segretario Generale della Camera di Commercio di Genova ed
intervengono Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, già Direttore
della Normale di Pisa, insieme a Vittorio Coletti, linguista, Accademico della
Crusca e già docente universitario.
Partiamo dalla coda - Aime è
infatti intervenuto in chiusura- ed in particolare da un vero e proprio outing di Marco
Aime, che all'inizio del suo intervento rivela che il lodatissimo titolo
del volume (Invecchiano solo gli altri) è da attribuirsi all'efficace
capacità di sintesi del solo Borzani.
Diversi e molto interessanti
gli spunti proposti dalla sua ottica visuale di antropologo. In Africa, quando
nelle socializzazioni serali con la stessa gente del posto, che durante il
giorno investigava con le sue domande da giovane ricercatore, gli è
capitato di vedere una delle persone alzarsi indignata e allontanarsi dicendo
"E voi vorreste portarci la civiltà?!?", avendo appena appreso la
fine che fanno gli anziani in occidente, relegati negli istituti. Ed ancora, a
dimostrare quanto la vecchiaia possa essere considerata un valore piuttosto che
un dis-valore, in un colloquio fra un africano ed una occidentale, il primo
parlando di una terza persona dice che ha 65 anni; l'occidentale osserva:
"Ancora giovane!"; e l'africano, piccato: "E' vecchio,
invece", e rincarando la dose: "Anzi, molto vecchio!". Alcune
osservazioni successive hanno poi riguardato il confronto intergenerazionale,
in particolare il fatto che la generazione del '68 che voleva rompere con i
padri, oggi sembra rompere con i figli (potremmo dire che siamo passati dalla
'Baby Boom generation' alla 'Old Boom Generation', n.p.) e che assistiamo ad
una attenuazione, se non ad una completa sparizione, dei riti di passaggio.
Subito prima ha preso la
parola Luca Borzani, che, rinforzando i dati numerici già citati da
altri in precedenza, ha sottolineato come solo nel 2050 il Mondo raggiungerà la
situazione demografica già presente oggi a Genova,
con il 22% della popolazione costituita da over 65, sintetizzando poi le
quattro motivazioni che hanno portato lui ed Aime alla stesura di questo testo.
Queste spaziano dal fatto che l'attuale rivoluzione demografica (che vede
scomparire i giovani, oltre ad aumentare a dismisura la popolazione anziana)
sia completamente rimossa, all'assenza di un buon rapporto con l'immagine della
vecchiaia oggi (ci si sente giovani, ognuno a modo suo, e la vecchiaia -brutta
cosa- è di fatto associata alla malattia; l'esempio della spesa di 11 miliardi
di euro per l'alzheimer che al 70% vengono sostenuti dalle famiglie che in tal
modo si impoveriscono sempre più appare emblematico); dalla immagine
sociale della gioventù anch’essa’saltata’ (adolescenza sempre più prolungata e
difficoltà ad entrare nel mondo produttivo) ai mutamenti dei rapporti
intergenerazionali, con tutti anziani alle leve di comando ed emergere di una
nuova ‘nonnitudine’ per figure che di fatto prima facevano tutt’altro.
Restituita la dovuta centralità agli
autori del saggio con questa inversione temporale, Vittorio Coletti ha di fatto aperto l’incontro sottolinendo come il
volume contenga una serie consistente di dati molto interessanti, a partire da
quello demografico relativo a 31,4 ‘anziani’ sopra i 65 anni contro cento ‘giovani’
sotto i 15 anni nel 1950, passato nell’Italia del 2015 a 153 anziani contro 100
giovani, e già oggi a Genova salito a 250 su 100.
“I vecchi non cedono il passo ai giovani,
ed al contempo la malattia e la non autosufficienza viene un po’ celata”
afferma Coletti, osservando ancora che uno dei dati che più lo ha colpito è
relativo alla presenza oggi in Italia di 1.600.000 badanti (che più tardi
Borzani, da ‘vecchio operaista’, associerà all’ormai quasi residuale numero di
metalmeccanici sceso a poco più di 1.000.000).
Salvatore
Settis ha quindi
proseguito lungo il solco introduttivo, tessendo le lodi del volume, che pur
essendo basato su dati -anzi, molti dati- è strutturato come un racconto con articolazioni
sia antropologiche che sociologiche. Sviluppando considerazioni sulla non
coincidenza fra età cronologica ed età sociale, ha quindi citato l’usanza,
riferita ad un passo di Cicerone se ben ricordo, di gettare da un ponte chi
aveva passato i 60 anni.
Evocando poi uno scenario di
invecchiamento senza fine, che potrebbe portarci ad avere in futuro ben più di
un solo Papa emerito, visto che
nessuno muore più, Settis ha sottoineato quante cose importanti possono essere
fatte prima dei 60 anni, visto che Dante è morto a 56 anni e Napoleone
addirittura a 51!
Richiamando anche l’importanza che
dovrebbe essere assegnata al considerare gli anziani come risorsa, ma non tanto
per farli permanere sul posto di lavoro sine
die -negando di fatto spazio ai giovani-, quanto per valorizzare le loro
conoscenza e riscoprire l’etica del dono (citata a pag. 109 del volume), auspicando
che giunti ad una certa età ci si possa dedicare a dare gratuitamente il proprio
apporto.
Il presentismo, citato come un presente
che appena consumato si autocancella, elimina di fatto il passato ed il futuro,
ma sono proprio il passato ed il futuro -dice Settis, richiamando alla mia
mente per analogia un celebre passo dalle Confessioni
di Sant’Agostino- ad essere necessari per lo sguardo lungimirante necessario
alla democrazia. Da qui l’appello ad una solidarietà intergenerazionale, che
Settis riporta alle ‘trame di comunità’ citate nel volume, chiedendosi perchè
mai le migliaia di iniziative dal basso che fioriscono in tantissimi settori
non facciano adeguatamente rete. E concludendo con un significativo episodio
autobiografico intergenerazionale, quando a Scilla, da bambino, ha potuto
avvicinarsi alla figura di Garibaldi,
perchè una signora di 90 anni gli aveva raccontato di aver toccato Garibaldi al
suo passaggio. Una semplice ma egregia sottolineatura di quanto le esperienze
vissute, i ricordi e le narrazioni possano dare significato anche al nostro
invecchiare, e non solo a quello degli altri.
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