Dopo aver rivisto il vecchio film di Verdone "Maledetto il giorno che ti ho incontrato" (1992), mi sono riguardato il suo libro autobiografico "La casa sopra i portici" (2012) che conferma la sua passione per Jimi Hendrix. E sono sempre più convinto che Carlo Verdone sia bravo, molto bravo.
Non a tutti è consentito abitare una casa lunga una vita, o quasi.
E fra questi sono pochissimi coloro che si cimentano a narrarne vicissitudini e quotidianità, frequentazioni e vissuti significativi.
Carlo Verdone è uno di loro e condivide con il lettore la nostalgia del mesto saluto all’abitazione che si spegne (“l’energia elettrica ormai staccata”, “i passi nel nulla”, “il mio film più importante e sofferto”) e una meticolosa ricostruzione retrospettiva di una casa viva e vissuta, la “casa dei rumori e degli odori”.
Una casa che dopo essere stata testimone, in particolare, della storia di vita infantile, adolescenziale e giovanile dell’autore, arricchita dagli affetti familiari ed attraversata da eminenti e spesso curiose personalità dello spettacolo, viene ‘lasciata’ di malavoglia ma con un tocco di estro realizzando un’ultima ripresa di tutti gli ambienti vivi e pulsanti nel ricordo, spogli e disadorni nel presente, azionando al contempo l’Ipod con la canzone ‘Are you experienced’ di Jimi Hendrix.
Gli stessi ambienti, prima così vitali, si succedono e si rispecchiano nell’accompagnamento musicale:
E fra questi sono pochissimi coloro che si cimentano a narrarne vicissitudini e quotidianità, frequentazioni e vissuti significativi.
Carlo Verdone è uno di loro e condivide con il lettore la nostalgia del mesto saluto all’abitazione che si spegne (“l’energia elettrica ormai staccata”, “i passi nel nulla”, “il mio film più importante e sofferto”) e una meticolosa ricostruzione retrospettiva di una casa viva e vissuta, la “casa dei rumori e degli odori”.
Una casa che dopo essere stata testimone, in particolare, della storia di vita infantile, adolescenziale e giovanile dell’autore, arricchita dagli affetti familiari ed attraversata da eminenti e spesso curiose personalità dello spettacolo, viene ‘lasciata’ di malavoglia ma con un tocco di estro realizzando un’ultima ripresa di tutti gli ambienti vivi e pulsanti nel ricordo, spogli e disadorni nel presente, azionando al contempo l’Ipod con la canzone ‘Are you experienced’ di Jimi Hendrix.
Gli stessi ambienti, prima così vitali, si succedono e si rispecchiano nell’accompagnamento musicale:
il corridoio (If you can just get your mind togheter…);
lo studio del padre (But first, are you experienced?…);
la camera di Silvia e Luca (I know, I know, you probably scream and cry…);
la sala da pranzo (So, are you experienced?…);
la camera dell’autore (Trumpets and violins I can hear in distance…);
il salone e quindi il terrazzo (Not necessarily stoned but beautiful…).
Il film della vita di Carlo Verdone, “dolce e doloroso”.
Ma tutto ciò rappresenta solo la fine e l’inizio di 280 pagine di testo ed immagini che attraversano lo spazio ed il tempo con leggerezza.
Leggendole si comprenderà meglio il rapporto che lega l’autore alle “medicine per l’umore”; il ruolo centrale del campanello di casa nel discernere i diversi visitatori (decisi e un po’ invadenti personalità del calibro di Pasolini, Germi, Zavattini, Rossellini, Lattuada; o più delicati, come Zeffirelli); le conversazioni telefoniche alle sette del mattino fra l’autore e Fellini che con l’andare degli anni appare sempre più smarrito; i timori verso Alberto Sordi che aveva la finestra di fronte alla camera dell’autore e quindi l’evoluzione di un rapporto quasi fra padre e figlio (‘In viaggio con papà), e molto altro ancora.
A tratti sembra di cogliere un ‘filo rosso’ che fa scoprire man mano una vena familiare eccentrica e goliardica, alimentata in particolare dagli zii materni ma non solo, che qualche influenza deve averla avuta nella genesi degli scherzi –alcuni anche ‘pesanti’- fatti in particolare dall’autore al padre ed ai familiari e magistralmente descritti in diversi passaggi del testo.
