IL NODO NEL CERCHIO
di Carla Di Bert
(KAPPA VU Narrativa, Udine, 2019)
Recensione di Giorgio Macario
Dieci giorni trascorsi nel
piccolo eremo di San Romedio rappresentano l’unità temporale racchiusa in 130
pagine che hanno il pregio non indifferente di essere di agevole lettura.
La necessità da parte di
Anna, la protagonista del racconto, di “ritagliarsi uno spazio di riflessione
lontano dalle urgenze della vita quotidiana” costituisce l’incipit della
narrazione che mantiene un parallelo fra le sofferenze e le inquietudini della
donna e la tristezza che promana dalla presenza del vecchio e malato orso Bruno,
vissuto da sempre con una catena al collo e intrappolato nel suo mondo
autistico.
Ma i motivi di interesse
che crescono parallelamente al succedersi delle giornate sono almeno due.
Il
primo è costituito dall’intreccio fra lo sviluppo della trama che racconta, in
terza persona, le inquietudini crescenti della protagonista riflesse nei
dialoghi con le figure che si incontrano presso l’eremo e i momenti di
riflessione autobiografica, in prima persona, che anche attraverso soste
‘numerate’ su panchine, ricostruiscono le vicissitudini familiari di Anna legate
in particolare alla malattia del padre.
Il secondo riguarda
l’utilizzo soft di citazioni filosofiche, dal carattere niente affatto
cattedrattico, con le quali la giovane docente precaria in un liceo
psicopedagico arricchisce e approfondisce la narrazione: dalle monadi di
Leibniz ai detti epicurei, dal mito di Er nella ‘Repubblica’ di Platone
alle citazioni ‘esistenziali’ di Schopenhauer, dall’Essere per la morte
heideggeriano ai riferimenti a Sant’Agostino, per non citarne che alcune. Anche
se non mancano, complice la presenza nella narrazione del figlio del
veterinario, alcuni accenni alla Saga di Harry Potter.
Un libro che, nel commento
di Duccio Demetrio in quarta di copertina, si presenta come sì “orientato verso
gli universali temi del dolore e della morte”, ma richiama al contempo i temi
“della salvezza e della rinascita”.
Con una narrazione spesso
caratterizzata da un incedere poetico. Come in questo passaggio, uno fra i
tanti: “…spuntava come un piccolo giacinto rosa, sbocciato ai primi tepori di
marzo nel cortile della sua abitazione. (…) Il fiore era irrimediabilmente
inclinato e la sua mano non poteva in alcun modo risollevarlo. Lo stelo
ricadeva sfinito. Ma nel pomeriggio un timido calore era ricomparso e i petali
si erano ridestati, come per incanto.”
Un intreccio sapiente di
elementi ben dosati che aiutano la riflessione di ciascuno nel proprio cammino
esistenziale.
Nessun commento:
Posta un commento