FIGLIE E FIGLI
Isacco e il figliol prodigo
Appunti e osservazioni da una conferenza di Massimo Recalcati
Genova, Palazzo Ducale - 12 aprile 2017.
L'argomento è intrigante e la stima per il relatore indubbia. Sarà per questo che ho appuntato l'orario dell'incontro sulla mia agenda miniaturizzata denominata, non casualmente, Quo Vadis.
Se, però, non avessi deciso di consultarla nel primo pomeriggio di mercoledì, oggi non sarei qui a scrivere, per me e per voi, questo breve resoconto ragionato.
Con la sala quasi del tutto saturata da una varia umanità, dopo un'immancabile quarto d'ora accademico d'attesa, il 'nostro' avvia il suo intervento perorando la causa di una analoga folta presenza per i prossimi conferenzieri che, ad una settimana di distanza uno dall'altro, completeranno questa maratona dedicata, appunto, a 'figlie e figli' (per la cronaca: Aldo Becce, 19 aprile, 'Famiglie senza legge'; Marco Aime, 26 aprile, Sono scomparsi i riti di passaggio?'; Silvia Lippi, 3 maggio, Icaro e il padre').
Intanto l'avvio effettivo, non banale: Isacco, figlio di una schiava sterile, Sara, e di Abramo, fa riferimento al Vecchio Testamento; il figliol prodigo -ma Recalcati, fin da subito, sposa l'interpretazione autentica di Papa Francesco che lo indica più appropriatamente come il 'figlio ritrovato'- è una parabola del Nuovo Testamento, tratta più precisamente dal Vangelo di Luca (15, 11-32). In questo modo, consentendo a ciascuno di rispolverare e riaggregare le proprie rimembranze in tema, generalmente giovanili, si assicura una indiscussa 'captatio benevolentiae'.
Isacco è frutto della parola di Dio che feconda Sara: è l'evento della parola, simbolico -ci dice Recalcati- che è sempre parte della generatività. E, naturalmente, il figlio impossibile diventerà il figlio più amato, cioè il più legato ai genitori e dal quale sarà più difficile separarsi. Per questo, paradossalmente, sarà proprio la vita di Isacco che Dio chiederà ad Abramo di sacrificare per dimostrare la sua fede. Abramo, e qui Recalcati richiama come fonte 'Timore e tremore' di Soren Kierkegaard, seguirà la 'Legge etica' che impone la cura del figlio? O seguirà invece la 'Legge di Dio', che richiede un sacrificio per dimostrare la propria fede? La lettura psicoanalitica che viene proposta rintraccia nella richiesta di Dio una prova sadica e individua nel coltello sacrificale uno strumento atto a tagliare il cordone ombelicale per separare il figlio dal genitore.
In tal modo la richiesta divina viene tradotta in una domanda più umanamente sopportabile: "Sei disposto a sacrificare la proprietà di tuo figlio?" E' questa, in fondo, la prova più alta che attende tutti i genitori.
In questa lettura -prosegue Recalcati- l'ariete, il montone che viene poi sacrificato al posto di Isacco rappresenta il simbolo della proprietà paterna: ed è questa a morire al posto del figlio, mentre il coltello assume la veste della giusta maternità.
In tal modo da ECCOMI, risposta di Abramo a Dio, ma anche contrasto all'angoscia del figlio inerme al quale il padre assicura: "non sei solo!" si passa a VAI, ad un lasciar andare come passaporto per consentire la rinascita alla vita.
E' a questo punto che non ho potuto fare a meno di ritrovare in queste parole una parziale convergenza con i tre concetti base della funzione educativa, e quindi genitoriale: accogliere, curare e promuovere l'autonomia. L'ECCOMI è infatti associato ai primi due, e va dall'accoglienza alla cura, mentre il VAI si associa direttamente alla promozione dell'autonomia. Concetti semplici, ma che rappresentano anche la traduzione universale di una -se non l'unica- delle principali finalità per cui siamo presenti su questa terra.
E veniamo al figliol prodigo, o meglio al figlio ritrovato. E' lui il primo che parla nella parabola e dice: "Dammi la parte del patrimonio che mi spetta!". La domanda -sottolinea Recalcati- è imperativa! Non c'è spazio per la gratitudine (e chi volesse approfondire questo aspetto non potrebbe fare a meno di dare un'occhiata all'ultimo lavoro di Duccio Demetrio sull'ingratitudine). Anche in questo caso le parole chiave sono dicotomizzate: DEVI! detto dal genitore al figlio; DAMMI! detto dal figlio al genitore. Sappiamo che ai tempi per la legge ebraica la divisione dell'eredità con il padre ancora in vita poteva essere punita anche con la lapidazione, ma il padre, in questo caso, non usa la legge in senso giuridico, applica invece la legge dell'amore ed è come se dicesse al figlio: "VAI".
La presenza del genitore, infatti, sappiamo che permette al figlio di contenere l'angoscia, ma questo accade fino all'adolescenza, quando è lo stesso genitore a causare l'angoscia. Ed il 'padre saggio', che non è attaccato al suo potere, sa che il suo destino è quello di essere 'oltre-passato' dal figlio.
Il figliol prodigo parte con la sua fetta di eredità, compie il suo viaggio in un Paese lontano come esperienza della vita, e naturalmente, dato che non tutte le ciambelle vengono con il buco, gliene capitano di tutti i colori: distrugge l'eredità, affronta la carestia e finisce a contendere le carrube ai porci. Affrontando l'esperienza del rischio insita nel viaggio, può vivere l'esperienza dello smarrimento e dell'errore per poter ambire a diventare effettivamente figlio e, quindi, a sua volta padre. Mostra il peggio di sè -dice Recalcati citando il suo maestro Lacan- per vedere dove può giungere l'amore del padre, ma fra sé e sé è certo che il padre lo punirà: forse avrà anche compassione di lui, ma certamente lo punirà. Ed invece il padre gli corre incontro (si muove verso di lui), lo abbraccia e lo bacia; il padre, prosegue il relatore, fa un gesto sovversivo, un gesto di apertura che sospende la legge-legge e sovverte le aspettative introducendo la 'legge del perdono'. Il figlio era 'morto' ed ora è ancora 'vivo', ed è proprio il perdono del padre che lo consente poiché -conclude Recalcati- sono i figli che hanno un conflitto con i genitori, non sono i genitori ad avere un conflitto con i figli. Perlomeno, mi sento di aggiungere, questo è sicuramente vero per tutti quei genitori che ambiscono ad essere 'sufficientemente buoni'.
Anche il mio sguardo si rivolge al quadrante dell'orologio: è trascorsa esattamente un'ora e c'è un treno che aspetta il nostro conferenziere; mi guardo intorno e fra le centinaia di presenti credo che (quasi) nessuno si sogni di rimpiangere la stanca liturgia del finto dibattito che, in genere, assicura una micro-visibilità ad un paio di neo-esibizionisti della parola. Ciascuno è stato in rapporto diretto con le parole del relatore, e di ciò è grato. Ho preso, naturalmente, diversi appunti, senza i quali questa sintesi non sarebbe neppure pensabile e sono proprio soddisfatto di aver dato un'occhiata all'agenda nel primo pomeriggio. Ho impiegato bene questo tempo relativamente breve e penso che il relatore abbia ampiamente centrato il suo obiettivo: i prossimi mercoledì, impegni permettendo, cercherò di esserci.
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