Caterina
Benelli – Laura Martini – Ilaria Mavilla
LA RICAMATRICE DI
PAROLE
Uno sguardo sulle scritture e sull'esperienza di volontaria in carcere di Athe Gracci
(Quaderno di Anghiari - Serie Giallo N. 5 - Mimesis,
2020)
Recensione
di Giorgio Macario
Se ad Anghiari le Giornate Culturali
2020 saranno dedicate all’incontro e ad intrecciar parole lo dobbiamo anche ad
Athe Gracci che, con il titolo del testo a lei dedicato -in fase di stesura
mentre progettavamo le Giornate anghiaresi- ha in qualche modo orientato la
denominazione dell’evento.
Athe Gracci, all’indomani del suo
pensionamento da insegnante, comincia la sua attività volontaria presso la Casa
Circondariale di Pisa, concretizzando man mano il suo ruolo di “pioniera della
facilitazione alla narrazione autobiografica in carcere.” Utilizzando più che
un metodo -come ci dice Caterina Benelli nell’introduzione al quaderno- “una
postura, una modalità di stare in relazione con l’altro vulnerabile e con la
parte più vulnerabile di se stessa che, con una rara empatia, riesce a
connettersi e a costruire relazionalità.”
Ma perché definirla “ricamatrice di
storie sfilacciate? Perché tutto è iniziato dal ricamo.” Come lei stessa ha
testimoniato: “‘Vi insegnerò a ricamare, dissi a queste donne che tutto si
sarebbero aspettate meno che questo programma.(…) L’impatto fu stupendo man
mano che i minuti passavano gli sguardi mi diventavano amici.”
E con il ricamo e la scrittura di sé
declinata nelle svariate possibili sue articolazioni (tramite narrazioni e
scritture di racconti, poesie, lettere e romanzi autobiografici) sono molte
decine le persone che hanno potuto trovare un senso al proprio periodo di
reclusione, riannodando spesso, tramite lei, i rapporti con i propri familiari.
Dopo la parte introduttiva, il volume
prosegue con il contributo di Ilaria Mavilla, centrato da un lato sulle
innumerevoli corrispondenze che rappresentano la forma più diffusa di
relazionalità in carcere, concretizzandosi in lettere ai familiari, cartoline e
biglietti di ogni genere: e Athe Gracci ha conservato centinaia di lettere che
colpiscono in particolare per la reciprocità della relazione. “Athe non esitava
a raccontare di sé, a condividere con i suoi ragazzi ricordi del proprio
passato, dalle sofferenze della guerra a quell’emigrazione, fino al presente
con frequenti accenni al marito, ai familiari a lei cari, ai viaggi, e ai suoi
libri.” D’altra parte, l’analisi di decine di scatoloni colmi di centinaia di
fotocopie contenenti tracce delle esistenze che hanno intrecciato la sua,
portano Mavilla a scoprire “una donna fiera, testarda, ironica e malinconica,
introspettiva e al contempo estroversa, tesa verso il fuori e verso l’altro.”
In conclusione è la nipote, Laura
Martini, a tracciare un ricordo di Athe e delle storie passate dalla sua
stanza, del suo salottino che “era anche luogo privato della sua scrittura”,
del suo modo di essere insegnando, scrivendo ed accogliendo.
Ed è nel progetto della “Stanza di Athe
Gracci” come tributo connesso all’intestazione a lei fatta del Centro Nazionale
di Ricerche e Studi Autobiografici della LUA -che sarà presentato proprio al
termine delle Giornate Culturali LUA 2020- che si trova la risposta alla
domanda angosciosa che si poneva sui suoi carteggi “ma che ne farete dopo di
tutta questa roba?” Questo suo dubbio angoscioso -ci dice la nipote di Athe- “scompare se le lettere, gli appunti, i
ricordi, le foto e le confessioni non rimangono chiusi in una scatola ma
diventano materiale vivo, che passa di mano in mano e che apre porte
sconosciute.”
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