martedì 4 giugno 2013

Stazione Centrale: un incubo a occhi aperti

Lo scenario è da incubo.
Ma anche in un incubo può comparire una scialuppa di salvataggio che ti accolga,
o almeno un appiglio che galleggi.
Il mio salvagente è un posto improvvisamente vuoto nell’unica fila di sedili che la residua misericordia di un progettista minimalista è stato capace di concepire.

Non faccio in tempo a prendere posto che mi accorgo di quanto tanta generosità progettuale sia strettamente finalizzata al bombardamento mediatico di motivi alienanti ed immagini plastificate che fuoriescono in continuazione da quattro mega schermi perfettamente allineati.
Fortunatamente le immagini non si vedono ma i suoni ti trapanano il cervello.
Ricordo un periodo durante il quale schermi analoghi trasmettevano un jingle ripetuto all’infinito e senza alcun apparente significato, che doveva aver sollecitato pensieri distruttivi e tentazioni luddiste in più d’uno, perché poco dopo è stato precipitosamente eliminato.
Qualcuno deve aver ‘agito’ i pensieri di molti.

Decine, centinaia, migliaia di persone affrettano il passo, sostano col naso all’insù o si muovono ondivaghi per giungere a destinazione o, più banalmente, per darsi un tono.
E’ un mondo multicolore.
Dove i bianchi giocano in casa mentre i neri si arroccano in difesa;
i gialli colgono l’attimo con istantanee brucianti mentre i rossi si distinguono a fatica.
Ma quando scopri che i blu ed i verdi non si trovano neanche utilizzando i raggi ultravioletti, cominci a dubitare che tutto ciò abbia un senso.

E allora vedi degli uomini e delle donne; dei bambini e degli anziani; persone basse come nani e giganti prossimi ai due metri; corpi magri e filiformi accanto ad altri grossi e tondi; andature sensuali ed altre con un incedere sgraziato; e così via, nei meandri di una casistica forse meno discriminante della precedente ma sempre in cerca di riscontri oggettivi.

Ad un certo punto, lo scenario cambia.
Affinando uno sguardo orientato alla persona in quanto tale,
valorizzi percezioni, sensazioni e qualità prima trascurate.
E’ come se ciascuno fosse circondato da un’aura diversa.
Come se i singoli esseri umani contassero per le loro specificità e non per le caratteristiche comuni a molti.
Come se i soggetti riacquistassero in pieno il loro diritto di esprimersi liberamente e di essere compresi.
In un mondo, quindi, più comprensibile e condivisibile, più consapevole e vivibile.

“Ma come –mi chiederete- non era uno scenario da incubo?”

Ecco la ricetta per trasformare un incubo in un sogno ad occhi aperti.

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