giovedì 28 settembre 2017

INVECCHIANO SOLO GLI ALTRI - Un contributo sul tema di Marco AIME e Luca BORZANI

INVECCHIANO SOLO GLI ALTRI
Un gran numero di 'Vecchi' presentano ed ascoltano l'ultimo lavoro di Aime e Borzani


                                        di Giorgio Macario

Genova, 27 settembre 2017, h. 17.30, alla Camera di Commercio viene presentata l'ultima pubblicazione dell'antropologo e docente universitario Marco Aime e del già Presidente della Fondazione Palazzo Ducale Luca Borzani.
Modera l'incontro Maurizio Caviglia, Segretario Generale della Camera di Commercio di Genova ed intervengono Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, già Direttore della Normale di Pisa, insieme a Vittorio Coletti, linguista, Accademico della Crusca e già docente universitario.



Partiamo dalla coda - Aime è infatti intervenuto in chiusura- ed in particolare da un vero e proprio outing di Marco Aime, che all'inizio del suo intervento rivela che il lodatissimo titolo del volume (Invecchiano solo gli altri) è da attribuirsi all'efficace capacità di sintesi del solo Borzani.
Diversi e molto interessanti gli spunti proposti dalla sua ottica visuale di antropologo. In Africa, quando nelle socializzazioni serali con la stessa gente del posto, che durante il giorno investigava con le sue domande da giovane ricercatore,  gli è capitato di vedere una delle persone alzarsi indignata e allontanarsi dicendo "E voi vorreste portarci la civiltà?!?", avendo appena appreso la fine che fanno gli anziani in occidente, relegati negli istituti. Ed ancora, a dimostrare quanto la vecchiaia possa essere considerata un valore piuttosto che un dis-valore, in un colloquio fra un africano ed una occidentale, il primo parlando di una terza persona dice che ha 65 anni; l'occidentale osserva: "Ancora giovane!"; e l'africano, piccato: "E' vecchio, invece", e rincarando la dose: "Anzi, molto vecchio!". Alcune osservazioni successive hanno poi riguardato il confronto intergenerazionale, in particolare il fatto che la generazione del '68 che voleva rompere con i padri, oggi sembra rompere con i figli (potremmo dire che siamo passati dalla 'Baby Boom generation' alla 'Old Boom Generation', n.p.) e che assistiamo ad una attenuazione, se non ad una completa sparizione, dei riti di passaggio.


Subito prima ha preso la parola Luca Borzani, che, rinforzando i dati numerici già citati da altri in precedenza, ha sottolineato come solo nel 2050 il Mondo raggiungerà la situazione demografica già presente oggi a Genova, con il 22% della popolazione costituita da over 65, sintetizzando poi le quattro motivazioni che hanno portato lui ed Aime alla stesura di questo testo. Queste spaziano dal fatto che l'attuale rivoluzione demografica (che vede scomparire i giovani, oltre ad aumentare a dismisura la popolazione anziana) sia completamente rimossa, all'assenza di un buon rapporto con l'immagine della vecchiaia oggi (ci si sente giovani, ognuno a modo suo, e la vecchiaia -brutta cosa- è di fatto associata alla malattia; l'esempio della spesa di 11 miliardi di euro per l'alzheimer che al 70% vengono sostenuti dalle famiglie che in tal modo si impoveriscono sempre più appare emblematico); dalla immagine sociale della gioventù anch’essa’saltata’ (adolescenza sempre più prolungata e difficoltà ad entrare nel mondo produttivo) ai mutamenti dei rapporti intergenerazionali, con tutti anziani alle leve di comando ed emergere di una nuova ‘nonnitudine’ per figure che di fatto prima facevano tutt’altro.


Restituita la dovuta centralità agli autori del saggio con questa inversione temporale, Vittorio Coletti ha di fatto aperto l’incontro sottolinendo come il volume contenga una serie consistente di dati molto interessanti, a partire da quello demografico relativo a 31,4 ‘anziani’ sopra i 65 anni contro cento ‘giovani’ sotto i 15 anni nel 1950, passato nell’Italia del 2015 a 153 anziani contro 100 giovani, e già oggi a Genova salito a 250 su 100.
“I vecchi non cedono il passo ai giovani, ed al contempo la malattia e la non autosufficienza viene un po’ celata” afferma Coletti, osservando ancora che uno dei dati che più lo ha colpito è relativo alla presenza oggi in Italia di 1.600.000 badanti (che più tardi Borzani, da ‘vecchio operaista’, associerà all’ormai quasi residuale numero di metalmeccanici sceso a poco più di 1.000.000).


Salvatore Settis ha quindi proseguito lungo il solco introduttivo, tessendo le lodi del volume, che pur essendo basato su dati -anzi, molti dati- è strutturato come un racconto con articolazioni sia antropologiche che sociologiche. Sviluppando considerazioni sulla non coincidenza fra età cronologica ed età sociale, ha quindi citato l’usanza, riferita ad un passo di Cicerone se ben ricordo, di gettare da un ponte chi aveva passato i 60 anni.
Evocando poi uno scenario di invecchiamento senza fine, che potrebbe portarci ad avere in futuro ben più di un solo Papa emerito, visto che nessuno muore più, Settis ha sottoineato quante cose importanti possono essere fatte prima dei 60 anni, visto che Dante è morto a 56 anni e Napoleone addirittura a 51!
Richiamando anche l’importanza che dovrebbe essere assegnata al considerare gli anziani come risorsa, ma non tanto per farli permanere sul posto di lavoro sine die -negando di fatto spazio ai giovani-, quanto per valorizzare le loro conoscenza e riscoprire l’etica del dono (citata a pag. 109 del volume), auspicando che giunti ad una certa età ci si possa dedicare a dare gratuitamente il proprio apporto.
Il presentismo, citato come un presente che appena consumato si autocancella, elimina di fatto il passato ed il futuro, ma sono proprio il passato ed il futuro -dice Settis, richiamando alla mia mente per analogia un celebre passo dalle Confessioni di Sant’Agostino- ad essere necessari per lo sguardo lungimirante necessario alla democrazia. Da qui l’appello ad una solidarietà intergenerazionale, che Settis riporta alle ‘trame di comunità’ citate nel volume, chiedendosi perchè mai le migliaia di iniziative dal basso che fioriscono in tantissimi settori non facciano adeguatamente rete. E concludendo con un significativo episodio autobiografico intergenerazionale, quando a Scilla, da bambino, ha potuto avvicinarsi alla figura di Garibaldi, perchè una signora di 90 anni gli aveva raccontato di aver toccato Garibaldi al suo passaggio. Una semplice ma egregia sottolineatura di quanto le esperienze vissute, i ricordi e le narrazioni possano dare significato anche al nostro invecchiare, e non solo a quello degli altri.

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