LA SPERANZA NON E' IN VENDITA (Don Luigi Ciotti)
La
vicinanza a Don Gallo e, ultimamente, ai suoi scritti, mi ha abituato a non
considerare separabili dalla sua storia di vita le vite pulsanti della Comunità
di San Benedetto al Porto, che ha fondato più di quarant’anni fa.
Se
questo è vero per Don Andrea Gallo, credo lo sia ancor di più per Don Luigi
Ciotti nei confronti del Gruppo Abele, che raggiungerà proprio l’anno prossimo
i cinquant’anni di vita, e che, come in una gemmazione infinita ha dato vita ad
un numero impressionante di iniziative che mobilitano persone e coscienze,
creando sigle, organizzazioni e raggruppamenti che spaziano in quasi tutti i
campi dell’impegno sociale. Basterebbe citare Animazione Sociale, le Edizioni
Gruppo Abele, Narcomafie, l’Università della Strada, Certosa 1515, ma anche le
‘organizzazioni di organizzazioni’ come Libera –Associazioni, nomi e numeri
contro le mafie e il C.N.C.A., per avere solo un quadro parziale della galassia
di iniziative animate o ispirate direttamente da Ciotti.
Ma è
sufficiente ascoltare alcune parole da una recente intervista per comprendere
quanto sia radicato il suo invito a credere nel “noi”: “Le cose più belle e più
importanti nella vita si fanno con gli altri. Sono gli altri il nostro vero
punto di riferimento, cominciando dalle persone più vicine: genitori, amici,
insegnanti. E poi ci sono quelli che ancora non conosciamo, che magari ci
sembrano ‘diversi’.”
Credo
sia per questo che il suo contributo forse più vicino ad una autobiografia, “La
speranza non è in vendita” scritto nel 2011, possa essere visto come un inno
all’impegno scandito da tre parole: corresponsabilità,
per vivere in modo generoso il proprio ruolo di cittadini; continuità, per trasformare l’indignazionione passeggera in
sentimento stabile che nutre e si lascia nutrire dall’azione; condivisione, nella certezza che da soli
non andiamo da nessuna parte. D’altronde già l’incipit del volume lascia pochi
dubbi sulla direzione di impegno a tutto campo che Don Ciotti intende imprimere
ai suoi pensieri: “Finchè c’è vita c’è speranza.” Ma, dice subito dopo, “Non
c’è speranza, senza speranza di giustizia.” Ed è sempre la ‘speranza’ coniugata
alla costante tensione verso una dimensione collettiva ad animare il decimo ed
ultimo capitolo del volume. “Speranza è
cominciare ad accorgersi degli altri,
prendere coscienza che il mondo e la vita sono realtà plurali.” Ed ancora: “Oggi per costruire la speranza non basta
riprendere in mano quei documenti (le Costituzioni moderne, la Dichiarazione
universale dei diritti umani, le Carte dei diritti): bisogna rigenerare il
terreno da cui sono nati, sapendo che, abbandonato com’è, darà frutti solo se
sapremo coltivarlo a maggior profondità, trasformando lo sperare negli altri e
con gli altri in un più coraggioso e fecondo sperare per gli altri.”
Il
sentiero che si snoda poi lungo tutto il testo, agile e intenso ad un tempo, assume
le vesti di una sorta di decalogo dell’impegno personale e sociale. Parte dalla
denuncia delle immense disuguaglianze esistenti che creano marginalità e
dipendenze vecchie e nuove, per poi gettare uno sguardo attento sui ‘migranti’
come nuovo paradigma dell’accoglienza. Dice Ciotti: “Porto un esempio. Genova,
15 marzo 2002. Nel campo nomadi, c’era un bambino di 15 anni che frequentava,
con passione e intelligenza, anche se in ritardo, la scuola media del quartiere
del campo nomadi. (…) La baracca ha
preso fuoco e lui è morto carbonizzato. (…) Lui, nel tema, aveva scritto che il
suo sogno era diventare cittadino italiano.”
Ma
sono innumerevoli i passaggi che meriterebbero di essere citati, tanto che si
potrebbe suggerire l’adozione del volume di Ciotti come testo base di
educazione civica e di ‘educazione alla legalità’. Solidarietà e diritti,
Democrazia, Costituzione, Mafie, Chiese che ‘interferiscono’, Legalità, Educazione e responsabilità, i passaggi ulteriori che più che completare un
cammino, aprono la mente a nuove complessità.
Ed è
sul tema delle Mafie che trovo le parole giuste da porre a conclusione di
questa breve disamina di un grande contributo al cambiamento che assume le
inconsuete forme di una declinazione etica della soggettività.
“Presenti
da più di un secolo, le mafie hanno trovato inedite sponde nella ‘società
dell’io’ e del narcisismo, nel suo diffuso analfabetismo
etico. Solo costruendo una ‘società del noi’ (…) possiamo sperare davvero
di voltare pagina. (G.M.)
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