domenica 27 ottobre 2013

IO SONO MALALA - Dal Premio Sakharov 2013 al Premio Nobel 2014 - Terza parte



VICINI A MALALA - Terza parte (Tre ragazze, tre pallottole)

Cap. 16 – La valle delle disgrazie.
“Era la peggiore alluvione a memoria d’uomo. (…) Sui giornali leggemmo che in quella catastrofe erano state perse più vite umane ed erano stati causati più danni che nello tsunami del Sudest asiatico, nel terremoto del 2005, nell’uragano Katrina e nel sisma di Haiti messi insieme. (…)
La gente abitava lungo il corso dello Swat da più di tremila anni e l’aveva sempre visto come una fonte di vita e non come una minaccia, considerando la nostra valle come un porto sicuro. Ora invece eravamo diventati <la valle delle disgrazie>, come diceva mio cugino Sultan Rome. Prima il terremoto, poi i talebani, poi le operazioni militari e adesso, proprio mentre stavamo cercando di ricostruire, quell’inondazione che aveva spazzato via tutto il nostro lavoro.”

Cap. 17 – Pregavo di diventare più alta.
“Nell’ottobre 2011 papà mi disse che una e-mail l’aveva informato del fatto che io ero una delle cinque candidate per il premio internazionale per la pace di Kid’s Rights, un’organizzazione con sede ad Amsterdam che lavora in difesa dei diritti dei bambini. Il mio nome era stato fatto dall’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, un grande eroe di mio padre per la sua lotta contro l’apartheid. Papà fu molto deluso quando non vinsi, ma io gli feci notare che noi non facevamo altro che parlare: non avevamo un’organizzazione che facesse delle cose pratiche come i vincitori del premio.”

Cap. 18 – La donna e il mare.
“Era il gennaio del 2012, e ci trovavamo a Karachi ospiti di Geo TV, dopo che il governo del Sindh aveva annunciato la propria intenzione di ribattezzare una scuola secondaria femminile di Mission Road con il mio nome.(…) …lei ci mostrò che proprio quel giorno i talebani avevano pubblicato su Internet delle minacce contro due donne: Shah Begum, un’attivista del Dir e…me, Malala. <Queste due stanno diffondendo il secolarismo, e bisognerebbe ucciderle!> diceva il testo. (…) Dissero che il mio profilo nazionale e internazionale mi era valso l’attenzione e le minacce di morte dei talebani, e che ora avevo bisogno di protezione. Si offrirono di fornirci una scorta, ma papà era riluttante. Molte persone, nello Swat, erano state uccise pur avendo le guardie del corpo, anzi, il governatore del Punjab era stato freddato proprio da una di loro.”

Cap. 19 – Una talebanizzazione <privata>.
“Il 12 luglio compii 15 anni, il che, secondo l’Islam, significa che sei un adulto. Insieme al mio compleanno arrivò la notizia che i talebani avevano ucciso il proprietario dello Swat Continental Hotel, che era un attivista per la pace come mio padre. (…) <I talebani non sono una forza organizzata come ce la immaginiamo noi>, disse Hidayatullah, l’amico di mio padre, quando ne parlarono. <Rappresentano una mentalità, e questa mentalità è un po’ dappertutto in Pakistan. Chiunque sia contro l’America, contro l’establishment pakistano, contro la legge inglese, è stato infettato dai talebani.>”

Cap. 20 – Chi è Malala?
“…cominciai a mia volta a fare brutti sogni. Non dicevo niente ai miei genitori, ma quando uscivo di casa avevo paura che talebani armati di fucile mi saltassero addosso, o che mi gettassero dell’acido in faccia come avevano fatto con alcune donne in Afghanistan. (…)
Non vidi i due giovani uomini che avanzarono di un passo in mezzo alla strada costringendo l’autobus ad una brusca frenata. E non ebbi modo di rispondere alla loro domanda -<Chi è Malala?> - altrimenti avrei spiegato loro che dovevano assolutamente permettere a noi ragazze di andare a scuola, e anche alle loro figlie e sorelle.”

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