giovedì 3 settembre 2020

LA RICAMATRICE DI PAROLE. Uno sguardo sulle scritture e sull'esperienza di volontaria in carcere di Athe Gracci - di Caterina Benelli - Laura Martini - Ilaria Mavilla


Caterina Benelli – Laura Martini – Ilaria Mavilla

LA RICAMATRICE DI PAROLE

Uno sguardo sulle scritture e sull'esperienza di volontaria in carcere di Athe Gracci

(Quaderno di Anghiari - Serie Giallo N. 5 - Mimesis, 2020)

 




Recensione di Giorgio Macario

 

 

Se ad Anghiari le Giornate Culturali 2020 saranno dedicate all’incontro e ad intrecciar parole lo dobbiamo anche ad Athe Gracci che, con il titolo del testo a lei dedicato -in fase di stesura mentre progettavamo le Giornate anghiaresi- ha in qualche modo orientato la denominazione dell’evento.

Athe Gracci, all’indomani del suo pensionamento da insegnante, comincia la sua attività volontaria presso la Casa Circondariale di Pisa, concretizzando man mano il suo ruolo di “pioniera della facilitazione alla narrazione autobiografica in carcere.” Utilizzando più che un metodo -come ci dice Caterina Benelli nell’introduzione al quaderno- “una postura, una modalità di stare in relazione con l’altro vulnerabile e con la parte più vulnerabile di se stessa che, con una rara empatia, riesce a connettersi e a costruire relazionalità.”

Ma perché definirla “ricamatrice di storie sfilacciate? Perché tutto è iniziato dal ricamo.” Come lei stessa ha testimoniato: “‘Vi insegnerò a ricamare, dissi a queste donne che tutto si sarebbero aspettate meno che questo programma.(…) L’impatto fu stupendo man mano che i minuti passavano gli sguardi mi diventavano amici.”

E con il ricamo e la scrittura di sé declinata nelle svariate possibili sue articolazioni (tramite narrazioni e scritture di racconti, poesie, lettere e romanzi autobiografici) sono molte decine le persone che hanno potuto trovare un senso al proprio periodo di reclusione, riannodando spesso, tramite lei, i rapporti con i propri familiari.

Dopo la parte introduttiva, il volume prosegue con il contributo di Ilaria Mavilla, centrato da un lato sulle innumerevoli corrispondenze che rappresentano la forma più diffusa di relazionalità in carcere, concretizzandosi in lettere ai familiari, cartoline e biglietti di ogni genere: e Athe Gracci ha conservato centinaia di lettere che colpiscono in particolare per la reciprocità della relazione. “Athe non esitava a raccontare di sé, a condividere con i suoi ragazzi ricordi del proprio passato, dalle sofferenze della guerra a quell’emigrazione, fino al presente con frequenti accenni al marito, ai familiari a lei cari, ai viaggi, e ai suoi libri.” D’altra parte, l’analisi di decine di scatoloni colmi di centinaia di fotocopie contenenti tracce delle esistenze che hanno intrecciato la sua, portano Mavilla a scoprire “una donna fiera, testarda, ironica e malinconica, introspettiva e al contempo estroversa, tesa verso il fuori e verso l’altro.”

In conclusione è la nipote, Laura Martini, a tracciare un ricordo di Athe e delle storie passate dalla sua stanza, del suo salottino che “era anche luogo privato della sua scrittura”, del suo modo di essere insegnando, scrivendo ed accogliendo.

Ed è nel progetto della “Stanza di Athe Gracci” come tributo connesso all’intestazione a lei fatta del Centro Nazionale di Ricerche e Studi Autobiografici della LUA -che sarà presentato proprio al termine delle Giornate Culturali LUA 2020- che si trova la risposta alla domanda angosciosa che si poneva sui suoi carteggi “ma che ne farete dopo di tutta questa roba?” Questo suo dubbio angoscioso -ci dice la nipote di Athe-  “scompare se le lettere, gli appunti, i ricordi, le foto e le confessioni non rimangono chiusi in una scatola ma diventano materiale vivo, che passa di mano in mano e che apre porte sconosciute.”



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