venerdì 7 giugno 2013

Scrivere, nel frattempo, come atto vitale

Scrivere è un fiume che scorre, incessante.
Quando ti immergi nelle sue acque, la vita ti passa accanto producendo increspature appena percettibili o gorghi più accentuati e temibili.
Basta poco, però, e ti senti nuovamente a casa.
Nuotare come un pesce nell’acqua, per chi ha sempre avuto il mare come confine sconfinato non è solamente un modo di dire, ma è un modo per dirlo.

I pensieri scorrono e la mano li insegue docile per catturarne l’essenza.
E’ la stessa mano che fende la superficie bramosa di afferrare
ciò che scorre via senza sosta e finalmente, dopo tanto affannarsi e scarso costrutto, s’abbandona ad una danza dai toni tenui ed intensi ad un tempo, disegnando curve sinuose e inaspettate.
Il corpo la segue, docile e attento, perché nulla di ciò che accada vada perduto.
Nell’acqua si immerge e da lì riemerge senza soluzione di continuità.

La penna che scrive e la mano che danza.
O è la penna che danza e la mano che scrive.
I pensieri inseguono gli sguardi sul mondo e tutto appare immerso in una fitta ed avvolgente coltre di nubi.
Sperare che si diradi è concesso.
Vivere nell’attesa è rinuncia.
Scrivere nel frattempo è vitale.
D’altra parte la mano che desiste è un mondo che scompare.
“Non uno di meno!”, si ode in lontananza.

E l’inchiostro dilaga, con rinnovato vigore. 

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