TUTTO SOMMATO. Qualcosa mi ricordo
“Un’autobiografia?
Io? Tutt’al più quattro chiacchiere sul passato, sperando che a qualcuno
interessi. Riordinare l’album dei ricordi è un lavoraccio infame.” E più oltre:
“No, un’autobiografia proprio no.”
Questo
l’incipit che Gigi Proietti ha scelto per il prologo della sua storia di vita.
Chissà
come avrà reagito quando gli hanno comunicato che la sua ‘autobiografia non
autobiografica’ ha vinto il Premio Città dell’Autobiografia 2014!
Certo
si capisce subito, già dalla conclusione del prologo, che ‘la classe non è
acqua’, e l’ironia, il garbo, e la simpatia universalmente riconosciute al
personaggio pubblico si respirano per tutto il testo; la cui stesura non deve
essere stata proprio una passeggiata, se è vero che “Raccontarsi…è
difficilissimo. Richiede una buona dose di onestà e un grande sforzo di
memoria”; ed anche se “so già che trascurerò molti dettagli, alcuni per
riserbo, altri perché li ho persi per strada”, “…le cose davvero importanti non
le ho mai dimenticate. Tutto sommato, qualcosa mi ricordo.”
Papà
Romano cameriere-portinaio-tuttofare e mamma Giovanna casalinga proveniente da
una famiglia di pastori (“Potrei dire di pecorari, ma pastore suona più nobile,
sa di Arcadia.”), la sorella maggiore Annamaria e il nonno materno Antonio,
pastore e poeta, aprono la descrizione dell’universo familiare dove Gigi
Proietti viene alla luce il 2 novembre (“ahimè”, dice lui) del 1940.
Da
questo momento in avanti, è tutto un susseguirsi di ricordi che legano la sua
figura al palcoscenico: a due anni recita in pubblico nella chiesetta del paese
“una poesiola sul bambinello”; a sei anni nell’immediato dopo guerra,
sgomberati da una casa pericolante con tutti i mobili ed i vestiti per strada,
ha per la prima volta l’impressione di cosa possa essere una scenografia
teatrale; pochi anni più tardi, da chierichetto come tanti altri figli della
sinistra, nel maldestro tentativo di spegnere un inizio di incendio provocato
da un candelabro sull’altare, rimediò il suo primo grande successo comico
tentando di soffiare e sparando invece una specie di pernacchia in direzione
del Tabernacolo.
Ma è
al Liceo Augusto che con la fondazione del primo complesso musicale, i
Viscounts, ed il successivo debutto con un vero e proprio ingaggio al Gran
Caffè Professionisti per un Veglione di Capodanno, che Luigi Proietti
(“cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna”, recitava la locandina che
l’autore ancora conserva come più antico reperto della propria carriera) iniziò
ad esibirsi in tutti i night di Roma. Ed ancora, iscritto a giurisprudenza,
sarà l’adesione al Centro Universitario Teatrale, fatta per curiosità più che
per un vero e proprio interesse, a rappresentare una vera e propria svolta.
Scorrono
via, così, le prime 80 pagine.
Le successive
160 rappresentano una continua scoperta di episodi, riflessioni, racconti ed
incontri che accompagnano un successo crescente che per brevità condenserei in
tre passaggi artistici cruciali: la sostituzione di Domenico Modugno nello
spettacolo “Alleluja, brava gente”; la produzione ed il continuo perfezionamento
dello spettacolo “A me gli occhi, please” ed infine le cinque stagioni della
serie “Il maresciallo Rocca”.
A
scorrere le centinaia di situazioni da lui vissute e citate si capisce perché gli
amici lo chiamino “Gigi Progetti”. E proprio uno di questi progetti, proiettato
nel futuro, credo possa far comprendere quanto l’essere un po’ restio ad usare
il termine ‘autobiografia’ sia profondamente connesso ad una sensibilità biografica
ed una particolare attenzione alla qualità della vita degli altri. Dice
Proietti: “Vorrei fare ancora tanti spettacoli. Ne ho in mente uno intitolato
‘Cartoni animati’, incentrato sui barboni, le persone che vivono per strada,
perché dentro a quegli involti, quei cartonacci, c’è gente che dorme e che,
forse, ancora sogna, ci sono dentro la poesia e il dramma della vita.” Una scrittura
di sé di ‘normale straordinarietà’ che merita ampiamente il premio che ha
ricevuto. (GM)
Nessun commento:
Posta un commento