domenica 22 dicembre 2013

SILENZIO, E BOCCHE CUCITE



Il silenzio può rappresentare una conquista di civiltà che ci salva dalla baraonda della quotidianità congestionata e convulsa.
Il silenzio può anche essere vissuto alla stregua di un tentativo di immergerci in una natura sempre più snaturata nel tentativo di passare dal ruolo di violatori colpevoli a quello di custodi premurosi, transitando, magari,per una più neutra posizione di osservatori inerti.
Ancora il silenzio può incarnare lo stupore dell’inatteso, quel ‘restare senza parole’ che prelude in genere ad una metabolizzazione più o meno accentuata che ci consenta di esprimere adeguatamente il nostro pensiero e le nostre reazioni.
Oppure può essere il silenzio che si fa protagonista di scenari carichi di emozioni che sconcertano e svuotano o invadono e saturano  ad un tempo, rendendo superfluo qualsiasi commento aggiuntivo.
Il silenzio può essere imposto, con un atto autoritario che censura o anche auto inflitto, come segno di sorda opposizione che resiste.
Ma quando il silenzio viene autoimposto per l’impossibilità di attribuire un qualsiasi significato esplicativo alle parole che, in altri tempi e contesti, potrebbero esprimere dolore  e rabbia senza essere immediatamente svuotate di senso;
quando il silenzio rimane l’ultima delle opzioni per cercare di penetrare il muro dell’indifferenza e mitigare almeno un poco il deserto della solitudine che circonda la disperazione degli animi;
quando, soprattutto, per mostrare la violenza strisciante e conclamata che viene perpetrata giorno dopo giorno entro strutture segreganti ove si costringono persone innocenti, vengono esperite soluzioni raccapriccianti altamente simboliche ma anche drammaticamente avvilenti;
quando tutto ciò accade e le bocche cucite non rappresentano più un’espressione metaforica che denuncia un’impossibilità oggettiva, non importa se auto o etero imposta,
allora l’ago ricavato dalla parte metallica di un accendino e il filo tratto da una coperta sfilacciata che si attorcigliano a serrare le labbra di otto di loro, rappresentano gli strumenti ultimi, auto lesivi della carne ma non dello spirito, estrema denuncia dell’orrore patito che cerca di provocare ripugnanza, affinché almeno un barlume di indignazione possa attraversare la pubblica opinione.
Silenzi innaturali che disvelano la natura bestiale delle sofferenze procurate.
Azioni di protesta che, pur emulando alcuni accadimenti analoghi in diverse parti del mondo, non dovrebbero aver più ragione di esistere, collocate al di fuori del consesso degli umani.
Bocche cucite che urlano la loro disperazione al mondo, in attesa di un nuovo anno che speriamo infonda un po’ più di speranza ad una umanità martoriata. (G.M.)

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