giovedì 3 settembre 2020

LA CURA NELL'ACCOMPAGNAMENTO AUTOBIOGRAFICO. Klinè - di Maria Gaudio

 Maria Gaudio

LA CURA NELL’ACCOMPAGNAMENTO AUTOBIOGRAFICO

(Quaderni di Anghiari - Serie Blu  N. 3 -Mimesis, 2020)

 






Recensione di Giorgio Macario

 

 Maria Gaudio, di formazione filosofica e psico-pedagogica si è specializzata in Psicopedagogia della famiglia e perfezionata in Psicologia Clinica della Perinatalità. Ma, soprattutto, l’autrice è docente della LUA dove si è diplomata e specializzata in consulenza autobiografica.

Per questo non deve stupire se questo quaderno -e non libro, ci tiene subito a precisare l’autrice- si apre con un frammento di autobiografia che àncora alla propria infanzia, due parole irrinunciabili per l’aula Klinè, percorso di specializzazione nella scuola triennale ‘Mnemosyne’ della LUA: abitare e distanza. L’abitare dei continui riferimenti dei primi anni di vita di Maria all’interrogativo su dove si abitasse davvero (“Ora abitiamo qui?”), e la distanza osteggiata per molto tempo come condizione contraddittoria fra stare e andare, fino ad una parziale riconciliazione connessa ad una rima scoperta fra distanza e danza.

Prendono avvio da questi riferimenti autobiografici le osservazioni preliminari sulla comunità della LUA e su Klinè nel percorso triennale della scuola e le successive tre parti del quaderno orientate dalle calviniane ‘città invisibili’ di Eufemia, Tamara, Despina e Zaira.

La scrittura di sé come possibilità auto-formativa e auto-curativa porta a stare, nell’ambito della LUA e per dirla con Bauman, ‘individualmente insieme’, immaginandosi individui che rifuggono, però, da qualsiasi solipsismo. Il percorso di Klinè, inaugurato  da Duccio Demetrio e dalle sue riflessioni sulla scrittura clinica, che rappresentano un riferimento costante lungo tutto il testo, viene condotto dall’autrice a partire dal 2017 e viene descritto nei suoi cinque laboratori teorico-pratici che conducono ad una relazione di cura denominata ‘accompagnamento autobiografico-clinico.’

‘Amare la distanza’ è indicazione inappropriata solo in apparenza,  relativamente al passaggio auspicato dalla cura di sé all’aver cura dell’altro. Gli elementi caratterizzanti l’impresa autobiografica e la molteplicità degli aspetti inerenti la cura dominano la prima parte del testo. Nella seconda parte è la scrittura ad emergere come elemento ‘terzo’, vero e proprio attore fra il consulente-accompagnatore e il narratore-autore; le situazioni che potranno essere affrontate mediante la scrittura non dovranno essere dichiaratamente patologiche -e quindi di competenza dell’ambito medico o terapeutico- ma si andrà comunque incontro a “disagio, fragilità, marginalità, impedimenti motori, situazioni traumatiche, di perdita, di solitudine, di smarrimento.”

La scrittura autobiografica-clinica, quindi, pur non rivolgendosi alle malattie ma “alla fragilità che fa parte della vita”, richiede altresì “una formazione alla clinica della scrittura autobiografica”, che, in un’ottica di accompagnamento, fa diventare clinica la stessa scrittura autobiografica.

L’ultima parte viene quindi dedicata all’esplorazione di ulteriori distanze, come quella fra parola detta e parola scritta, dove è certamente quest’ultima ad essere “la specificità della nostra clinica e della nostra cura”; o ancora la distanza dello sdoppiamento e della bi-locazione cognitiva come “nozione centrale nella riflessione di Duccio Demetrio, ripresa e approfondita da numerosi altri autori” nell’ambito della formazione degli adulti; e, infine, la distanza connessa alla memoria che “riveste un’importanza cruciale quando la scrittura si rivolge a persone in fragilità esistenziale”, dove “diventa cura anche il movimento tra ricordare e dimenticare”.

Raccogliendo, in conclusione, i sassi delle “parole che diventano pietre per edificare dimore da abitare” unitamente ai semi delle parole fragili  “bisognose di cura per il loro fiorire”.

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