Il secondo congresso mondiale sulla resilienza si è appena
concluso e centinaia di esperti provenienti da 25 diverse nazioni sono ancora
intenti a metabolizzare i numerosi spunti di riflessione maturati in tre giorni
di serrato confronto.
Anch’io mi appresto a rientrare in Italia, ma senza fretta, e
ciò mi consente di vivere un’esperienza che difficilmente potrò dimenticare.
Il primo impatto non è certo leggero: appuntamento con
perquisizione all’ingresso. Ma stiamo parlando del carcere di Timisoara, e non
poteva essere altrimenti.
La collega Mihaela Tomita che oltre ad insegnare
all’Università è anche responsabile dell’Unità Antidroga, ha agevolato il mio
autoinvito, mentre il direttore del carcere, Joan Bàla, ha accolto la richiesta
con grande sollecitudine.
Ma sono il direttore della BANATUL Filarmonica di Timisoara,
Joan Coriolan Girboni, il Maestro Aurel Manciu e gli orchestrali tutti, oltre a
più di un centinaio di detenuti presenti fisicamente all’iniziativa, alcuni con
le famiglie in visita, a creare un evento di realismo magico nel senso letterale del termine: reale ed
inconsueta l’eterogenea presenza in un luogo di detenzione; magica e vitale, col
succedersi dei minuti, l’atmosfera.
Mentre la luce del sole si affievolisce sempre più, nel
cortile del carcere le note in libertà, frutto dell’accordatura dei vari
strumenti, si inseguono e si sovrappongono.
Nessuno sembra essere al suo posto: non i detenuti, seduti in
gran parte in prossimità dell’alto edificio con le finestre sbarrate, e le non
molte famiglie sparse in mezzo a loro; non gli orchestrali abituati ad
ascoltarsi nella solennità delle sale concertistiche; tantomeno le guardie
carcerarie parzialmente defilate verso il fondo del cortile ed i non molti
invitati, fra cui io, a sinistra dell’orchestra. Ma tutti sono esattamente al
loro posto in questa serata particolare. Anche perché apprendo che si tratta di
una sorta di ringraziamento della Città, e della Filarmonica in particolare, ai
detenuti che hanno contribuito con il loro lavoro, in parte anche volontario,
al ripristino di giardini e arterie stradali (effettivamente la Città sembra un
enorme cantiere in progress!).
Superstar, Don’t cry
for me Argentina, King’s Herod’s song e Memory sono le arie che rompono il ghiaccio,
ma solo in apparenza: gli sguardi che vengono spediti tutt’intorno sembrano più
interessati a capire chi altro c’è che non a farsi rapire dalle armonie di film
pur conosciuti da tutti. Gli applausi
non vengono lesinati ma nemmeno ‘sprecati’.
Con il secondo passaggio musicale i ritmi si fanno più
serrati ed ecco le musiche dei Pirates of
the Caribean (con qualcuno che, promuovendo come ‘avventurieri’ i presenti
sul campo, sussurra: “Pirati dei Caraibi o Pirati di Timisoara?”). I volti che
pur si distolgono dal palco con una certa frequenza, sembrano aver acquistato
maggiore sensibilità alle sonorità che riempiono l’aria. E’ a questo punto che,
vedendo diverse telecamere puntate sul palco, apprendo che non ci sono solo
alcune televisioni locali e via cavo, ma che il concerto è trasmesso in diretta
in tutte le celle del carcere dove sono rinchiusi gli altri 1.100 detenuti. E’
una comunità separata che diviene partecipe come può, e l’averci pensato è
sicuramente un punto di merito per gli organizzatori.
Il terzo step prevede
una selezione di brani da Starlight
Express di Andrew Lloyd Webber e
viene introdotto anch’esso, come anche i precedenti ed i successivi, dal
direttore Girboni che ha un feeling particolare con il maestro Manciu e mostra
una vena ironica che riesco ad apprezzare anch’io, grazie alle cortesi
traduzioni in shushotage della mia
ospite e guida. Ma è il direttore del carcere che, invitato nuovamente a dire
qualche parola dopo l’introduzione dell’iniziativa, svela ai presenti la
particolare emozione del direttore d’orchestra, che più di vent’anni fa, sotto
il regime di Ceausescu, è stato detenuto in questo stesso carcere come
dissidente politico. Un superamento resiliente delle mille possibile traversie
della vita, verrebbe da dire, mentre il suo successo in Germania e
l’affermazione professionale viene indicata come possibile speranza di
riscatto, in particolare per chi è temporaneamente privato della propria
libertà. I volti sono adesso tutti per lui, che si schernisce e che viene
salutato da un lungo e caloroso applauso.
