giovedì 20 febbraio 2020

I MIEI ANNI SULL'ACQUA - di Ada Trifirò - Recensione di G.M.

I MIEI ANNI SULL'ACQUA

di Ada Trifirò
(Youcanprint, 2019)


Recensione di Giorgio Macario


Una delle cose che mi ha colpito fin da subito in questo agile volume, da genovese, è la presenza dell’acqua fin dal titolo. Ed è la stessa autrice, dopo aver delimitato i confini delle sue scritture diaristiche dal 2011, che l’ha vista come ‘cooperante espatriata’ in Uruguay già da alcuni anni, al 2018, rientrata in Italia fin dall’anno precedente, a motivarci i perché della presenza dell’acqua in un “titolo arrivato per ultimo. Mentre rileggevo queste pagine, l’immagine più forte era di acqua: acqua nelle mie memorie. Acqua come il Mar Mediterraneo da cui mi sento nata. E come Rio de La Plata che mi ha adottata. Acqua, come emozioni incontenibili; come quella freschezza che spegne il fuoco dell’anima; come purificazione e rinascita.”

Ma il diario “è un’esperienza intima e segreta, o è la ricerca di uno spazio aperto al confronto?” -si chiede Elena Madrussan nel suo ‘Forme del tempo/Modi dell’io. Educazione e scrittura diaristica’.

Dal dipanarsi di questi anni vissuti prevalentemente in Uruguay – con missioni che l’hanno portata in mezza America Latina- sembra di poter cogliere la prevalenza del primo aspetto. Sono molti, infatti, gli elementi di autoanalisi del proprio percorso personale e familiare ad emergere.

Con il  2011 de ‘La mia vita a testa in giù’, caratterizzato dalla rievocazione delle radici familiari, da nonna Ada proveniente dal New Jersey, alla mamma che “viaggiava con la mente e con il cuore” e al papà che poteva annoverare fra le sue esperienze anche sei mesi trascorsi in Germania a costruir ferrovie; ma anche con il 2012 dei ‘Nuovi sentieri per i mie passi’, che introducono il richiamo alla propria nascita (“Di fronte a questo mare sono nata in una notte d’estate”) e la determinante esperienza dello yoga nella propria vita.
Con una venatura poetica ed intimistica che attraversa tutto il percorso, come in questo bel passaggio della notte di Capodanno del 2014 a Capo Polonio: “Non posso avvicinarmi al mare senza che le mie acque interiori si agitino. E come onda inquieta, navigo fra i labirinti dell’anima.”

Ed ancora dai maggiori investimenti sulla famiglia e sulla coppia del 2016 alla ripresa del viaggio e al rientro in Italia del 2017.

D’altra parte emergono anche diversi riferimenti che presentano spazi aperti al confronto: dallo stesso impegno nella cooperazione internazionale dell’autrice alle osservazioni sul “perché sono femminista”; dalle riflessioni sul consumismo al grido esasperato del “Basta guerra!”. E lo stesso racconto da parte dell’autrice di alcune tappe della propria vita “si fa storia da condividere.”

Scrivere a partire dai propri diari non è facile, se uno studioso quale Fabrizio Scrivano nel suo testo su ‘Diario e narrazione’, scrive: “Ogni giorno alcuni milioni di persone si siedono a scrivere qualche riga di diario. Nella maggior parte dei casi sono pensieri, avvenimenti e parole che non interessano nessuno, qualche volta neppure a chi li scrive. Scrivere qualcosa di interessante è un fatto davvero eccezionale.”

In questo caso concluderei rassicurando il futuro lettore: l’interesse dell’autrice per le vicende narrate traspare dall’intensità del racconto e il mio personale interesse è testimoniato da queste stesse parole. Buona lettura.

giovedì 6 febbraio 2020

IL NODO NEL CERCHIO - di Carla Di Bert - Recensione di G.M.

IL NODO NEL CERCHIO

di Carla Di Bert

(KAPPA VU Narrativa, Udine, 2019)



Recensione di Giorgio Macario



Dieci giorni trascorsi nel piccolo eremo di San Romedio rappresentano l’unità temporale racchiusa in 130 pagine che hanno il pregio non indifferente di essere di agevole lettura.

La necessità da parte di Anna, la protagonista del racconto, di “ritagliarsi uno spazio di riflessione lontano dalle urgenze della vita quotidiana” costituisce l’incipit della narrazione che mantiene un parallelo fra le sofferenze e le inquietudini della donna e la tristezza che promana dalla presenza del vecchio e malato orso Bruno, vissuto da sempre con una catena al collo e intrappolato nel suo mondo autistico.

Ma i motivi di interesse che crescono parallelamente al succedersi delle giornate sono almeno due. 
Il primo è costituito dall’intreccio fra lo sviluppo della trama che racconta, in terza persona, le inquietudini crescenti della protagonista riflesse nei dialoghi con le figure che si incontrano presso l’eremo e i momenti di riflessione autobiografica, in prima persona, che anche attraverso soste ‘numerate’ su panchine, ricostruiscono le vicissitudini familiari di Anna legate in particolare alla malattia del padre.
Il secondo riguarda l’utilizzo soft di citazioni filosofiche, dal carattere niente affatto cattedrattico, con le quali la giovane docente precaria in un liceo psicopedagico arricchisce e approfondisce la narrazione: dalle monadi di Leibniz ai detti epicurei, dal mito di Er nella ‘Repubblica’ di Platone alle citazioni ‘esistenziali’ di Schopenhauer, dall’Essere per la morte heideggeriano ai riferimenti a Sant’Agostino, per non citarne che alcune. Anche se non mancano, complice la presenza nella narrazione del figlio del veterinario, alcuni accenni alla Saga di Harry Potter.

Un libro che, nel commento di Duccio Demetrio in quarta di copertina, si presenta come sì “orientato verso gli universali temi del dolore e della morte”, ma richiama al contempo i temi “della salvezza e della rinascita”.

Con una narrazione spesso caratterizzata da un incedere poetico. Come in questo passaggio, uno fra i tanti: “…spuntava come un piccolo giacinto rosa, sbocciato ai primi tepori di marzo nel cortile della sua abitazione. (…) Il fiore era irrimediabilmente inclinato e la sua mano non poteva in alcun modo risollevarlo. Lo stelo ricadeva sfinito. Ma nel pomeriggio un timido calore era ricomparso e i petali si erano ridestati, come per incanto.”

Un intreccio sapiente di elementi ben dosati che aiutano la riflessione di ciascuno nel proprio cammino esistenziale. 


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