giovedì 4 agosto 2016

DICHIARATI MATTI SI RACCONTANO


DICHIARATI MATTI SI RACCONTANO

La follia parlata finalmente scritta

                                                                                   Presentazione di Giorgio Macario

(a cura di Gabriella Veardo, ERGA Edizioni, Genova, 2015)



Devo subito confessare che mentre conosco abbastanza bene, per esperienze teatrali giovanili e successivi percorsi autobiografici, la curatrice di questo volume Gabriella Veardo, non altrettanto posso dire degli autori che hanno frequentato per tre anni un Laboratorio autobiografico. Laboratorio che è stato condotto da Gabriella che ha potuto giovarsi, per sua stessa ammissione, del ‘clima di rispetto e apertura’ favorito dalla pratica pluriennale di gruppi di auto-aiuto promossi nell’ambito dell’Associazione PRATO Onlus.


Presentare, quindi, da un punto di vista autobiografico gli scritti di Federico, Silvia, Gabriele, Emilia, Andrea, Chiara, Valter e Giovanna, non è cosa semplice, anche se un sostegno l’ho ricevuto dalla lettura dei loro scritti che ha richiamato alla mia mente diverse ‘sintonie’: da un lato con le inquietudini degli anni giovanili, con l’impegno in ambito sociale e gli approfondimenti connessi alla chiusura dei manicomi e al movimento ‘antipsichiatrico’; dall’altro con i più recenti percorsi, ormai ventennali, di approfondimento dell’approccio autobiografico.

Al centro degli scritti ci sono le storie di vita di ciascuno ed un tratto comune a tutte è certamente l’esperienza del dolore che, ci dice la curatrice, è parte integrante e storia comune; ma è stato condiviso, “così come è stato condiviso il riemergere di buoni ricordi, incontri, amicizie, affetti,  emozioni.”

E così  Federico in ‘Fiumi d’ombra’ sceglie come filo conduttore l’anima: e se a 15 anni si sente l’ombra di se stesso che aveva già conosciuto l’inferno, descrivendo successivi percorsi accidentati, incontri  reali ed immaginati e vissuti non condivisibili (ma ugualmente ‘offerti’ al lettore), spende infine parole di apprezzamento per la possibilità di esprimersi per iscritto,  conquistata sì con fatica e purtuttavia permeata di armoniosità.

Per Silvia, invece, sono i sogni il leitmotiv  del suo scritto di vita: dagli anni colorati dell’infanzia all’esperienza del “tempo bianco e nero, senza colori” della depressione in gioventù, fino alla speranza di “un buon futuro”  come vita di contro ad un passato percepito come morte, da confinare per quanto possibile nel mondo dei ricordi.

Gabriele dichiara fin da subito di aver colto una maggiore leggerezza e divertimento nell’autobiografia rispetto all’auto-aiuto, ma i riferimenti che più mi colpiscono sono quelli connessi all’orto botanico di Cogoleto, che aprono e chiudono lo scritto, dove lavora in tranquillità per assicurarne la pulizia e la manutenzione. Ho conosciuto questa struttura solo pochi mesi fa per un progetto di Laboratorio di Green Autobiography e mi è subito sembrato un bel posto. Complice questa sintonia, ho come la percezione che i pur esplicitati “veri momenti no della mia vita” (su tutti 2 mesi di ricovero all’SPDC) tendano a stemperarsi lungo il testo, che trasmette apprezzamento e vicinanza sia agli psichiatri incontrati che ai ‘compagni di viaggio’.

“Tutti fuggono il dolore, io ora il dolore non lo subisco e non scappo, lo acccolgo e tento di trasformarlo, che sia la mia forza e non una debolezza.” Questa una delle affermazioni di Emilia che fa trasparire consistenti capacità resilienti conquistate sul campo. Una dichiarazione di intenti in questa “Arrampicata”, sicuramente il più poetico fra i contributi del testo, che riassume la storia di vita (e della malattia) di Emilia intrecciandola con i numerosi incontri ed amori della sua vita, fermo restante l’uso parsimonioso della parola ‘amico/a’. Con un riferimento poetico al valore dell’oggi, un presente di ascolto e di rispetto alla ‘Prato’ splendidamente espresso nella poesia ‘Noi ci vediamo meglio’: “Noi ci vediamo meglio/sul terrazzo/fumando al tramonto/di fuoco e indaco/su un mare grigio blu/ Noi ci vediamo meglio/seduti in circolo a raccontarci/ad ascoltare soprattutto/ Noi ci vediamo meglio/attorno a un tavolo/mentre scriviamo delle nostre storie/ Noi ci vediamo meglio/a cena/col sugo rosso sulla pasta calda/e il pane/e qualche risata/mentre la notte sta arrivando.”

E ancora Andrea: “...Sembra che la mia vita sia la storia degli alberi che ho amato. Qualcuno si erge alto, qualcun altro è caduto...”; Chiara (“ma anche limpida”), con il suo filo conduttore femminile che al “crescendo di voci e allucinazioni dalla mattina alla sera ed anche la notte...Di qui il primo ricovero e poi il secondo, poi due Comunità Terapeutiche”, fa seguire un vademecum delle proprie ‘piccole felicità’; Valter che apre e chiude il suo scritto dichiarando il proprio amore per le fotografie,  che “sono meglio della realtà”, autoincitandosi comunque a reagire alla malattia: “Non dobbiamo farci sopraffare dai brutti pensieri...Cerchiamo di scacciare assolutamente la malattia”; ed infine Giovanna, che riferendosi a tre anni di lavoro insieme mettendo in circolo “emozioni, sentimenti, energia che ognuno di noi ha” nel lavorare in gruppo, sottolinea la propria “emozione di scrivere con una carica emotiva così forte (che) a me personalmente non era mai capitata.”

Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista, in una sua conferenza su ‘Quotidianità ed emergenza’ di quasi 10 anni fa tenuta proprio a Genova osservò: “Occorre superare i modelli con cui veniamo formati. Il disagio è da capire, se non riusciamo a capire la nuova sofferenza, non potremo aiutare nessuno.” E’ un passo importante, ma credo non sufficiente, nel rapporto fra professionisti e non professionisti. Questo testo ci parla di una ‘follia parlata’ (anche se spesso la follia è stata più nascosta che esibita, più taciuta che parlata) che, finalmente, viene ‘scritta’. E lo scrivere di sè è certamente un potente strumento di consapevolezza per chi scrive; in questo caso io credo che questi scritti possano essere anche un potente strumento di comprensione per chi si occupa a vario titolo di disagio psichico, a patto di accettare le numerose risonanze che vengono attivate in ciascuno dalle esperienze di vita descritte. 

E credo anche, traendo spunto dalle affermazioni iniziali della curatrice, che innestare la pratica dei laboratori autobiografici su di un terreno reso fertile dall’esperienza dei gruppi di auto-mutuo-aiuto sia una scelta proficua e vincente per innestare altrettanti circoli virtuosi. Per questo ringrazio gli autori per averci consentito di avvicinarci ai loro percorsi di vita.

La presentazione è pubblicata anche sul sito della LUA all'indirizzo:
http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=4141&Itemid=109  

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