Si delinea in tal modo un puzzle non semplice da ricomporre che restituisce però alla figura di un personaggio notissimo una franchezza non facile da incontrare in ambienti spesso votati alla finzione, all’artificio e all’insofferenza.
Nel 2006 un coattone si affianca alla sua moto all’una di notte ad un semaforo rosso; riconosciutolo gli chiede di fare “nonnnaaa” al telefono a un amico appositamente svegliato, e poi ancora “Basta nonna co’ ste gambe! E allungaglie le gambe e ridistendiglie le gambe e riallungaglie le gambe, Io te le taglierei quelle gambe!”. Carlo Verdone cerca di resistere ma deve infine cedere, un po’ di malavoglia, anche per non bloccare le auto fermatesi nel frattempo. Ma l’insofferenza e l’irritazione si sciolgono al grido che lo raggiunge mentre la moto si allontana: “A Carlè! Grazie pe’ avemme dato er sorriso a n’adolescenza de merda!”. Anche questo episodio fa sorridere, come molti altri, ma in modo veramente toccante.
Pur rimanendo in un registro comico, fa riflettere. E ci fa sentire Carlo Verdone più vicino che mai. Un grande, nella sua semplice umanità. (G.M.)
lo studio del padre (But first, are you experienced?…);
la camera di Silvia e Luca (I know, I know, you probably scream and cry…);
la sala da pranzo (So, are you experienced?…);
la camera dell’autore (Trumpets and violins I can hear in distance…);
il salone e quindi il terrazzo (Not necessarily stoned but beautiful…).
Il film della vita di Carlo Verdone, “dolce e doloroso”.
Ma tutto ciò rappresenta solo la fine e l’inizio di 280 pagine di testo ed immagini che attraversano lo spazio ed il tempo con leggerezza.
Leggendole si comprenderà meglio il rapporto che lega l’autore alle “medicine per l’umore”; il ruolo centrale del campanello di casa nel discernere i diversi visitatori (decisi e un po’ invadenti personalità del calibro di Pasolini, Germi, Zavattini, Rossellini, Lattuada; o più delicati, come Zeffirelli); le conversazioni telefoniche alle sette del mattino fra l’autore e Fellini che con l’andare degli anni appare sempre più smarrito; i timori verso Alberto Sordi che aveva la finestra di fronte alla camera dell’autore e quindi l’evoluzione di un rapporto quasi fra padre e figlio (‘In viaggio con papà), e molto altro ancora.
A tratti sembra di cogliere un ‘filo rosso’ che fa scoprire man mano una vena familiare eccentrica e goliardica, alimentata in particolare dagli zii materni ma non solo, che qualche influenza deve averla avuta nella genesi degli scherzi –alcuni anche ‘pesanti’- fatti in particolare dall’autore al padre ed ai familiari e magistralmente descritti in diversi passaggi del testo.
Si delinea in tal modo un puzzle non semplice da ricomporre che restituisce però alla figura di un personaggio notissimo una franchezza non facile da incontrare in ambienti spesso votati alla finzione, all’artificio e all’insofferenza.
Nel 2006 un coattone si affianca alla sua moto all’una di notte ad un semaforo rosso; riconosciutolo gli chiede di fare “nonnnaaa” al telefono a un amico appositamente svegliato, e poi ancora “Basta nonna co’ ste gambe! E allungaglie le gambe e ridistendiglie le gambe e riallungaglie le gambe, Io te le taglierei quelle gambe!”. Carlo Verdone cerca di resistere ma deve infine cedere, un po’ di malavoglia, anche per non bloccare le auto fermatesi nel frattempo. Ma l’insofferenza e l’irritazione si sciolgono al grido che lo raggiunge mentre la moto si allontana: “A Carlè! Grazie pe’ avemme dato er sorriso a n’adolescenza de merda!”. Anche questo episodio fa sorridere, come molti altri, ma in modo veramente toccante.
Pur rimanendo in un registro comico, fa riflettere. E ci fa sentire Carlo Verdone più vicino che mai. Un grande, nella sua semplice umanità. (G.M.)
Nessun commento:
Posta un commento