Sulle note della prima tromba che conquista la testa del
palco, accanto al direttore d’orchestra, si avvia il passaggio successivo con Over the ranbow tratto dal ‘Mago di Oz’.
Nel cortile svettano due grandi alberi e quando la musica si fa più tenue
alcuni uccelli cinguettano il loro messaggio di libertà, che sembra superare i
pur alti muri della prigione. E’ scesa ormai la sera, ed un faro proietta
immagini colorate sull’alto muro laterale: è allora che scorgo, dietro alle
sbarre delle finestre collocate su diversi piani, le sagome ed i volti di molti
detenuti; qualche luce è accesa, ma i più sono in penombra. Molti ascoltano e
seguono lo spettacolo; pochi altri si muovono per altre faccende e sembrano
ascoltare più distrattamente.
Il passaggio al quinto ed ultimo brano, una selezione della Star Wars Saga, viene accompagnato da una
crescente partecipazione dei presenti, non solo con applausi più convinti, ma
con mani e piedi sempre più mobili, a seguire il ritmo incalzante dei brani. E’
come se la fissità del corpo e dell’anima cui costringe la detenzione si
sciogliesse in una partecipazione corale, questa sì senza discriminazione
alcuna. Vedo alcuni volti di padri detenuti, con i loro bimbi in braccio,
accendersi del giusto orgoglio di essere stati capaci di offrire loro una
serata diversa dal solito: la bellezza della musica, anche se solo per un
attimo, sembra poter prevalere sulle asperità della vita. La rievocazione
dell’Impero del Male, caratterizzata da tonalità grevi, assume le vesti del
dolore e dello sconforto che così spesso attanagliano gli animi; ma ben presto
la tensione si stempera e il trionfo del Bene trasuda da ogni ampia nota che si
diffonde tutt’intorno: è così che i grandi spazi stellari hanno la meglio sul
grigiore di mura e sbarre.
Nella marea
di applausi che si riversano sull’orchestra e sul suo Maestro, il Bene che
trionfa non appare solo un auspicio, ma sembra sempre più una certezza appena
velata dalla tristezza dell’attesa che tutto debba concludersi, che ci si debba
salutare e che gli affetti siano nuovamente messi alla prova della distanza. Ed
è a questo punto che il direttore d’orchestra, nel concedere un paio di intensi
e prolungati bis scanditi da un battimano corale, riesce nel miracolo di
rendere tutti partecipi dell’entusiasmo generale. Da ciascuna finestra, anche
da quelle in precedenza più ‘distratte’, decine di detenuti premono sulle
inferriate con le mani protese verso la piazza.
Tutto accade
in un attimo: l’orchestra continua a suonare, il pubblico batte le mani
partecipe del ritmo, lo stesso direttore è uno fra i primi ad alzarsi in piedi
ed il Maestro non è più al suo posto. Ma basta girare lo sguardo tutto intorno
per vederlo in mezzo al pubblico ad incitare al battimano e condividerlo,
‘battendo il cinque’ con i più giovani fra loro.
La guida
degli orchestrali si trasforma in men che non si dica nello spirito vitale che
richiama ciascuno a sentirsi partecipe di un momento speciale, e l’entusiasmo
contagioso dell’affermato ex-detenuto di un tempo spazza via qualsiasi
avversità. I ‘bravo!’ ed i fischi di approvazione non si contano più ed il respiro
della vita avvolge pubblico ed orchestrali in un intenso abbraccio corale.
Uscendo
penso alla buona sorte che ha consentito a me ed ai molti coinvolti di
assistere alla creazione di un ricordo resiliente che riscalda il cuore. Lo
stesso concerto programmato come social
program per i partecipanti al congresso mondiale sulla resilienza che viene
riproposto in questo contesto così inconsueto: una magnifica occasione per
aprire un varco alle ‘passioni gioiose’ in questa nostra epoca di ‘passioni
tristi’.
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